29.9.05

Conquisteremo Saturno?

C'E' STATA POLEMICA, ben alimentata, tra l'associazione degli autori (di romanzi, presumo) americani e Google. Anzi, proprio una bella denuncia. Ce l'hanno con il motore di ricerca Google Print, che cerca tra i libri. Dicono, gli autori, che una cosa del genere potrebbe distruggere il mercato editoriale. C'è però anche chi la pensa diversamente (mentre Google si difende così). Quello che stupisce, a dire il vero, è il topolino che esce dalla montagna.

Questa qui a fianco è la schermata della pagina con i risultati di ricerca di un libro. Vi pare che qualcuno possa desiderare fare a meno di comprare un libro che gli interessa, preferendo siffatta lettura?

Alla base della "guerra a Google" c'è il suo successo un po' ipertrofico e un marketing che dà veramente fastidio da quanto è ben orchestrato. Ma si sa, l'erba del vicino...

Quando gelerà l'inferno

CI SONO COSE che si dice facciano automaticamente notizia. Ad esempio, l'uomo che morde il cane. Oppure la neve a San Francisco. Anche se l'hanno messa per fare una pubblicità (foto del San Francisco Chronicle, tutti i diritti riservati)

"I've personally heard Steve say they would never do that"

QUALCUNO HA TIRATO fuori un vecchio pezzo di Wired, datato 2000, in cui all'emozione della prima versione di Darwin (il "nocciolo" Unix di MacOsX) che veniva fatto funzionare anche su piattaforma x86, si aggiungevano anche vari commenti, tutti miranti a dire che mai e poi mai Apple sarebbe passata ai processori di Intel... come invece è avvenuto cinque anni dopo, lo scorso luglio.

Tutti tranne il buon vecchio John Siracusa, che scrive per Ars Technica:

"I think it's a safety net for Apple," Siracusa said. "They want the core OS to be portable. They want to be sure in coming years that the OS can be ported over with little or no difficulty."

Ci aveva dato, il vecchio Johnny...

28.9.05

Fatti in casa

NELLE EDICOLE NOSTRANE è sbarcato Series Magazine (prezzo di lancio a 1,90 euro) prodotto autoctono tutto dedicato ai telefilm. Copertina del primo numero: Desperate Housewives. C'è anche lo spot pubblicitario (un po' casereccio) per la tivù.

L'editore MyWay Media è riuscito, con un solo redattore e un direttore responsabile (più un'orgia di collaboratori prezzolati), a mettere in piedi un'operazione ricca di foto, contenuti (90 serie citate) e poster: Smallville e Csi: Miami. All'apparenza, un piatto ben ricco.

Mo' me lo leggo... anche se le prime impressioni sono le seguenti: grafica curata e sbarazzina, testi sbarazzini (e a caratteri belli grossi), abbondanza di argomenti. Il lettore medio? Uno che tutto sommato non legge Proust o Melville la sera, o forse il grafico ha problemi con le diottrie. Mi rimane un dubbio: cosa ci infilano nel numero due e tre? La cadenza è mensile, ma i telefilm sono in numero pur sempre limitato...

Lolita

QUALE MODO MIGLIORE per cominciare un'uggiosa giornata autunnale, col cielo grigio e la pioggia imminente, se non segnalando un compleanno contraddittorio? Oggi Lolita compie cinquant'anni. Bel record per il personaggio che congela la seduzione di quel limine che separa pubertà e pre-adolescenza dalla prima maturità e fa impazzire i cinquantenni (ma il personaggio di Vladimir Nabokov, Humbert Humbert, probabilmente non ne aveva quaranta, al principio della vicenda) con il passare del tempo inarrestabile. Oggi compiere cinquant'anni per un personaggio letterario vuol dire essere già praticamente immortali. La sorte di Lolita, a occhio e croce, è questa.

Trama ricca e intricata, Lolita è la storia di una patologia che Stanley Kubrik prima e Adrian Lyne dopo hanno rivisitato per il grande schermo. Sui giornali, penso che il più accanito sia Francesco Alberoni (lo dico a istinto, senza dati sottomano, ma credo di non sbagliare). Ogni volta che qualcuno parla di Lolita e cerca di portare il tono del discorso su di un piano letterario, la sensazione che Nabokov (1899-1977) potesse essere uno con l'anima marcia appare prepotente. Eppure, a vederlo sembra tanto un signore per bene.

Non cercate Lolita su Internet, soprattutto non cercate immagini con questo nome, perché si scatena l'ira di Dio della pornografia, del sesso mercenario e di tutto quel che in realtà si può trovare in qualsiasi edicola ben attrezzata ma che i movimenti per la morale e la protezione della giovane (che evidentemente sono avanti) trovano solo in rete.

27.9.05

Ocean/ic Airlines

Quando fanno un film con annesso disastro aereo, c'è sempre il problema di quale nome dare alla compagnia coinvolta: mica si possono mettere di mezzo quelle vere... Di solito Hollywood sceglie Oceanic Air, che è una specie di John Doe dell'aviazione civile. Lost, tra gli altri, ha fatto così. C'è anche il sito.

E' una cosa nota, ci sono anche le magliette fatte apposta con il logo e la scritta Getting halfway there is all the fun! (il motto di quella di Lost invece è Taking You Places You've Never Imagined!). La cosa divertente, invece, è che in Italia evidentemente questo dettaglio non dev'essere troppo noto e per questo a Brescia (Montichiari) hanno fondato la Ocean Airlines...

Ocean Airlines is a new all-cargo airline with its operational base and company headquarters located at Brescia Montichiari Airport, Italy. Ocean Airlines was established in 2003 to meet customer demands for quality air freight services from Italy to Asia, Africa and North/South Americas.

Dopo che a primavera RaiDue inizierà a trasmettere Lost, voi lo prendereste un charter per il Sudamerica con loro?

ps: un'aggiuntina circa l'aereo utilizzato per girare il telefilm...

The airplane pieces on the beach, depicting the doomed flight from Sydney, are the remnants of a Lockheed Tristar L-1011. She began service for Eastern Airlines (N308EA) in 1972 and was retired by Delta Airlines (N783DL) in 1998 having racked up a total of 28,822 landings and 58,841 flight-hours.

N783DL was bought by Thompson's Aviation Warehouse (Mojave, CA) for $50,000. ABC/Touchstone purchased it for about $200,000.

Autunno - 2

SIGNORE E SIGNORI, Il Posto di Antonio sta lavorando al riposizionamento professionale del suo titolare. Per questo motivo, nei prossimi giorni sarà possibile trovare alcune interessanti novità. I gentili spettatori all'ascolto, comunque, possono continuare a leggere come prima e senza bisogno di pagare il canone. Per adesso.
Buona serata.

Autunno

ARRIVA LA STAGIONE del fresco e Apple manda l'aggiornamento per tutti gli iPod, vecchi e nuovi, nani o shuffle... Con il mio shuffle nessun problema...

25.9.05

La ricerca del Santo Graal

LA PRINCIPALE SENSAZIONE (come giornalista), tornando da San Francisco, è che qualcosa bolla in pentola: che stia cioè cambiando qualcosa nel mondo della tecnologia. Il modo più facile per sottolineare questo cambiamento sono due libri: uno scritto da co-fondatore di Wired, John Battele, e l'altro dal tre volte vincitore del premio Pulitzer e giornalista del New York Times, Thomas L. Friedman.

Il primo dei libri si intitola The Search: How Google and Its Rivals Rewrote the Rules of Business and Transformed Our Culture. E' il bersaglio più facile ed immediato, tanto che citare Google in questo momento è quasi scontato. La recensione del club degli editori americani chiarisce meglio cosa c'è nel libro:

Rather than write a book strictly about the rise of Google as a business, technology journalist Battelle targets his research on the concept of Internet search, beginning the book with a discussion of an abstract idea he terms the "Database of Intentions," defined as the sum total of all queries that pour into search engines daily, revealing the intricacies and idiosyncrasies of our culture. Though most of the book is devoted to the search engine giant (which Battelle reports corners 51 percent of the search engine market), the author also includes chapters on "Search, Before Google" and the "Who, What, Where, Why, When. And How (much)" of search. Battelle is at his best when describing the creation of Google, especially through the yin-yang personalities of its founders, Larry Page and Sergey Brin, and in describing the company's culture. Though Battelle's descriptions of Internet search technology can get too technical for readers without a computer science background, the book is a deeply researched and nimbly reported look at how search has defined the Internet and how it will continue to be a tremendous reflection of culture.

Il discorso si fa più complesso e affascinante con il libro di Friedman, The World is Flat: A Brief History of the Twenty-first Century , in cui l'autore viaggia attraverso il mondo per spiegare dov'è che c'è stata la grande discontinuità, quella cioè in cui la competizione è stata per la prima volta livellata nella storia e vivere a Cupertino oppure vivere a Nuova Dehli è la stessa cosa, con le stesse opportunità.

What Friedman means by "flat" is "connected": the lowering of trade and political barriers and the exponential technical advances of the digital revolution have made it possible to do business, or almost anything else, instantaneously with billions of other people across the planet. This in itself should not be news to anyone. But the news that Friedman has to deliver is that just when we stopped paying attention to these developments--when the dot-com bust turned interest away from the business and technology pages and when 9/11 and the Iraq War turned all eyes toward the Middle East--is when they actually began to accelerate. Globalization 3.0, as he calls it, is driven not by major corporations or giant trade organizations like the World Bank, but by individuals: desktop freelancers and innovative startups all over the world (but especially in India and China) who can compete--and win--not just for low-wage manufacturing and information labor but, increasingly, for the highest-end research and design work as well. (He doesn't forget the "mutant supply chains" like Al-Qaeda that let the small act big in more destructive ways.) Friedman tells his eye-opening story with the catchy slogans and globe-hopping anecdotes that readers of his earlier books and his New York Times columns will know well, and also with a stern sort of optimism. He wants to tell you how exciting this new world is, but he also wants you to know you're going to be trampled if you don't keep up with it. His book is an excellent place to begin. --Tom Nissley

C'è chi sostiene anche che le cose non stiano andando esattamente così, come scrive sull'Atlantic Monthly di questo mese Richard Florida (articolo non disponibile online, sigh!). E' l'inizio di una nuova fase, tra le altre cose, del dibattito sul Digital divide, il divario digitale che rende in effetti conto di alcune dimensioni non solo quantitative e tecnocentriche. Viviamo tempi interessanti...

24.9.05

Piccole gioie

OGNI TANTO MI chiedo: ma io, che dopotutto campo occupandomi di nuove tecnologie e nuovi media, perché non compro mai libri su Amazon? Considerate che di libri me ne macino un quantitativo ahimè elevato rispetto alla media (l'ahimè è rivolto alla media), e che la maggior parte sono in inglese, soprattutto dal punto di vista dei costi. Poi, stanotte, mentre litigavo col jet-lag (nel senso che lui mi teneva sveglio, parlandomi dentro l'orecchio con brusio di mosca e io lo maledicevo silenziosamente), ho ripreso in mano uno dei libri che ho comprato a San Francisco e ho capito.

Si tratta di The Genius of Language, una serie di saggi raccolta da Wendy Lesser, che proprio ieri sera all'ora di cena, quando stavo ingozzandomi di sushi insieme al mio amico Mattia anche lui appena tornato da Berlino, abbiamo scoperto essere stato un acquisto comune. E' un libro piccolo, sexy nella sua copertina gialla e nella scelta dei materiali con cui è realizzato - una carta gustosa, quasi una caramella - che intriga e si fa notare a sufficienza con la sua sola presenza fisica. I contenuti, poi, si scopre che sono altrettanto deliziosi: una raccolta di saggi di scrittori in lingua inglese che sono in realtà nati in un'altra lingua. E ci fanno viaggiare attraverso il mondo delle loro scoperte e trasformazioni interiori per riuscire ad esprimersi nel linguaggio d'elezione. Affascinante, è un po' come scoprire cosa ne pensava Conrad (in realtà un po' lo sappiamo, come scrive nella sua introduzione la curatrice) dell'inglese e del suo natio polacco.

La scoperta di piccoli ma gustosi libri come questo è un fatto totalmente fisico, quasi di sensualità: bisogna entrare in una libreria, girare gli scaffali, trovarli esposti nel modo giusto. Il mio personale viaggio è stato attraverso Columbus Avenue, dove vado sempre in pellegrinaggio a visitare CityLights, la libreria del signor Ferlinghetti e della beat generation, per poi salire una strada e recarmi dal buon vecchio reminder all'angolo, che vende le stesse cose usate o comunque scontate. Lì, in preda al delirio mistico e un po' parvenue di chi si presenta al check-in dell'aeroporto con dodici chili di carta rilegata, ho mentalmente mandato a quel paese il grillo parlante della mia Visa (quello che dice: "ora compri ma poi dovrai pagare") e intonando un baritonale "ecchissenefrega, si vive una volta sola e mi basta Tremonti al ministero dell'economia per aver diritto a delle gratificazioni istantanee", mi sono riempito la bisaccia di perle, perline, bigiotteria e questo piccolo diamante ben curato.

Navigare attraverso il linguaggio grazie ai saggi scritti da chi con la lingua ci lavora (non chi ci studia, cioè i soliti linguisti), è un piacere carnale, quasi sessuale che consiglio vivamente. Se non sapete l'inglese, questo libro è un'ottima scusa per impararlo. Se lo sapete, non potete non praticarlo attraverso le sue pagine delicate come preziosa sfoglia caramellata.

Ecco, adesso avete capito insieme a me come mai non compro i libri su Amazon, no?

23.9.05

La chiamavano Milano, ma poteva essere ovunque

ECCOMI, SONO AL mio posto nel mondo: Milano, provincia d'Italia. La sensazione un po' allucinata di chi fino a quindici-venti ore fa aveva negli occhi San Francisco ha lasciato il posto al jet-lag, l'effetto d'onda del diverso fuso orario. Il mio organismo non sa che ore sono, non sa dove si trova, ma una cosa l'ha chiara: che sonno!

Secondo un antico racconto che devo aver già scritto una volta qualche anno fa, il jet-lag dipende dall'anima. Essa non è in grado di spostarsi a una velocità e un'altezza superiori a certi parametri, e fatica a raggiungere il corpo materiale. Per questo, di ritorno da un viaggio lungo in aereo si soffre un senso di stordimento e malessere: è la nausea che ci coglie quando siamo separati dalla nostra anima. Poi, ci raggiunge e tutto passa, in genere dopo una o due notti di buon sonno.

Rimane il quesito quasi esistenziale circa la diversa cultura da cui si proviene: poche ore incrociare al sushi-bar lo sguardo di una ragazza preludeva a un sorriso di educato saluto. Qui pare un malizioso gioco di lupi e pecore nella bruma di un mattino spettrale. Tra l'altro: perché Milano - pur sempre la capitale economica del Paese - è così sudicia e mal costruita?

Il viaggio comunque stanca e l'animo ha bisogno di riposarsi. Vi lascio per adesso con questa seconda immagine, presa a Charles de Gaulle, tappa del viaggio di rientro, per testimoniare l'eterna fatica del giramondo italiano. Anzi, della giramondo. Un quesito mi sfiora: ma Gad Lerner doveva proprio farsi crescere quel gran barbone? Non sta mica tanto bene, tutto peloso a quella maniera: sembra un fumetto cattivo...

Ps: la prima foto, quella che mostra dal di dentro l'impianto del controllo di sicurezza per accedere alla zona d'imbarco di un noto aeroporto internazionale della Bay Area, è una foto vietata, vietatissima. Ci sono precise leggi federali negli Stati Uniti che impediscono di scattare questo tipo di immagini. Io l'ho solo trovata, pubblicata altrove, quindi credo che per diritto di cronaca sia possibile mostrarla. Comunque, è una foto che il diritto di cronaca impone di pubblicare...

22.9.05

Il momento del ritorno

ANCORA POCHE ORE e poi si riparte. Il potente Boeing 747 di Air France si staccherà dal tarmac dell'aeroporto internazionale di San Francisco e in "sole" undici ore ci porterà sino a Charles de Gaulle, Parigi. Lì, un Airbus 319 sempre di Air France ci preleverà e ci porterà a Malpensa. Venerdì pomeriggio sono a Milano, insomma...

Ma prima di partire, ci sono ancora un po' di cose da fare a San Francisco. Compreso preparare la valigia, che a questo giro trabocca di libri...

A Milano pare di capire che, se non altro, ci sarà caldo (25 gradi contro i 18 di qui), smog, dubbi sul candidato sindaco del centrosinistra, crisi di governo (rischio di partire con Berlusconi sul ponte di comando e arriva con...?), rivoluzioni varie: insomma qui la gente inizia a palpitare per Rita, il nuovo uragano mentre dalle nostre parti pare che di uragani piccoli e grandi ce ne siano in abbondanza!

21.9.05

Lo strano caso del dottor Sun e di mister Google

QUI A SAN Francisco c'è un'aria strana. A parte la nebbia (che poi son nuvole di bassa quota, che arrivano ventre a terra dal Pacifico) si avverte attenzione e forse anche qualcosa di più per il mercato della tecnologia. In sei anni, dal 1994 al 2000, la bolla della New Economy aveva fatto esplodere i conti di una serie infinita di aziende. Poi tragicamente fallite in meno di due anni, quando - tra il 2000 e l'inizio del 2002 - il Nasdaq ha perso l'80% del suo valore.

Le vecchie guardie, come il dottor Sun, sono passate dai 60 dollari per azione del 2000 agli attuali circa quattro. Hanno tecnologie, competenze, anche presenza sul mercato, ma cercano una strategia, una visione, un momento speciale (che il dottor Sun ha definito un "iPod moment", alludendo al successo del lettore di musica digitale di Apple).

Le nuove guardie come mister Google, invece, si muovono plastiche sul mercato, proponendo cose fresche e intriganti, riuscendo a far passare cose che George Orwell aveva stigmatizzato con 1984 come perfettamente plausibili e normali. Il loro valore cresce, in Borsa e nella mente dei consumatori.

L'idea, il brusio che si percepisce nel sottofondo, è che si stiano riaccendendo i potenti motori dell'economia digitale. Alcuni esploderanno, altri evaporeranno, altri ancora sarà come se non fossero mai esistiti (e probabilmente non lo sono). La sensazione è che stia per succedere adesso, in questi mesi invernali che stanno arrivando...

Io sono qui

GRAZIE A UN servizio di Google, che si chiama GoogleMaps, è possibile localizzare all'interno di San Francisco l'immagine del mio albergo, il Grand Hyatt (proprio accanto al Sir Francis Drake Hotel, è il palazzone alto alto su Stockton St.). Ora, non dico che se mi sporgo dalla finestra mi vedete salutare, ma quasi. Le immagini ad alta risoluzione che vengono usate da Google sono di qualità in realtà abbastanza "contenuta", anche se farebbero gridare al miracolo qualunque geografo di dieci anni fa. E probabilmente anche incarcerarlo per spionaggio, visto che le testate dei satelliti che all'epoca avevano una risoluzione di cinque metri per pixel erano "top secret"...



Vorrei anche segnalare che il giovane Francis Drake, allora corsaro ("guerra di corsa", come si diceva, per combattere con armi impari gli spagnoli) e non ancora baronetto, mancò per due volte la baia di San Francisco fermandosi invece a Port Reyes, ingannato dalla nebbia. Furono gli spagnoli a "centrare" il bersaglio, con buona pace degli indiani delle locali tribù Ohlone (che noi chiamiamo Oloni) e Miwok, ora estinte. Il capo dell'insediamento fu questo anonimo Gaspar de Portolà, che costruì il Presidio (la base militare) e la Missione (Mission) dedicata a San Francesco, che poi è quella che dà il nome alla città.

Fu invece l'esploratore e capitano britannico George Vancouver, che poi è quello che dà il nome alla città canadese, a far partire il primo campo "internazionale", con francesi, russi, inglesi e tutto il resto della banda (perché spesso e volentieri proprio di una "banda" di delinquenti si dovrebbe parlare), presso la Yerba Buena, l'erba buona per il pascolo. Oggi lì c'è tutta una serie di strutture tra le quali il famigerato Moscone center (il centro convegni più frequentato del mondo dai giornalisti di tecnologia e affini) e il Martin Luther King Memorial.

Sempre in tema di "memorial", in questi giorni a New York con una certa enfasi (e poi depressione, visti i risultati) hanno festeggiato i sessanta anni delle Nazioni Unite. Non tantissimi ricordano che i trattati istitutivi dell'Onu sono stati firmati, al termine di una lunga e tempestosa serie di trattative, proprio a San Francisco. E che la U.N. Plaza, a duecento metri dal Civic Center lungo Market Street, è una vera porcheria di abbandono e sovrabbondare di barboni, nononstante i tentativi di "bonifica" e di riapertura di musei (quello asiatico è meraviglioso ed enorme) in zona.

20.9.05

Il coraggio della penna

OGGI ERA IN corso anche l'Apple Expo di Parigi, la fiera alternativa al MacWorld che invece si tiene a San Francisco (dove sono io per seguire una conferenza di Oracle, etc). Fiera che poteva essere ben gravida di aspettative anche per i più accorti, nonostante sia stata organizzata a pochi giorni dalla conferenza di lancio dell'iPod nano e del MacTorola e - soprattutto - sia stato cancellato già da quindici giorni il keynote di Steve Jobs. Come dire: non c'è trippa per gatti.

Ecco, adesso salta fuori che dall'evento... non è saltato fuori nulla. Niente nuovi PowerBook, niente nuovi iBook, niente nuovi iMac, niente nuovi PowerMac. Niente. Solo qualche aggiornamento a .Mac, il servizio online di Apple (che consiglio, peraltro, perché ben fatto e utile soprattutto per chi vuole la posta elettronica con il suffisso mac.com).

Come vanno le reazioni della stampa? Il Corriere si impegna a cavar sangue dalle rape e ci racconta la posizione di Steve Jobs sul tema della convergenza (cioè: non ci sarà). Esercizio difficile ma la penna di Ottolina è buona e la sua conoscenza del mondo Mac pure, ci si può stare. Anche se, per trovare una fiera e puntuale ricostruzione dell'evento è necessario spostarsi sull'altro Corriere della Sera, quello del mondo Mac, cioè il (mio) Macity. Fabrizio Frattini, il direttore, di cui mi posso immaginare il giramento di scatole per essersene andato sino a Parigi con Settimio Perlini per un sostanziale nulla di fatto, ci si mette d'impegno e siccome è direttore di Macity non per caso, la sua penna sferza con sapienza. Da leggere, perché il coraggio della sua penna è davvero tanto.

Ps: chissà se dalle parti di casa, cioè al 24 Ore, due righe hanno deciso di tirarle fuori? Mah...

19.9.05

From Here to There

MI STAVA QUASI passando di mente, ma per fortuna me lo sono ricordato: oggi (lunedì) alle sedici e trenta sulla Rai, Radio Due, inizia la nuova stagione di Condor. Almeno, credo...

Comunque, fossi in voi, io non me lo perderei.

Ps: e per chi non l'avesse ascoltato, da qui si fa partire lo streaming...

18.9.05

Il momento di essere pragmatici

MENTRE IL SAN FRANCISCO CHRONICLE apre con il ritorno alla vita e (soprattutto) agli affari a New Orleans, c'è da segnalare un articolo del dorso "Insights" intitolato Can New Orleans recover as S.F. has?. L'ipotesi dell'autore, lo storico Joel Kotkin, è che come San Francisco ha recuperato dopo il terremoto e seguente incendio del '906, così anche New Orleans può ripartire e lasciarsi dietro le spalle il disastro del decennio.

I possibili paralleli tra le due città ci sono, indubbiamente, ma ci sono anche dei seri rischi: seguire un modello troppo "leggero" e "turistico", che rischia di lasciare la città vuota e senza prospettive di sviluppo autonomo, ad esempio. E poi, anche la ricostruzione dovrebbe essere giocata sui fondi privati e non su quelli pubblici. Il dibattito è questo, unito alla cosciente e chiara percezione che il disastro dell'uragano ha colpito soprattutto i poveri e i bisognosi, genìa della quale "Big Easy" New Orleans era piena. Adesso, da quelle parti si rimboccano le mani.

C'è tutto un mondo intorno...

LA DOMENICA A San Francisco offre una serie ampia di possibilità. Nel mio piccolo, mi sono costruito un'agenda di cose che amo fare, anche perché questa è l'unica città che mi faccia spuntare il sorriso mentre cammino per le sue strade. Il primo passaggio è oramai diventato obbligato: l'angolino della colazione. Quest'oggi, caffé nero, succo di arancia e uova alla benedict con patatine della casa. Non c'è male per colazione, soprattutto perché ieri sera sono crollato alle sette e ho dormito sino alle cinque di stamani (orario della costa occidentale) e quindi è un po' un mix di cena e pranzo.

Sedici dollari, diciotto e mezzo con la mancia. Ma l'atmosfera da tavola calda di Happy Days dove la vogliamo mettere? Da notare che è proprio accanto al vecchio King George Hotel, dove ho passato due settimane d'incanto, ormai un anno e qualche settimana fa. Collegandosi a questo, visto che siamo dietro a Union Square, una rapida arrampicata e si arriva su Nob Hill, la collinetta dove mi rannicchio ogni volta. Lì è necessaria la colonna sonora adeguata, e per questo tengo sempre sull'iPod (shuffle, in questo caso) la canzone triste dei Matia Bazar "C'è tutto un mondo intorno", di cui riporto con piacere le prime due strofe per chi non la conoscesse:

Se per caso un giorno o l'altro
Ti trovassi solo sai
Senza una compagna che poi ti aiuta nei tuoi guai
E se poi il cielo blu
Si chiude all'improvviso su di te
E ti senti come un ladro che
Ha paura anche di sé
Guardati allo specchio
E guarda un poco un poco intorno a te

C'è tutto un mondo intorno che
Gira ogni giorno e che
Fermare non potrai
E viva viva il mondo
Tu non girargli intorno
Ma entra dentro al mondo dai

Se nel buio che ti avvolge
Una fiamma scorgerai
Corri corri senza indugi
Forse è il sole che tu vuoi
Ma se come un fiume in piena poi
Il tempo ormai usato se ne va
Ed un naufrago ti senti tu
Che da solo scruta il blu
Quella fiamma sconosciuta
è la tua zattera lo sai


In pratica, mi sono promesso un po' di tempo fa che sarebbe stata la mia canzone triste e che l'avrei ascoltata nel giardino di quella piazza, la mattina verso le sette, quando ci sono solo un po' di strambi americani che fanno un mix di aerobica e reiki. In particolare, nel momento in cui bisogna fissare il blu alla ricerca di una fiamma che diventi zattera, mi perdo tra i palazzi dei signori della transcontinentale, quei Mark Hopkins, James Fair, John Mckay e William O'Brien che rubacchiando a destra e manca fecero congiungere nell'Ottocento le due coste del Paese con la ferrovia, e con sforzo occhieggio la baia e il blu assoluto del suo cielo.

La collina è a dire il vero proprio particolare e regala una bella vista su alberghi storici. Soprattutto il Mark Hopkins Inter-Continental, dalla cui sommità si può andare a perder tempo nel Top of the Mark, il bar più alto di San Francisco in cui si accommiatavano dall'America i militari in partenza per la guerra del Pacifico. Stasera o domani ci vado. Anche il giardino, accanto al club per soli uomini The Pacific-Union Club, sorge sulle rovine del palazzo di Collis P. Huntington, bruciato nel '906.

Invece, introducendo un passaggio nuovo nella consolidata routine, sono entrato nella Grace Cathedral, che è una copia di Notre Dame di Parigi (dove per una buffa coincidenza avrei dovuto essere oggi, dato che lì si tiene dopodomani l'Apple Expo 2005). Mai entrato in un luogo di culto statunitense prima, e forse ho cominciato da uno dei più atipici, visto che l'appartenenza all'evangelismo e comunque stemperata in una koiné di altri credo e fedi. E' un po' la cattedrale anche spirituale di San Francisco, come un monumento alla ricerca della spiritualità. Di fronte, d'angolo, il memorial per i massoni morti nella Seconda Guerra mondiale. Da noi sarebbe un problema, negli Usa è un triangolo e un compasso sul verso delle banconote.

Il club, la piazza, la cattedrale, gli alberghi e i lunghi condomini di appartamenti stile New York. Ci sono una serie di istantanee che pensavo - anni addietro - avrei potuto raccogliere solo con la macchina fotografica e che, invece, mi rendo conto sia possibile raccontare solo con la penna. E, aggiungerei, per poche e selezionate persone, che abbiano desiderio di condividere appunti di viaggio microscopici e ricordi molto personali. Come il rumore delle auto americane, quei grossi scatoloni a benzina col cambio automatico, quando accelerano ai semafori. Da noi finirebbero dopo dieci minuti dal meccanico a ritarare l'iniezione. Qui invece il guidatore sorride estasiato dal "vroooom" che esce fuori dal suo cofano. Adesso vado a cercare nuove spigolature e qualche libro da Citylights. Au revoire.

E' San Francisco

SONO ARRIVATO A San Francisco. Tempo variabile, viaggio lungo e non confortevole: l'economica di Air France (nonostante il piacere di viaggiare su un Boeing 747, che ultimamente mancava) è veramente... economica, che Dio li benedica. Ho dormito nove ore su undici, ma era più un coma che non un sonno ristoratore. Tant'è che adesso sto barcollando.

Il tempo a San Francisco è fresco, nuvoloso e ventosetto. Sembra un altro paese, rispetto al clima mite che di solito si trova qui a settembre-ottobre. La prima cosa che si nota, zampettando per le strade del centro, è l'alluvione di Mini in città. Colore preferito: giallo, come quella che ho fotografato. Sembra di essere a Milano all'ora dell'aperitivo, nelle zone fighette del centro...

Scrocco la connessione dall'Apple Store davanti al negozio Virgin, due isolati dal mio albergo (Grand Hyatt su Stockton St.). Se siete da queste parti, fatevi sentire...

16.9.05

Il Secolo cinese

SEMPRE IN TEMA di libri, quest'estate mi sono spupazzato il bel volume di Federico Rampini (inviato e corrispondente di punta de La Repubblica), Il Secolo cinese. Mica male: pieno sino all'inverosimile di dettagli e capace di rimettere in prospettiva il "fenomeno" Cina, dove lui si è fatto trasferire dopo aver cartografato la Silicon Valley negli anni passati. Peccato che il maggior pregio - ogni capitolo è come un reportage - sia anche il limite del libro: sono i reportage per Repubblica rimaneggiati ma, insomma, sempre quelli lì. Se leggete abitualmente il quotidiano, è una brutta sorpresa...

In tanti lo hanno recensito, io mi permetto di segnalare Luca de Biase qui e qui, perché ne parla con un'ottica funzionale ai suoi discorsi. Nel mio piccolo, nel 2001 quando mi chiesero di scrivere un commento sull'attualità internazionale, mi permisi di scrivere che l'entrata nella Wto della Cina sarebbe stata la notizia da ricordare come più significativa per gli storici del futuro, perché avrebbe segnato l'inizio di un nuovo "secolo cinese". Profetico? Sono sicuro che Rampini non ha letto quanto scrissi, e comunque era cosa sufficientemente banale da non poter essere considerato un ragionamento "esclusivo". Lo dico più che altro per rivendicare una minima sintonia con lo spirito dei tempi...

Il Broker

ANCHE IO SONO, nel mio piccolo, un fedele lettore sia di Michael Crichton che di John Grisham. Wittgenstein ha aperto la via alla piccola polemica sulla rappresentazione dell'Italia di Bologna e Treviso nell'ultimo romanzo di Grisham, Il Broker. Mi accodo.

Non trovo, avendo finito di leggere ieri sera il veloce tomo di Grisham, tanto problematico il discorso della traduzione delle lezioni d'italiano (che forse il curatore dell'edizione italiana potrebbe aver un po' sforbiciato, ma non ho letto l'originale), quanto due altre cose: gli italiani portano sulle spalle quattro secoli di melodramma, questo è certo. E, a quanto pare, Grisham se n'è accorto: li fa muovere come buffi indigeni di una colonia dell'Africa settentrionale, manca solo che suonino il violino e si avvolgano in palandrane nere, sotto i portici della Dotta. Un po' crapuloni, sempre a gesticolare, con le famiglie allargate, l'attenzione maniacale ai vestiti e via dicendo. Alla fine, è un educativo corso su stereotipi alla Severgnini girati al contrario.

L'altra considerazione è sulla tenuta della trama nel romanzo: bel ritmo, fin troppo cinematografico, genera una serie di ipotesi interessanti e di possibili situazioni di tensione, ma alla fine il riassunto del plot sta in mezza cartella, e lascia tutto un po' sospeso. Come dire: poteva anche far succedere qualcosa, di quando in quando... no? Come "spy-story" rimangono sempre insuperati Graham Greene e John Le Carré. Con loro di cose ne succedono sempre poche, ma almeno il lavorìo psicologico è ben fondato e va in profondità.

Una rivoluzione...

NINTENDO SI PREPARA al contrattacco nel mercato dei videogiochi. Dopo che Sony prima e Microsoft poi con le loro console (Playstation e Xbox) hanno fatto man bassa del mercato, ammazzando Sega e lasciando Nintendo al lumicino della sua nicchia fanciullesca, adesso è il momento di giocare il tutto per tutto.

Ancora non è chiaro come sarà fatta la nuova console chiamata "Revolution", ma una cosa si è capita: avrà un controller fuori dell'ordinario. Una sorta di telecomando multifunzione da impugnare con una mano sola e dotato di sensori di movimento per rendere "fisica" l'esperienza del gioco. Chissà, magari ce la fanno...

Anche se Microsoft sta per lanciare la sua Xbox 360 e a seguire Sony si prepara a colpire duro con la Playstation 3, dotate entrambe di lettori Dvd ad alta capacità e tanta, tanta attenzione da parte degli sviluppatori di giochi (che poi sono quelli che determinano le maggiori chances di successo).

15.9.05

E' andata...

COME SCRIVEVO QUI sotto, Delta Airlines è andata: ha firmato la procedura di amministrazione controllata conosciuta negli Usa come "Chapter 11", ovvero bancarotta. E' il nono più grande crack dell'economia statunitense: Delta, che è la terza compagnia aerea Usa, aveva perso 10 miliardi di dollari in quattro anni tagliando 23 mila posti di lavoro. Era anche l'ultima delle grandi a non essere passata attraverso il regime di amministrazione controllata, il "bagno di sangue" post-11 settembre che prelude alla rinascita o alla definitiva chiusura. Adesso, vediamo i giornali italiani di domani...

14.9.05

nanissimo

BEH, PICCOLO E' piccolo, in effetti. Ma pare figo, a tenerlo in mano...

Il giorno della bancarotta

SEGNALO CHE OGGI potrebbe essere un giorno particolare per il nostro Paese, anche se non mi sembra che tanta attenzione si trovi sui nostri giornali. Oggi infatti potrebbe esssere il giorno in cui due compagnie statunitensi di prima grandezza (e assai importanti per il noialtri, come vedremo poco sotto) potrebbero secondo il New York Times (iscrizione gratuita necessaria), dichiarare fallimento. Fate un gioco, vedete se la notizia passa sui nostri giornali e se sì quanto venga messo in relazione il rapporto tra loro due e Alitalia...

Vediamo le due compagnie aeree a rischio fallimento. Si tratta di Delta Airlines e di Northwest Airlines. La prima è partner di Alitalia da un bel po' di anni (da notare, nella foto qui a lato, l'alta qualità di servizio garantita a bordo...), insieme a tutto il gruppo di compagnie collegate a SkyTeam e capeggiate da AirFrance. Per intenderci, da Milano o da Roma per gli Stati Uniti spesso e volentieri si paga il biglietto ad Alitalia ma si vola con Delta: è il code sharing, come si dice. Delta ha base ad Atlanta e infatti Atlanta è diventato l'aeroporto principale per chi vada sulla costa ovest senza fare prima un passaggio da Parigi (da Milano non si arriva più in là di Chicago). Insomma, nonostante New York sia la città italiana d'elezione negli Usa, Atlanta è diventato un hub "forzato" per tantissimi italiani. E' anche uno dei tre più grandi aeroporti statunitensi, peraltro, e si regge praticamente proprio su Delta.

La seconda compagnia a rischio fallimento è partner storico di Klm, l'aerolinea olandese che si è fusa con AirFrance, ed è quindi diventata il secondo parner americano di SkyTeam (il raggruppamento che fa capo ad AirFrance). La terza gamba di SkyTeam negli Usa è Continental Airlines, che parrebbe più sana, forse perché è texana come Bush...

Cosa succede se falliscono queste due compagnie, segnatamente Delta? Se gli aerei della compagnia georgiana dovessero restare a terra, secondo voi Alitalia è attrezzata per garantire un analogo servizio (senza appoggiarsi rapidamente a Continental ed AirFrance)? Se non fosse attrezzata, probabilmente ci rimetterebbe un pacco di soldi. Proprio adesso che stava cominciando a recuperare con la cura Cimoli e nonostante il caro-petrolio che sta massacrando tutto il settore aeronautico. Sarebbero informazioni interessanti da sapere, no? Le troveremo sui giornali?

Vediamo... Intanto, io sabato vado a San Francisco ma con AirFrance...

Orfani di tutto il mondo...

ALLA RIPARTENZA DELLA stagione televisiva italiana (da noi comincia a metà settembre) le novità sono lo sbarco della nuova generazione di telefilm americani (Desperate Housewives e a seguire nei prossimi mesi Lost, tutto su RaiDue), il calcio a Mediaset con tutto quel che comporta (due balle così...) ed Enrico Mentana, che s'inventa il format del futuro ma poi si dimentica di portarlo in televisione, con Matrix (l'unico parallelo possibile è quello con l'ipotetica prole di Verissimo accoppiato alle Iene).

Glissiamo su Mentana, glissiamo sul calcio, e prima di dire due cose sulle casalinghe disperate una informazione di servizio: quelli che si sono abituati - a quanto pare ci sono e non sono pochi - a seguire in diretta le serie televisive negli Stati Uniti avevano fino a giugno un sito di riferimento (in inglese), TvTome, la Wikipedia della tivù americana. Bello, ma poi è stato comprato da CNet (gruppo editoriale online) che lo ha trasformato in TV.com, che fa veramente schifo. Ecco, adesso la rete ha partorito un altro database spontaneo e ben fatto con tutte le info e le recensioni del caso dedicato a chi non vive se non riesce a sapere quando fanno la prossima serie di Lost. Si chiama The Tv IV Wiki ed è ben fatto.

Per Desperate Housewives, invece, un paio di cose mi vengono in mente: in italiano fa un effetto strano (soprattutto perché le nostre doppiatrici sono tutte donne toste e quadrata, con impostazione a metà tra l'annunciatrice e l'attrice di teatro classico) a cui ancora non mi sono mica tanto abituato. Ma soprattutto: RaiDue trasmette due puntate di fila, la prima con riassunto delle precedenti, introduzione, sigla e poi l'episodio. Ma la seconda compare a seguire la prima, senza riassunto delle precedenti (che è importante perché è un riassunto ragionato che permette di focalizzare quel che sta per succedere, cosa non da poco vista la trama articolata), con una introduzione pre-sigla che messa così alla cavolo a metà di due ore di trasmissione non torna proprio linguisticamente (ogni episodio mantiene la continuità con la serie ma è costruito come una piccola parabola autoconclusiva, tenuta insieme dalla voce narrante della defunta).

Ma soprattutto, e non credevo che avrei mai scritto una cosa del genere, non c'è pubblicità! Ma perché? Non piace il telefilm? Se l'è comprato tutto il detersivo che fa l'agghiacciante televendita a metà trasmissione? Ma vi rendete conto che ieri sera non sono riuscito ad andare in bagno perché non c'era una cavolo di interruzione? Siete matti?

12.9.05

Sta per tornare...

SONIC COMPIE QUINDICI anni tra tre mesi: nel 2006. E Sega lancerà un nuovo gioco con la sua mascotte per Xbox360 e PlayStation3. Io aspetto... Il resto della storia è qui.

11.9.05

Una lunga estate calda

C'E' UNA SCENA di The Long, Hot Summer, il film del 1958 tratto da alcuni racconti di William Faulkner (The Hamlet) diretto da Martin Ritt, che mi ha sempre molto colpito. La storia è quella di Ben Quick (interpretato da uno strepitoso Paul Newman), incendiario e prestante giovane in cerca di fortuna, affetto da un eccesso di personalità, che incontra nel suo perigrinare nel Sud degli Stati Uniti la famiglia Varner: il capofamiglia Will (Orson Welles), che domina sul paese e sui suoi familiari, lo smidollato e sensibile Jody Varner (Anthony Franciosa, promessa mai realizzata di Hollywood) sposato alla bella Eula (Lee Remick), l'amante di Will (Angela Lansbury, che non era una bella donna neanche all'epoca!), la figlia Clara (Joanne Woodward) intellettuale in cerca dell'amore vero che il pavoncello nobile innamorato della madre Alan Stewart (Richard Anderson) non si degna di accettare, seppur soffrendone un po' in filigrana.

La scena è il pic-nic del paesino, Frenchman's Bend, dove si fa l'asta delle signorine del paese col cestino di leccornie per beneficenza: un classico dell'America di provincia. Ben un po' si è innamorato di Clara o forse vuol solo fare carriera e infilarsi in casa (e nei possedimenti) di Will. Il quale vuole tiranneggiare e attrarre in famiglia Ben per compensare la mancanza di stomaco del figlio e il rischio di imparentarsi con lo snob smidollato Alan. Oppure è solo un burbero sessantaquattrenne che cerca di diventare immortale attraverso quei nipoti che invece tardano ad arrivare. Lei tentenna, vorrebbe che l'aristocratico matrofilo si decidesse, e odia Ben che le ricorda il padre. Ovvero, nel più puro stile freudiano, forse ne è attratta.

Insomma, al pic-nic Alan offre dieci dollari - cifra ragionevole - a cui Ben risponde con undici. Quando si arriva a rilanciare per un dollaro alla volta sino a sedici, Ben porta d'un tratto l'asta a cinquanta e vince il pic-nic ("Sarà il pollo arrosto più caro che avrai mai mangiato, figliolo", dice l'anziano battitore, e aggiunge: "Fatti dare anche il dolce, ragazzo, mi raccomando"). E lei? Lei va al pic-nic, mentre Alan guarda freddo, si fa vincere anche se poi, per esigenze di sceneggiatura, deve andare a riprenderla per accompagnarla a casa dopo uno dei più rapidi e costosi banchetti in campagna che la storia ricordi.

Ma voi ci pensate? Un'asta con i pretendenti! E' meraviglioso, geniale, freudiano. Ci vuole un'ora e mezza di film solo per costruire questa scena. C'è tutto, la competizione, la gara che ti fa entrare papa in conclave e uscire cardinale, la costrizione irragionevole dei riti sociali, il momento in cui si vede l'uomo in faccia. E tanta introspezione. Chi siete voi, quello che conta i soldi in tasca e offre una cifra ragionevole o il giovane leone con la fiamma della follia negli occhi che mangerà aria per il resto del mese? Oppure, chi siete voi, quella che cede con la scusa di onorare il debito contratto oppure quella che rompe lo schema e non ci sta? E' il gioco della vita, in una campagna americana in cui vivono i bovari del sud... Che meraviglia, solo quella scena vale un trattato di filosofia!

I'm Back, I'm Nationwide

PER PARAFRASARE GLI ZZ-Top, rieccomi. Abbiate pazienza, ma non è stato il lavoro, la disaffezione per la rete, la stitichezza grafologica o il bisogno di una pausa mentale per disintossicarmi il motivo per il quale da un bel po' di tempo non ho più scritto niente in questo Posto. No, la storia è un'altra: mi si era rotto il disco del computer. Maledetto lui.

Non voglio tediarvi con l'annosa vicenda, quanto ringraziare tutti quelli che a seguito dei tre articoli sull'argomento che ho scritto su Macity (uno, due e tre) continuano tuttora a scrivermi al ritmo di quaranta-cinquanta mail al giorno di solidarietà e sofferta partecipazione. Grazie! Ma quanti siete, là fuori? Soprattutto, quanti dischi rigidi del computer sono andati a pallino in questi anni? Parrebbe milioni...

Da ieri sera, però, il disco è tornato, sotto forma di un più capiente e veloce strumento di archiviazione dati. Sono felice anche perché con questo posso respirare e lavorare con più ordine. Devo tutto alla cortesia e all'amicizia di Mac@Work, del quale posso solo - se usate il Mac, avete problemi e siete dalle parti di Milano - consigliarvi di andare lì per trovare una soluzione ai vostri guai.

Ok, sono tornato. Pronto per mille nuove avventure. Tra l'altro, ho saltato un po' di notizie (l'ultima segnalata qui sotto era per l'attesa dell'evento-Apple che ha portato il Mactorola e l'iPod nano). Ma visto che qui si guarda sempre avanti, parleremo d'altro, di quello che succederà e non di quel che è successo.

Un'ultima cosa: se mi avete spedito mail negli ultimi giorni (dal 15 di agosto, per la precisione, data dell'ultimo backup completo di posta del mio computer, sino al 3 settembre, data della rottura del disco) rispeditemela perché è andata per sempre. Anche lo spam: odio l'idea di aver interrotto la mia collezione iniziata nel 1996...

Adesso, si ricomincia. A proposito: ma voi non avete fame?