15.3.05

Prossimamente su questi schermi

ALLORA, C'E' QUESTO telefilm con Jennifer Beals, The L Word, di cui è partita da un mese la seconda stagione. La parola che comincia con la "elle" è lesbian e la serie a suo tempo ha fatto un po' di rumore. Forse continuerà anche quest'anno, dato che il tema del lesbo-chic è sempre più conficcato nei canoni della moda, della cultura, dell'intrattenimento.



Non è un telefilm "solitario": segue la tendenza che ha portato gli sceneggiatori a optare per la svolta omosessuale di Marissa nella seconda stagione di O.C. (allo scopo di ravvivare gli indici d'ascolto, ovviamente) e riecheggia la fase di "sperimentazione" di Samantha in Sex and the City.

Proprio Sex and the City dovrebbe essere, secondo alcuni critici, il presupposto di The L Word, insieme a un fritto-misto di influenze televisive che stanno costruendo la trama fitta del mercato del tv show (come chiamano negli Usa i telefilm - pensate poi a Queer as Folk). La gayezza arriva per strade differenti, legate non solo a fenomeni sociali (la televisione d'intrattenimento statunitense ha sempre una venatura educativa, non a caso il termine edutainment se lo sono inventato loro, e l'omosessualità è una dimensione socialmente rilevante ma discriminata e tabù), ma anche a motivazioni estetiche, pubblicitarie, di ricerca del target.

Per chi si occupa di vendere i telespettatori agli inserzionisti pubblicitari (che poi sarebbe il vero core business della tivù), infatti, al termine "gay" si associano alcuni valori non trascurabili: trendy, pulito, alla moda, capacità di spesa. Una giratina nello zoo omosessuale di San Francisco - il quartiere di Castro - è un'esperienza distante anni luce dai bassi napoletani con la prostituzione di femminielli.



Alto reddito, alto livello di educazione, consumo culturale elevato, ricerca dello stile, ricostruzione di un modello à la disneyword delle comunità borghesi. Oro per i produttori televisivi. Gay è bello, lesbica di più. Perché, come spiegava l'ideatore del mielismo - cioè lo stesso Paolo Mieli all'epoca della sua prima direzione del Corriere della Sera - un uomo nudo in copertina lo guardano in pochi. Una donna, sia gli uomini che le donne. Quindi, argomentavano gli esegeti del furbo Mieli, in ultima analisi si vende di più.

Allora, in conclusione questo telefilm ha premesse interessanti. Non mi risulta dalle nostre parti sia stato trasmesso, come del resto anche altre cose, che di solito rimangono impigliate più che altro nelle maglie di un "fuori bersaglio" rispetto all'idea zuccherina e plastificata che la tivù soprattutto privata negli anni ha costruito degli Stati Uniti nel nostro Paese. Quindi, ci butto un occhio (e un altro su Tilt, promesso!) e poi vi faccio sapere.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

La prima stagione di The L Word è andata in onda (e forse non è ancora finita) su Jimmy. Non so se trasmetteranno anche la seconda, ma dato il successo avuto credo che la passeranno.

Antonio ha detto...

Me ne sono accorto dopo aver scritto il post. E' finita e a primavera inoltrata dovrebbero iniziare a trasmettere anche la seconda. Ho parlato con un paio di persone e i commenti alla serie non sono poi molto positivi. In linea con il mio giudizio sulle premesse, negativi sul livello di scrittura e l'esecuzione. Sono proprio curioso di vedere...

Antonio ha detto...

Ok, ho messo le mani sul materiale. Nel fine settimana, che si annuncia pieno in maniera biblica di cose da fare, pranzo a Bologna incluso domenica, le guardo. E poi finalmente dico che mi sembra! Alleluja...