30.4.07

Domenica americana

ORLANDO, FLORIDA, MA anche domenica, Doonesbury di Gary B. Trudeau. E colgo l'occasione per segnalare che quella contro la Cannabis, l'erba multiuso ed ecologica, sarebbe stata tutta una congiura ordita dalle multinazionali americane. Lo scrive Mondo Informato...

28.4.07

Domandina

VISTO CHE PARLO spesso di libri, una persona cara mi chiede se le posso consigliare un libro sull'amore perfetto. Quello senza compromessi, traumi o indecisioni. Quello insomma che neanche la Bibbia (fate che la vostra testa dica solo sì sì o no no). Quello che lei vorrebbe sapere se esiste e se qualcuno l'ha mai raccontato in un libro. Insomma, cosa potrebbe leggere? A me è venuto il panico: al massimo posso pensare ai Fantastici Quattro e alla storia d'amore tra Reed e Susan Richards. Ma non è esattamente un caposaldo della letteratura Occidentale...

Su, rendetevi utili, mica potete solo venire qui a leggere senza fare mai una ramazza, sapete? Allora? Idee? Nomi? Titoli?

Ah, Shakespeare non vale!

E le citazioni bibliografiche sono apprezzate di più se complete...

Panico!



POI, MAGARI, POTEVA finire anche senza bisogno di fare il botto. Non il libro, voglio dire, ma l'esperienza di lettura. In pratica, oggi ho girato l'ultima pagina di Memorie di un artista della delusione di Jonathan Lethem, che avevo segnalato più sotto. L'idea, scoprendolo pagina per pagina (visto che non conoscevo niente della sua "opera" e anche il libro l'ho preso fondamentalmente per quel cono gelato in copertina che secondo Mattia è una sottile metafora della delusione dell'artista-bambino quando gli casca il cono appena comprato) era diventata quella di finire prima della partenza di domattina per Orlando, metterlo via, macinarne altri due e poi fare una bella comparazione. Cioè, metterlo in pista con il buon DF Wallace e con l'italiano di cui adesso non mi ricordo il nome (tanto per dire quanto mi hanno colpito le sue prime cinque pagine) visto che gli elementi di somiglianza ci sono e scavando un po' si possono ipotizzare varie cose.

Ma poi, insomma, uno è sempre di corsa, non ha mai tempo. E alle volte, però, gli stress improvvisi ti fanno capire la fragilità dell'esistenza e l'urgenza di non aspettare domani. In buona sostanza, alle quattro di oggi, al tavolino all'aperto di "uno dei miei bar", dove quando ho bisogno di rilassarmi vado a perder tempo leggendo (anche dentro Milano, parrà incredibile, ma ci sono piccole oasi di sapore blandamente mediterraneo), ho girato l'ultima pagina, ho pagato il panino e il caffé e sono risalito sul motorino. Per rendermi conto con orrore che non avevo più il portafoglio nella tasca della giacca. Panico. Di quello duro, brutto, con il sapore di marmo che ti riga le gengive e poi ti spacca i denti. Dentro il portafoglio c'è la mia vita, che tra l'altro mi è ripassata davanti abbastanza accelerata (fogli, carte di credito, tessere varie, soldi, di tutto di più), con due pensieri fuori contesto. Il primo: oddìo, domani non vado in America, ora gli telefono e glielo dico, si vede che era destino. Il secondo: allora è così che si reagisce? Questo secondo, un discreto senso di straniamento dalla cronaca degli eventi, è uno di quei pallini fissi che da anni osservo. Cioè, osservo mentre osservo anziché partecipare: un giochino così, insomma.

E' iniziato con le volte che guardi un telefilm poliziesco e i buoni vanno a dire a un possibile sospetto del delitto che la persona in questione è morta. Guardi la reazione: stupore e mille altre varianti, a seconda dell'attore. E a seconda che sia colpevole o no. Cioè, che reciti perché l'ha ucciso lui oppure che "veramente" non lo sapesse che il tipo era morto ammazzato. Considerando che però è un telefilm, in cui i personaggi sono impersonati da attori che ovviamente recitano, è sempre una buffa sensazione di straniamento, quasi di alienazione.

Col portafoglio, inutile dirlo, ho fatto il botto. Panico ed emozioni varie, oltre alla considerazione oh no, not another time! (già un'altra volta mi avevano vuotato dalla tasca del giaccone il contenuto del portafoglio, graziando però il medesimo e i contenuti di altro genere). Del libro, per dire, non me ne fregava proprio niente. Eppure, tutto sommato, il botto forse era in onore alla conclusione della lettura. Boh, comunque sono tornato a casa perché in effetti non c'era versi che lo potessi aver perso fuori o che me lo avessero soffiato dato che non avevo avvicinato nessuno. E alla fine è risultato che l'avevo lasciato sul letto, a casa. Probabilmente, c'era cascato quando sono uscito, mentre mettevo altra roba nella tasca interna.

In buona sostanza, ecco perché - dopo che la mia vita per tramite di un portafogli fortunosamente ritrovato mi è passata davanti (a un certo punto in motorino mentre tornavo a casa ho anche pensato: che tempi di merda viviamo, ah quanto mi manca la vita solidale e bucolica vita di paese dove qualcuno in questi casi ti insegue dicendo: "Hai dimenticato il portafoglio sotto il tavolo!") - ho deciso che era il caso di scrivere qualcosa sul libro. Che cosa? Beh, che l'ho finito, che mi è piaciuto parecchio, che lo stile è originale ma il tema è simile a quelli alla DF Wallace, che adesso so un po' più cose della metropolitana di New York, di musica e registi, del rapporto della coppia creativa Stan Lee-Jack Kirby, di Philip K. Dick (che in realtà non amo particolarmente, ma ieri ne ho ricomprato uno suo che in realtà non avevo mai letto, sull'onda di questo libro) e di James Brown. E che il rapporto dell'artista con il padre anche lui artista, e comunque con tutta la famiglia "speciale", mi ha sistematicamente fatto pensare all'infanzia di Luca Sofri (pensa alle volte la vita cosa ti fa vedere dopo lo smarrimento di un portafogli, che peraltro ho comprato proprio su suo suggerimento) che poi in realtà che ne so di come è stata. E che me ne frega, se è per questo. Insomma, punto e a capo.

Il resto seguirà più avanti, quando mi sarò fatto abbastanza le ossa per approfondire il quesito a dire il vero più importante: cos'è questo stile a metà fra il giornalistico e il letterario che questi ragazzi (anche Lethem incrocia David Eggers, a un certo punto, e quindi tutto il resto della banda) tirano tutti fuori? E, cosa ne sta arrivando dalle nostre parti? Cosa stiamo facendo noi?

more to come

27.4.07

By the way, sono solo di passaggio...

NON NEL SENSO esistenziale del termine (tutti siamo di passaggio, su questa Terra), ma perché sono letteralmente tornato l'altro ieri da Madrid (dove pioveva) e dopodomani vado a Orlando, dove a quanto pare non piove. Per lavoro, of course. Anche se sogghigno guardando l'email di un tipo dagli Usa che mi dice "capisco che in questi giorni voi italiani abbiate dei giorni di vacanza per una vostra festività" [che poi sarebbe il 25 aprile, più che una vacanza, uno dei pochissimi giorni legittimati ad essere "giorno della memoria", almeno per chi crede ancora in quello straccio malconcio che è la nostra Costituzione e non ignora la storia o non è in malafede]. Ma, insomma.

Adesso, invece, si apre ufficialmente la stagione dei miei carpiati e salti mortali all'indietro e in avanti con doppio avvitamento. Finito di giocare con i bambini antipatici, è il momento di sfoderare la colonna sonora più giusta e passare oltre, al prossimo capitolo. Quello dove mi diverto. E siccome sono un tipo un po' "demode", che non è uno standard di tecnologia mobile giapponese come qualcuno pensa ma uno stato dell'anima di noi piccoli dentro, è il momento di farsi un regalo. Stanotte è il mio "Pink Floyd Day". Si comincia con la nuova colonna sonora di questo Posto: The Final Cut. E come urlava Roger Waters, fuck all that we've got to get on with these...

Quel buon maestro di vita che è il telefilm



COME SCRIVEVO POCHI giorni addietro, Aldo Grasso ti sorprende molto spesso. Avevo definito il suo nuovo libro, che ho letto in questi giorni, un "libro furbo", e devo ribadire che sicuramente lo è. Nel senso migliore del termine, ovviamente: come altrimenti definire un volumetto che comincia con prendere in giro Karl Popper, parlare solo di telefilm (e solo di quelli americani), mettendo in fila tutto quel che c'è da dire, giocando con il pubblico sempre più caratterizzato come "fandom" di questo genere della televisione e al tempo stesso togliendosi lo sfizio di mostrare un pezzo di storia che neanche scavando su Internet o nei forum degli appassionati si riesce in realtà a mettere insieme?

A parte l'unico telefilm purtroppo dimenticato (Battlestar Galactica) e una risaputa antipatia per Friends (sulla cui interpretazione non concordo del tutto), Buona Maestra edito da Mondadori e al costo contenuto di 15.50 euro vale davvero la pena. Con due avvertenze, una considerazione e una postilla.

La prima avvertenza è che si tratta per tre quarti dell'opera o poco più di una rimessa in ordine anche del lavoro di critico e recensore che Grasso quotidianamente svolge sul Corriere. Da qui infatti pare che scaturiscano le schede e le analisi nel dettaglio dei singoli telefilm. Non a caso dicevo che è un'opera furba: anche non trattandosi necessariamente di una rilettura (e se anche lo fosse, ne vale realmente la pena) il senso della coerenza e della capacità di mettere in ordine e a sistema il lavoro di anni di osservazione critica del piccolo schermo è tutt'altro che disprezzabile.

La seconda avvertenza è che le due appendici, proprio perché genuinamente scritte da mani diverse, arricchiscono ancora di più la capacità di guardare "dentro" il mondo dei telefilm di culto (il giovane accademico Massimo Scaglioni) e il fenomeno dei Simpson (l'appassionata Stefania Carini). Si tratta tutto sommato di assistere allo spettacolo messo in scena dalla scuola - l'unica in Italia, a quel che mi risulti - accademica e al tempo stesso giornalistica, che guarda in maniera sistematica la televisione e si sforza di raccontarla al resto di noi.

La considerazione: prima di tutto per la capacità rara di rimanere in equilibrio tra leggerezza e profondità di analisi, fortificata dalla capacità di offrire la migliore fotografia odierna dello strabismo culturale del nostro Paese, diviso tra i vecchi sceneggiati Rai, i suoi dirigenti e Umberto Eco da un lato e le scuole autoriali americane, i grandi produttori e sceneggiatori oltre al percorso che va da Lucy ed io sino alla rivoluzione di Hill Street giorno e notte e arriva ai giorni nostri. Senza dimenticare, ad esempio, l'idea di Steven Johnson che la televisione e i videogiochi ci nutrano e ci migliorino intellettualmente.

Poi, la postilla: il libro in questione è anche e soprattutto una storia d'amore. Quella di Aldo Grasso, spesso accusato (a torto) di essere "cattivo" e "acido" nelle sue critiche ma che in realtà dall'innamoramento giovanile per il cinema ha proseguito arrivando a quello professionale e non solo per la televisione, e il piccolo schermo. E come altrimenti definire la vita di un uomo che, peggiore tra le condanne possibili a mio avviso ma non per lui evidentemente, ha scelto di guardare il mondo attraverso il piccolo schermo e poi di raccontare il senso e la qualità dei suoi viaggia a tutti noi, che condividiamo lo stesso percorso ma non la stessa lucidità di analisi? Grasso è innamorato della televisione, la guarda anche quando noi in realtà la teniamo spenta, e come in tutti gli amori, le storie di sentimenti, vive i suoi momenti di trasporto, di dolcezza e alle volte di insofferenza o di giudizio più duro. E questo, dopotutto, è molto positivo, in un mondo di critici addomesticati al piacere dell'omaggio oppure di blogger con velleità di critica e la totale mancanza di preparazione al riguardo.

Quando si dice il caso...

IERI SERA GUARDAVO al computer Douane Hopwood, probabilmente il più interessante tra i film indipendenti girato per di più da uno degli attori-chiave di Friends, cioè David Schwimmer. Quello, peraltro, tecnicamente più bravo - lo si apprezza di più in lingua originale, anche perché si è beccato il doppiatore meno adatto in italiano.

Il caso è che il film lo danno stasera su Sky, ho letto sul Corriere. E' del 2005, ambientato ad Atlantic City ed è fondamentalmente la storia di un alcolizzato che perde tutto, lavoro moglie e figlie, preparandosi però a ripartire verso una nuova vita dalle macerie fumanti di quella precedente.

L'immagine neanche tanto in filigrana sarebbe dunque quella della seconda chance, ed è ben interpretata da Schwimmer, che riesce a tirare fuori un lato oscuro a luce attenuata, non completamente buio, presente in tutti noi. Il rischio, non totalmente evitato (basta vedere l'ultima scena in tribunale, nel quale la giudice si quasi-commuove al pistolotto "io amo mia moglie e i miei figli", oppure il doppio pranzo del Ringraziamento, che mostra le direzioni prese dalle due nuove famiglie) è di cadere nella retorica e nel melò. Schwimmer, però, sostanzialmente riesce nel difficile esercizio di equilibrismo tra il suo precedente ruolo con Friends e quello del personaggio iper-realistico.

L'ambientazione, una Atlantic City che dà l'idea di come Las Vegas potrebbe diventare in caso di un conflitto nucleare, è però probabilmente il maggior protagonista della pellicola. Il film in ogni caso si fa vedere più che volentieri. Era destinato fin dal principio allo schermo di casa e non al grande schermo, come ambizione interiore. Bella la fotografia. Un piccolo dubbio è capire se questo film rappresenta il tentativo di tirar su una nuova leva di attori cinematografici generaionali (in contro-tendenza, visto che adesso cercano tutti di fare telefilm) partendo dalla classe rappresentata da Friends, oppure se si cerca di costruire un pubblico generazionale sullo spirito del tempo che Schwimmer e una serie di altri registi e attori sanno impersonare. Personaggi in cerca di pubblico o pubblico in cerca di personaggi?

Non è finita. Infatti è strano che sia venuta fuori questa coincidenza di visione (mia) e palinsesto (Sky) proprio con il Corriere di oggi, dove infatti anche altri elementi sembrano inseguire le mie letture e le mie idee. Segnalo per questo un editoriale di Massimo Gaggi (con lui le sovrapposizioni di pensiero e sensibilità giornalistica stanno diventando inquietanti, dovremo un giorno incontrarci) in cui si gira intorno all'idea che siano i nuovi filatropi e benefattori americani - dai Warren Buffet ai Bill Gates - quelli che si stanno prendendo cura dello stato sociale.

Avevo sostenuto privatamente questa tesi più di un anno fa, quando lavoravo al progetto della rivista trimestrale Almanacco della Csr sulla responsabilità sociale d'impresa: il nuovo Capitale, quello delle grandi aziende e della corporate America sta portando avanti una sua idea di stato sociale in cui il welfare è sostituito in buona sostanza dalla beneficienza delle industrie. Si restituisce qualcosa di quel che si è preso. Manca però una organicità di progetto e visione - aggiungo io - e quando in Italia si è cercato di fare qualcosa di simile si è sostanzialmente teso a creare nicchie dalle quali far soldi, anziché istituzionalizzare la figura del buon samaritano.

26.4.07

It Rocks!

IN QUESTO MOMENTO negli Stati Uniti ci sono due serie televisive caratterizzate dal cosiddetto "show nello show". Ambientate cioè sul set di un'altra (finta) trasmissione televisiva. La prima, più celebrata per via dell'autore e del cast (Aaron Sorkin, che ha creato The West Wing, riuscendo a portare la politica in prima serata, e Matthew Perry, reduce dal personaggio di Chandler per Friends) è Studio 60 on the Sunset Strip, ma non ha avuto molto successo e tra pochi giorni verrà trasmessa "in minore" la seconda parte della stagione dopo una sospensione particolarmente lunga. La trasmissione televisiva fittizia alla quale lavorano gli attori di Studio 60 è una sorta di Saturday Night Live che dà il titolo al telefilm. I dialoghi serrati e complicati alla Sorkin (sono il suo marchio di fabbrica) vengono considerati il limite principale della serie.

L'altra, è divertente da morire. L'ha voluta Tina Fey, che per l'appunto nel vero Saturday Night Live conduce il finto telegiornale Weekend Update. Fey è anche uno dei capo-autori (il primo di sesso femminile) dello show ed è nata professionalmente come performer di stand-up comedy a The Second City di Chicago. L'altra serie televisiva "show nello show" si chiama 30 Rock ed è ambientata al numero trenta di Rockefeller Plaza, cioè nel Rockefeller Building, sede della Nbc che produce e trasmette lo show. Il finto show si chiama The Girlie Show.

30 Rock è alla prima stagione, iniziata a ottobre e destinata a finire oggi (tra poche ore, negli Usa), ha già vinto dei Golden Globe soprattutto grazie a uno straordinario Alec Baldwin ed ha un cast di tutto rilievo per affiatamento e tempi comici. Oltre a Baldwin, ci sono anche da segnalare Jane Krakowski (una vita passata come segretaria di Ally McBeal) e Tracy Morgan, anche lui proveniente dal Saturday Night Show. Gli ascolti di 30 Rock non sono andati malissimo (non sono stati neanche straordinari, però) e la serie viene monitorata anche da nuove straordinarie soluzioni tecnologiche di Nielsen, l'Auditel locale. Ci sarà una seconda stagione, spero godibile quanto la prima: le battute sono fulminanti e il ritmo notevole. Tutto è perfettamente fruibile, senza picchi in alto o in basso né nella trama né nelle storie dei personaggi. Io lo consiglio...

23.4.07

Tv Turnoff Week

INIZIA OGGI LA nuova edizione del Tv Turnoff, che dura tutta una settimana. Chi glielo dice che sono alcuni mesi che non accendo la mia? (Ehi, i telefilm via Internet non valgono, BTW)

TVShows, il demone dei torrenti

CI SONO COSE nella vita che ti rendi conto subito che dopo niente sarà più come prima. Un esempio? Questo...

Piratoni di tutta Europa, unitevi!

RIPORTO PARI PARI da questo sito dove si può firmare la petizione annessa:

Il 25 aprile, il Parlamento Europeo voterà per l'IPRED2 (Second Intellectual Property Enforcement Directive, ossia la seconda direttiva per il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale). Si rischia di trasformare in un sol colpo migliaia di innocenti cittadini e di aziende europei in "criminali della copia". Solo voi potete fermarli. Firmate la nostra petizione!

Se l'IPRED2 passerà nella sua forma attuale, anche "il favoreggiamento, il contributo e l'istigazione" all'infrazione del copyright su "scala commerciale" diventerà reato nell'Unione Europea.

Tra le sanzioni previste per i nuovi "reati di copia": l'interdizione permanente dalle attività commerciali, la confisca dei beni, la registrazione del reato sulla fedina penale e multe fino a €100000.

I fautori dell'IPRED2 sostengono che questi reati riguardano soltanto criminali professionisti che vendono merce contraffatta. Ma l'Europa ha già leggi contro questi truffatori. Presentando una buona dose di ambiguità e di termini lasciati senza una chiara definizione - tra questi "scala commerciale" e "istigazione" - l'IPRED2 amplierà il raggio d'intervento della polizia e trasformerà in sospettati aziende e consumatori legittimi, rallentando l'innovazione e limitando i vostri diritti digitali.

Extreme commuting

SETTE ORE AL giorno di pendolarismo: gli è valso il premio di dipendente che spende più tempo e percorre più strada ogni giorno per andare al lavoro (372 miglia, dalle montagne della Sierra sino a San José, in auto, ogni giorno: dev'essere proprio bella casa sua..). E' un record oppure la punta più avanzata di una nuova tendenza?



Il fatto è, come scrive Nick Paumgarten sul New Yorker, che il pendolare non vive bene. Anzi, per ogni dieci minuti di pendolarismo casa-lavoro, se ne va il 10% delle amicizie, sostiene Robert Putnam, autore di Bowling Alone, sulla fine della vita sociale in America.

Però, siccome gli extreme commuters, quelli che pendolano più di 90 minuti, negli Usa hanno raggiunto il massimo storico di 3,5 milioni, e anche gli altri pendolari "normali" aumentano, qualcosa sta bollendo in pentola da quelle parti. E forse bolle anche da noi. Chissà: bisognerebbe cominciare a scavare la notizia...

22.4.07

A cavallo del pranzo non si guarda il conto corrente

CRONACA DELLA PAUSA pranzo di oggi, domenica 22 aprile 2007. Poco tempo, una veloce fuga in centro col motorino - destinazione Scala, Palazzo Marino e soprattutto la Feltrinelli sotto la Galleria. Percorsi con sufficiente fastidio i luoghi della milanesità, la corsa agli acquisti. C'erano due libri che volevo comprare, uno nato da una suggestione di esattamente una settimana fa, quando la Domenica di Repubblica dedicava due pagine a uno dei mini-saggi del volume, e l'altro nato dalla coscienza (credo di averne letto la recensione di Edmondo Berselli su L'espresso, anche se a dire il vero Eddy parlava più che altro di sé e del suo pensiero) che mi avrebbe procurato intenso piacere leggerlo.

Quindi, prima commessa sotterranea di Feltrinelli, primo libro: Memorie di un artista della delusione, di Jonathan Lethem pubblicato da Minimum Fax (14 euro). Feltrinelli ci ha appiccicato proprio sopra la copertina l'adesivo "Novità", che ho prontamente rimosso e posizionato negli spazi bianchi della quarta. Bastardi. Chissà poi perché il cono gelato caduto sul fondo bianco del libro. Un mistero che mi porterò dietro per un po', perché non credo di riuscire a leggerlo a breve. Archiviato con piacere, va a finire in una speciale micro-pigna di libri piacevoli che spero proprio di leggere (non in quella enorme dei libri che vorrei dimenticare di aver comprato e iniziato o di quelli che ho comprato e talvolta iniziato ma di sicuro dimenticato). Di Lethem ignoro tutto, tranne il racconto citato prima dello spicchio d'infanzia riletto attraverso la metropolitana di New York. Approfondirò.

Secondo commesso, secondo libro. E una considerazione. Aldo Grasso è fatto così: non ti dice niente, alle volte pensi che potresti essere tu a spiegargli qualcosa, e poi all'improvviso se ne esce con il libro pressoché perfetto. Pubblicato da Mondadori nelle ormai per me mitologiche Strade Blu, ecco a voi Buona Maestra (15.50), il libro che spiega perché i telefilm sono diventati più importanti del cinema e dei libri. Strana copertina, strano primo capitolo, poi un crescendo che alterna interpretazione a storia e critica. Poi, non so, quando ho finito ve lo dico. Però, insomma, a me piace. Racconta quel che nel nostro piccolo anche noi di questo Posto (dico "noi" per indicare le anime multiple, che sono legione e che abitano dentro me) cerchiamo di raccontare, e lo fa con profondità e conoscenza. Un libro "furbo" nell'aver capito che lo spirito del tempo adesso passa dal telefilm, un libro maturo che forse apre una nuova fase della carriera di Aldo Grasso come scrittore più mainstream. Rimane il dubbio dell'eccesso di schedatura - che un po' spezza lo scorrere del volume - e il sospetto che manchi qualcosa. I telefilm a quanto pare sono tutti religiosamente americani e non tutti quelli secondo me importanti. Ma fatemi arrivare in fondo che se ne riparla.

Poi, adempiuto il compito prefisso da giorni, c'è spazio per svariare. Prima mi lascio incantare da Nora Ephron, la scrittrice americana che da noi a dire il vero non è mai arrivata. Se non in forma di sceneggiatrice con Harry ti presento Sally e varie altre cose (ma la sua carriera è molto di più, ha fatto anche la regista). Ecco dunque per Feltrinelli a 10 euro tondi tondi (confesso che è stato quest'ultimo il fattore decisivo) il suo Il collo mi fa impazzire. Bella copertina, sottotitolo "interessante", cioè Tormenti e beatitudini dell'essere donna, con la promessa di parlare dell'età di mezzo - quella tra gioventù prolungata e senilità - per una donna americana. Sono affascinato dai baby boomers e credo valga proprio la pena passare da questo piccolo rito misterico.

Quindi, vivaddio, un acquisto furbo, con tanto di sconto pre-calcolato del 20%: un Mulino collana Farsi un'idea, che s'intitola L'economia italiana, 8,80 euro lordi, scritto da L. Federico Signorini e Ignazio Visco. Due illustri tecnici dell'economia del nostro Paese, mi serve perché tra un po' dovrò occuparmi di queste materie e la caratteristica di questo tardivo clone dei francesi Que sais-je?, creata dalla Presses Universitaires de France nel 1941, è quella di fornire una rapida ricapitolazione senza sbavature, veloce ed economica. I Bignami degli adulti, praticamente. Insomma, l'ho preso tutto contento: c'era anche lo sconto...

Infine, collocato nella posizione penso più sfigata di tutta la Feltrinelli del Duomo, vale a dire proprio dietro il punto di informazione a destra del salone principale, tanto che bisogna inginocchiarsi e tutti ti guardano come se stessi facendo chissà quale brutta cosa (ma mica è colpa mia se la "W" è finita là) un Einaudi Stile Libero da mettere nella pigna precedentemente citata: Brevi interviste con uomini schifosi di David Foster Wallace. Il fatto che l'originale del 1999 (s'intitolava in inglese Brief Interviews with Hideous Men) risalga per l'appunto ad otto anni fa e non mi dia ansia comprarlo, vuol dire che forse esistono ancora cose da leggere che non invecchiano in sei mesi. Bene. Il costo di quest'ultimo è di 11,50 euro, ho utilizzato un sacco di punti della Feltrinelli per farmi fare lo sconto (ne avevo accumulato un discreto mucchio grazie a libri dei quali qui non ho mai parlato) e sono uscito felice in direzione del McDonalds della Galleria. Quale pranzo domenicale! C'era il nuovo menu San Francisco, di quelli che a rotazione fanno e tolgono, se ne sono andati altri 6.50 euro e poi il rientro mi è stato dolce e rilassato al di qua della mia siepe di pitosforo selvaggio.

Gary B. Trudeau

ESSENDO DOMENICA, E' anche il consueto momento di Gary. B. Trudeau, il fumetto sponsorizzato da questo Posto.

Eravamo tanto giovani

ERA IL GENNAIO del 2007, una vita fa (si fa per dire). E io scrivevo questa cosa relativa agli operatori telefonici su Macity:

In un mondo come questo, in cui la tecnologia più che potenzialità permette rapine legalizzate dal disinteresse degli operatori legislativi e dalle associazioni, è evidente che non esiste la possibilità di gestire in maniera razionale l'utilizzo degli apparecchi telefonici. Anzi, forse in alcuni paesi come il nostro la gioia e attenzione con la quale vengono accolti i telefoni cellulari dal punto di vista estetico o delle funzionalità "non telefoniche" sono una sorta di dimostrazione che le frustrazioni nell'altro senso sono fortissime. Nessuno si può neanche sognare di sfruttare al 10% le potenzialità di servizi degli apparecchi che abbiamo in tasca.

Poi, per fortuna, grazie al Governo, all'Antitrust, all'Authority e via dicendo è cambiato tutto. Non ve n'eravate accorti? Una rivoluzione... Non so chi devo ringraziare, quando guardo il mio estratto conto. Poi uno dice che il comico genovese è un idiota. Su un punto lui ed io siamo d'accordo...

21.4.07

User Generated Content (subculture emergenti)

C'E' TANTA DI quella emozione e palpitazione intorno ai contenuti generati dagli utenti, accumulati su piattaforme come YouTube e diffusi dai blog, che quasi mi gira la testa. Nel ruotare, mi ricordo dei romanzi "/", letteratura erotica femminile per donne a tema gay, in cui si creavano episodi "gaiden" di storie serializzate dalla televisione. Chessò, Starsky che finalmente ammette il suo amore per Hutch, Bo e Luke, TJ Hooker e il suo giovane assistente ispanico, il comandante Kirk e il signor Spock. Andando ancora più indietro i collage di fumetti e foto presi da riviste e rotocalchi, che diventavano un genere di arte decorativa. Ancora più indietro, le bambole di porcellana da vestire con mille abiti cuciti e ispirati ai veri figurini delle modiste. Con le bambole poi si faceva il té, con i collage poi si arredava una stanza (prima che arrivassero i poster due metri per uno), con i racconti "/" ciclostilati ci si infilava sotto le coperte e - presumo - si leggeva.

Quando le subculture emergono. Adesso infatti c'è YouTube e ci sono i blog, i racconti del nuovo "marketing reloaded" e una nuova fase adolescenziale della vita umana. Con i suoi riti, le sue parole chiave e i suoi dibattiti. Che in qualche modo erano stati già previsti dieci anni fa dal giapponese a capo di Namco, se non ricordo male, che diceva qualcosa che suonava più o meno così: "Stiamo entrando in un'epoca di intrattenimento spirituale, in cui le persone cercano cibo per le proprie anime e soddisfano le proprie curiosità". Lui fabbricava videogiochi e prevedeva un nuovo mondo in cui - tramite il computer - si sarebbero fuse realtà diverse.

Però, anche le onde del ricordo, oramai, viaggiano attraverso la rete. Questo è il tributo emozionale dei fan di The O.C. all'inno Forever Young che parla di appropriazione delle sfere emotive solo alle orecchie di chi passa il tempo a ricaricare il marketing.

Google

IL REPORTER DIGITALE tedesco racconta cos'è Google e cosa rappresenta. Utilizzando anche una intervista a Merissa Mayer, soggetto sul quale si potrebbe più avanti tornare a parlare visto il suo ruolo conosciuto solo nella Silicon Valley, a quanto pare...

20.4.07

Il piccolo chimico

COME TAGLIARE IL vetro con le forbici...



(non mi è ancora chiaro, però, cosa c'entri l'accendino...)

19.4.07

Angeli e demoni

CON IL SALONE del mobile a Milano arrivano strani e interessanti fenomeni. Uno su tutti: una nuova pubblicità in piazza Fontana, White Devil, Black Angel, con l'inversione dei colori rispetto al senso (non più cattivo=nero e buono=bianco) che è gustosa - per gli elettrodomestici Ardo. La pubblicità è dell'agenzia fiorentina Leader. C'è creatività anche fuori dal recinto milanese, a quanto pare...

18.4.07

Filodrammatica

UN BRUTTO CASO di dipendenza da Blackberry/Crackberry. Intanto, al mio si è rotta la "perla" e non funziona più... Meglio!

Iene, ragni e piccioni: animali privi di empatia

ALLA FINE, IL bisogno d'informazione è sempre presente: cambia solo il modo con il quale si fa approvvigionamento. La Chinatown in rivolta è diventata un fenomeno autonomo, una sorta di bolla del discorso che poco ha a che fare con quella parte di Milano in cui vivono cinesi e italiani, con le loro storie e con le loro vite.

Ci sono i servizi televisivi, spaziando dai Tg e talk show sino alle Iene. Ci sono le paginate dei giornali e dei periodici. Ci sono le inchieste-scoop come quella degli studenti della scuola di giornalismo della Cattolica - a metà fra Report di RaiTre e le Iene - che hanno messo la telecamera nascosta in un carrellino e sono andati a giro per il quartiere a vedere se i vigili gli avrebbero fatto la multa (alla fine: "gliela dobbiamo fare, mi dispiace, avremmo chiuso volentieri un occhio, ma oggi qui ci fotografano di nascosto questi cinesi") in un gioco di specchi e contro-specchi degno di miglior causa. Ci sono persino i blogger, oltre al mondo della "contro-informazione" e dei media alternativi. Tutti a parlare, ad esprimere opinioni come se queste fossero informazioni.

Il senso di insoddisfazione, infatti, è profondo: l'evento è una bolla, autonoma rispetto alla realtà di un posto. Come dice il proprietario di un altro bar dove vado, questa volta uno spilungone italiano un po' stralunato, c'è che "quando sei vicino alla notizia e poi la leggi, ti rendi conto di quante balle ti raccontino. E' in quei momenti che ci fai la tara e pensi che se è così questa volta che qualcosa ne sai perché lo hai visto, allora anche le altre volte che non c'eri dev'essere stato così...".

Un problema esiste, e non ha niente a che vedere con i cinesi ma con l'anima di chi informa gli altri. Manca da parte di chi racconta i fatti la capacità di andare al di sotto, in profondità, di una rappresentazione stereotipata di quel che avviene. Manca anche, se è per questo, qualcuno che parli cinese, ad esempio. Come mancava la settimana scorsa quando ci sono stati gli scontri, ma questo è un problema dell'amministrazione locale.

Il senso più difficile a raggiungersi, al di sotto di questa bolla e delle varie campane che vi risuonano, è che ci sono una serie di spaccature. Cleavages, come si dice nei manuali di Scienza della politica. Chi racconta è ignorante, oppure furbo, oppure cinico e rispecchia (o pensa di rispecchiare) il mondo verso il quale comunica. E' un bestiario che segue interessi differenti e non ha probabilmente alcun desiderio di avvicinarsi e provare un po' di empatia. Non identificazione, non tifo, non odio, non cinismo, non ignoranza, non presupponenza, non sciacallaggio. Semplicemente empatia.

16.4.07

Wen

LEI SI CHIAMAVA Wen, era una delle ragazze che nel tempo hanno lavorato al bar dove tutte le mattine vado a fare colazione, quando sono a casa mia a Milano, proprio in piena Chinatown.

Aveva scelto come nome italiano Chiara (è tradizione della diaspora cinese prendere un nuovo nome di battesimo nella lingua del posto dove si sono trasferiti), era fidanzata con un ragazzo sardo, poi si sono lasciati - per un periodo la coda per prendere il caffé era diventata davvero fastidiosa - e poi ne deve aver trovato un altro (li ho visti una volta, credo, all'altro capo di via Paolo Sarpi camminare in cerca di qualcosa tra i negozi) perché ha mollato tutto e qui nel quartiere non se ne hanno più notizie.

Wen era un ragazza davvero carina, dall'età indefinibile (poi, nel 2006, mi disse una volta che erano 31 anni) e con gli occhi di una gatta, lunghi e grandi. Aveva imparato decisamente bene l'italiano, nonostante fosse venuta nel nostro paese da un paio d'anni. La sorella maggiore era in Sicilia, a lavorare. Lei aveva trovato un appartamento - praticamente fuori Milano - con altre due o tre ragazze gestito da un affitta-camere sempre cinese. Si sciroppava un discreto viaggio tra bus e torpedoni vari per arrivare al bar, dove faceva peraltro un turno centrale nella giornata. Quando faceva tardi l'ho vista sulla macchina di Mario, il proprietario (che parlava italiano molto peggio, pur essendo arrivato in Italia dalla Cina del sud ,vent'anni fa) mentre la riaccompagnava a casa, secondo me attirandosi l'antipatia decisa di Elena, la moglie (sempre cinese, molto bella e sempre scarsa in italiano) di Mario.

Già, perché la caratteristica di Wen era quella di essere antipatica. Soprattutto alle donne. Forse perché veniva fuori che era molto simpatica agli uomini. E poi, parlando benino l'italiano, attirava davvero delle belle file di clienti: in cerca di caffè, di una ragazza esotica e - perché no - anche di una moglie più tradizionale e meno difficile da gestre delle sue coetanee italiane.

Il fatto è che Wen era di Pechino - o Beijing, come si dovrebbe dire - e parlava un cinese diverso da quello di tutti gli altri qui intorno. E la cosa non contribuiva a renderla simpatica, anche perché l'accento della capitale è lezioso e dicono un po' anche odioso, dato che "suona" forse di potere o di soprusi, o magari di centro in una terra che è invece un'infinita provincia. Il padre di Wen, se non ricordo male, era medico. E aveva più di sei figli, alla faccia delle leggi per la famiglia mono-pupo in vigore nella campagna. E poi Wen l'italiano lo studiava, voleva fare conversazione - migliorando sia la pronuncia che le chances di passare in rassegna i possibili candidati nostrani - e sapeva anche spiegarti qualcosa che gli altri cinesi non ti sanno spiegare, cioè le regole della loro lingua. In questo, sembrava più "normale", perché c'erano non solo la possibilità di pensare che fossimo tutti studentelli di un Erasmus un po' più allargato, ma anche di parlare con persone che comunicano con una lingua aliena, priva di tratti comuni. Provateci voi a farvi capire a gesti e verbi all'infinito quando l'interlocutore gesticola tutto in un'altra maniera e non ha radici verbali comuni.

Poi Wen se n'è andata. La mia vicina di casa, quando ancora ci parlavamo, l'avrebbe definita una "pericolosa, che ti vuole sposare per sistemarsi". Ne conosco di ragazzi che magari hanno anche un lavoro fisso e vorrebbero sposarsi e sistemarsi con una donna che abbia le due qualità tribali fondamentali: sia servizievole e carina (fedele in Italia lo si tende a dare per scontato, visto le sanzioni sociali che ancora persistono verso le donne in questo settore). Lei magari avrà trovato il suo buon partito e appeso il cappellino all'attaccapanni di qualcuno, oppure sarà stato solo un passaggio del suo viaggio.

Anche questa apparente chiave di lettura spiega perché non piacesse agli altri: pericolosa, gattamorta e sorniona, oltretutto pronta a rinnegare la famiglia e i vincoli etnico-culturali sposando un balbuziente (cioè un barbaro, come dicevano i romani degli stranieri che non sapevano parlare fluidamente la lingua latina). La determinazione e l'ambizione a me hanno sempre fatto pensare alla disperazione che ci può essere dietro, e al peso psicologico che molti pagano per tenere insieme pezzi così diversi.

Ma sono miei pensieri, di quelli che vengono quando, parafrasando la pietra che gli altri adorano e che quindi noi dovremmo almeno rispettare, mi chiedo se sia lecito giudicare la felicità e le forme varie e talvolta improbabili con le quali si può manifestare.

Chissà dov'è adesso, Wen. Chissà quanto interessa ai cameramen che anche stamani girano a fare interviste o immagini su e giù per Chinatown. Soprattutto, chissà quando questi ultimi si leveranno dai piedi e lasceranno campo libero a chi ci vive, ci lavora e ci prende il caffè.

Perché dobbiamo cambiare l'ora?

SEMBRA UNA COSA un po' scontata, ma alla fine perché dobbiamo rimettere l'orologio due volte all'anno? Perché c'è l'ora legale? Negli Usa, adesso che è cambiata la data per volontà del Governo americano con lo scopo di migliorare l'impatto dei consumi con l'allungarsi o l'accorciarsi delle giornate, c'è chi si chiede se questa spiegazione sia valida. A quanto pare, è un'idea un po' sciocca: non si risparmia mica... Io preferirei non cambiare l'ora, e adattarmi al ritmo delle stagioni. Già, ma a me dà noia anche l'orologio.

15.4.07

Questa sì che è una bella famigliola

DOMENICA, DOONESBURY, GARY B. Trudeau e un simpatico quadretto dei candidati repubblicani e democratici alla Casa Bianca.

14.4.07

Le siepi del mondo

OGGI E' UNA giornata di quelle spettacolari: oltre la siepe di pitosforo selvatico, davanti alla finestra del mio studio, c'è un mondo di uccelli che cinguettano, di voci della strada lontane ed attutite. Nessun clacson qui, ma il sole primaverile che inonda Milano fa quasi rumore da quanto è intenso oggi.

Nella tanto disprezzata zona di Paolo Sarpi, dove oggi la calma regna sovrana e i tatzebao in cinese svolgono la loro funzione di orologio sociale analogo a quello dei tatzebao in italiano venduti in edicola o trasmessi in tivù, gli affitti sono un po' più bassi e nelle corti delle case ci sono piccoli e pacifici giardini. Anche il gatto che vive giù dabbasso è rilassato e dormicchia in quello che a me piace chiamare il mio "orto concluso".

E pensare che mi si è rotto il BlackBerry ed ho scoperto, di conseguenza, che se mi sta venendo l'esaurimento nervoso è fondamentalmente per colpa sua. Non è il troppo lavoro (passerò il sabato e la domenica, tanto per cambiare, a lavorare) ma il troppo pressare del mondo a fare la differenza in negativo. Si può lavorare tanto, soprattutto se si ama il proprio lavoro. Anche per lunghi periodi. Anche noi indomabili oziosi. L'importante è di evitare che il mondo interagisca troppo. E per troppo, intendo con 400 email al giorno. Vi sembrano poche? A me ne avanzano, se volete un po' ve le giro...

13.4.07

Quando il phishing si fa esperto

DOPO ANNI DI mail farlocche e mal tradotte, rivolte ad improbabili utenti di istituti di credito statunitensi, ecco che arriva il phishing (la truffa online con annesso furto di identità digitale e svuotamento dei conti correnti) rivolto ai clienti di Bancoposta e devo dire ben fatto, con tanto di quell'ottuso burocratichese che ci si potrebbe tranquillamente aspettare dalle Poste nostrane. Però, se ricevete una mail il cui oggetto e contenuto sono i seguenti, buttatela via!

Comunicazione nr. 92483 del 13 Aprile 2007 - Leggere con attenzione

Gentile Cliente,

Nell'ambito di un progetto di verifica dei data anagrafici forniti durante la sottoscrizione dei servizi di Posteitaliane e stata riscontrata una incongruenza relativa ai dati anagrafici in oggetto da Lei forniti all momento della sottoscrizione contrattuale.

L'inserimento dei dati alterati puo costituire motivo di interruzione del servizio secondo gli art. 135 e 137/c da Lei accettati al momento della sottoscrizione, oltre a costituire reato penalmente perseguibile secondo il C.P.P ar.415 del 2001 relativo alla legge contro il riciclaggio e la transparenza dei dati forniti in auto certificazione.

Per ovviare al problema e necessaria la verifica e l'aggiornamento dei dati relativi all'anaagrafica dell'Intestatario dei servizi Postali.
Effetuare l'aggiornamento dei dati cliccando sul seguente collegamento sicuro:


etc. etc.

Un mondo di informazioni all'ingrosso

AL GIORNALE RADIO della Lombardia raccontano della Moratti che non fa sconti a nessuno e del governo di Pechino che chiede chiarimenti sui disordini di ieri. I vigili sono in pausa panino mentre la comunità cinese di Paolo Sarpi a Milano, attraverso i suoi rappresentanti, rilancia l'idea di una zona esterna al centro della città dove riorganizzare la presenza di magazzini e ingrossi (peraltro comprati qui per contanti e non a pochi soldi dai suddetti cinesi).

Negli ultimi sette anni ci sono due tipi di furgoni e auto che si fermano al volo e in doppia fila per scaricare sui famosi "carrellini" scatole e scatole di "roba". Quando sono arrivato qui in parecchi mi dicevano che "non è mica possibile che campino scaricando solo quelle scatole: chissà cosa c'è dentro, e comunque qui ci dev'essere droga e riciclaggio di soldi sporchi". Quest'ultima nota, soprattutto perché i cinesi pare abbiano l'abitudine di fatturare tutto e tenere bolle d'accompagnamento e altri adempimenti contabili in primo piano. Ma quel che arriva con i furgoni guidati da altri cinesi (primo tipo) sono scatole che poi auto e furgoni guidati da italiani (secondo tipo) caricano su e portano via.

A chi "rubano" e cosa "spacciano" i cinesini? Per "spacciare", non ce lo dimentichiamo, spacciano alle mercerie e botteghe - tutte italiane - di mezzo Belpaese. A centinaia di commercianti italiani che comprano qui perché costa meno e rivendono con ricarichi tra il 150% e il 200% (e punte del 400%), spesso senza neanche emettere un mezzo scontrino fiscale (per giustificare le fatture emesse dai fornitori all'ingrosso cinesi, in presenza di tali ricarichi nella vendita al dettaglio, gli basta fatturare metà per essere già "a posto" con gli eventuali controlli fiscali, il resto viene via tutto al nero). Vendono tute da ginnastica, scarpe, jeans, bigiotteria, abbigliamento, centinaia di tipi diversi di beni. Che non sono necessariamente prodotti solo da cinesi affastellati in capannoni come schiavi tra la Cina e le periferie nostrane. Non ci sono falsi, per carità (non passano da qui). Ma molto di quel che viene prodotto ha origini tutte italiane. Sono i terzisti italiani (spesso con manovalanza cinese o araba) che riforniscono le nostre griffe "basse" dell'abbigliamento, con giochini fatti come matrioske di partecipazioni e controlli societari di Sas e Srl, a produrre anche un consistente extra che poi rivendono ai buyer dei grossisti cinesi. Sempre a prezzi molto bassi; molto più bassi delle produzioni "alte". Vendono pezzi difettati o "facili", senza il ricarico che il fornitore terzista può chiedere alla griffe, e che passano così nel mercato "povero", dove a fare la differenza sono la quantità e non la griffe.

Quando Aristotele parlava delle differenze, sottolineava che ciò che è differente da qualcosa è sempre differente per qualcosa, tanto che necessariamente ci deve essere qualcosa di identico in base a cui si possa dire che sono differenti. Chissà se ci chiediamo, noi popolo di santi, poeti e naviganti (oltre che di emigranti, di lavoratori al nero, di mafiosi e di copioni, e di innovatori di prodotto, di rivenditori a basso prezzo quando il made in Italy era ancora da inventare e percepito come un pericolo, di piccole imprese, di diaspore in tutto il mondo, di città ghetto nelle città moderne e scintillanti dove andammo a vivere, di imprenditori che sognarono di aprire "il ristorante" nel paese dove si trovarono a commerciare) tanto attenti a vedere la differenza linguistica, culturale ed etnica, in che cosa siamo in realtà identici. E se questa identità non sia una base per conoscersi.

La rivolta dei boxer della città nella città

ADESSO E' IL momento del mondo. Tutti hanno opinioni e fatti da riportare e raccontare su Chinatown (godibili le mappe e infografiche sui giornali di oggi che fanno immaginare le descrizioni dei quartieri di Bagdad o le forze in campo nello scacchiere mediorientale). Ragazzi, buon divertimento. Stamattina ci sono una ventina di vigili (soprattutto uomini, soprattutto motociclisti) in quattro posti di blocco diversi, non passa un furgone per la consegna delle merci, la Moratti non fa sconti per nessuno.

Da notare che stamani ho anche comprato una marca da bollo da un tabaccaio proprio nel cuore della Chinatown milanese - dopotutto, ci abito da sette anni - e volevo pagare col bancomat. Il milanesissimo signore mi ha spiegato che col bancomat "le devo fare l'1% del prezzo in più". Perché? Perché sulle marche da bollo lui ha un ricarico al massimo dell'1% e la banca vuole di commissione l'1% per l'uso del bancomat. "Quindi, lei capisce, io mi devo tutelare, sennò non ci guadagno niente". Cool. Come alternativa, mi ha indicato la porta e suggerito di andare io a fare un bancomat per avere i contanti. Ovviamente ho pagato con una banconota e non con il bancomat.

L'edicolante, il bar e un paio di altri luoghi topici della mia vita nel quartiere hanno capannelli di italiani e cinesi, con una ridda di racconti, ipotesi, commenti e spiegazioni da dare. La cosa più simpatica però sono i furgoni satellitari di un paio di televisioni e le quattro camera-crews che girano "facendo immagini" del quartiere. Dall'altro lato del marciapiede c'era una cameraman che riprendeva a tratti il lato della strada dove passavo (Paolo Sapri), interrompendo continuamente con sbuffi e alzate di obiettivo la registrazione. Saranno le auto che passano che le rompono le scatole, ho pensato. Poi, mi sono fermato a guardare: c'era un negozio-ingrosso con tre ragazzi cinesi: due seduti sui gradini e uno che fumava in piedi. Proprio prima della fermata dell'autobus dove cinque o sei italiani e persone di altre etnie - il solito mondo di vecchiette e badanti che girano in autobus - aspettava il 43. Le interruzioni della cameraman erano sincronizzate con l'entrata in campo degli italiani di passaggio (tra cui io) o comunque di gente che non fosse cinese. Mi sa che voleva un'immagine pulita del capannello di sediziosi - e un po' sfaccendati - cinesi. Quello della telecamera è un occhio: a seconda di dove guardi si vede una realtà diversa. Nelle grandi come nelle piccole cose. E siccome il diavolo sta nei particolari, mi sa che proprio quelli cercava di mettere insieme. Magari le hanno detto: "E torna con delle cacchio di immagini in cui si vedano questi cacchio di cinesi da tutte le parti, come le formiche gialle. E le bandiere rosse. E il disagio sociale". Ecco, due su tre e pure prima del cappuccino.

Le forze dell'ordine vigilano con l'autorevolezza degli occhiali a specchio e degli stivali neri. Non so chi ringraziare se non la mancanza di una qualsiasi politica di integrazione. Però c'è il sole. A Milano gira la battuta: se l'effetto del riscaldamento globale è di avere delle belle giornate di sole a Milano, io ci sto. Non si avvertono quella tensione palpabile o quelle masse di popolo in rivolta che si accompagnano alle sollevazioni raccontate dai giornali. Ma forse sono solo io che viaggiando a Pechino e abitando a Chinatown mi sono fatto idee diverse dal resto della comunità "bianca". C'è chi scherzando la definisce "la rivolta dei boxer". Sono concentrato su altri progetti, non ho materialmente la possibilità di gettarmi in strada neanche oggi per seguire e raccontare come vorrei e come il mio lavoro mi ha insegnato a fare quel che succede. Ripiego su questo diario minimo: perdonatemi se vi annoia.

12.4.07

Grosso guaio a Chinatown II

DOPO I FATTI, le reazioni. Incontro un collega in bicicletta (c'è un sacco di gente del Sole 24 Ore che abita in questa zona perché sino a un paio di anni fa era qui vicino anche la sede del giornale) che mi dice, dopo avergli sommariamente spiegato cosa è appena successo: "E' tutta colpa della mafia cinese, io lo so, quelli sono fetenti: ho abitato in posti pieni di marocchini e magrebini e mafiosi anche italiani, ma i cinesi sono i peggiori".

Telefonata a un altro collega: mi spiega lui (che è da tutt'altra parte della città) cosa sta succedendo e soprattutto cosa farebbe lui: un raid di elicotteri con il napalm.

Giro in rete: i più buoni tra i commenti pubblici riportati dai giornali online sono quelli della Moratti, il sindaco di Milano: è tutta colpa degli immigrati".

Qui non c'è la "polveriera che sta per esplodere" (come dice un altro amico per telefono) ma un problema diverso. La xenofobia di chi pensa che illegalità ed esasperazione dipendano dal colore della pelle.
(fine)

Grosso guaio a Chinatown

(ERANO ANNI CHE volevo fare un titolo così...)



Live from Paolo Sarpi in Milan
Le cose si fanno complicate nel quartiere cinese di Milano: decine di poliziotti in assetto anti-sommossa, vigili urbani come le mosche e una folla di cinesi inferociti. A quanto pare, stamani una vigilessa per ritirare una licenza ad un esercizio gestito da alcuni cinesi in via Niccolini, nel cuore della Chinatown che gira intorno a via Paolo Sarpi nella zona nord di Milano, ha avuto una colluttazione prima con la donna e poi con altre persone della comunità cinese. Bloccate al traffico via Paolo Sarpi e via Niccolini, un centinaio di cinesi davanti al negozio, macchine sfasciate (due) e un nutrito contingente di poliziotti che pare abbia il duplice compito di calmare gli animi (dei vigili) e reprimere la protesta (dei cinesi).



I curiosi abbondano, la doppia comunità - italiana e cinese - che vive nella zona è tutta in strada a vedere lo spettacolo in una assolata e calda giornata. Gli sviluppi saranno interessanti: per adesso nessuna carica. E per fortuna, visto che Niccolini è una strada stretta ed è facile per le opposte fazioni rimanere insaccate facendo esplodere la situazione.
(segue?)

Poetico

TRA UN PO' esce Halo 3...

This is why our network's great

UN IMMIGRATO CLANDESTINO negli Usa si ubriaca e guidando travolge delle persone. Argomento sul quale Fox Channel (parecchio di destra) ci sguazza, soprattutto il conduttore di O'Reilly Factor, cioè Bill O'Reilly. Ma il conduttore di un altro popolare programma dell'emittente, Geraldo Rivera, no. Per dirla in un altro modo: le risse sui network americani durano cinque minuti e finiscono con una stretta di mano e i complimenti per l'apertura di vedute della rete. Un altro stile...

10.4.07

Preferisco la bionda

GUARDAVO QUESTA FOTO e mi dicevo: ehi, però, mi piacerebbe una televisione così... Guardavo la foto... Una televisione così... Mi piacerebbe...



Poi, con un sussulto: ma io guardo la foto e ci vedo una televisione? Ma sono diventato scemo?

Music and Lyrics

NON SO SE sia uscito in Italia. Negli Usa era fuori per San Valentino e in Gran Bretagna poco prima. E' un film di cassetta. Uno di quelli che tra vent'anni rivedrò in televisione (o quel cavolo che tra vent'anni useremo) stupendomi. Così come mi stupisco oggi. Ci avete mai fatto caso? Escono decine di film praticamente invisibili, che poi rivedi in televisione anni dopo e non ti ricordi quando diavolo sono stati al cinema. Magari un fine settimana o due, chi può dirlo. Comunque, ci passi una serata e ti rilassi.

Questo è Music and Lyrics, commedia romantica perfetta per il giorno degli innamorati, con Hugh Grant e Drew Barrymore. Lui 46 anni e tanta voglia di essere un Cary Grant di oggi, lei una più giovane (è del 1975) attrice sulla scia di Ginger Rogers con in più il fatto di essere un'ex talento precoce, uno squalo-produttrice e una power girl di Hollywood.

La storia è semplice e divertente: lui è "l'altro" di una pop-band degli anni Ottanta a metà fra gli Wham! e i Duran Duran. Il tizio che ha avuto successo è il biondo - nel film si intravede solo all'inizio - mentre lui tira a campare con il suo manager suonando ai ritrovi di ex-alunni del liceo. Un giorno ecco che arriva l'occasione: scrivere una canzone da cantare insieme alla nuova pop-idol erotico-mistico-buddista del momento (a metà fra Britney Spears e Christina Aguilera), cioè Cora (interpretata da una clamorosa Haley Bennet, che è già sotto contratto per altri tre film) e cantarla con lei al Madison Square Garden di New York. Serve un testo "forte" e una buona musica: la ragazza che annaffia le piante dell'appartamento, cioè la Barrymore, si scopre essere una geniale "paroliera" e parte la commedia degli equivoci e degli innamoramenti. Tutti hanno un segreto e un punto debole. Lei è bravissima ma "interrotta" da un cattivo maestro, lui invece vive nel passato ma ama la musica e soprattutto vorrebbe suonare qualcosa che, come per i Beatles, sia la cena e non l'antipasto della cultura pop.


(Grazie a Filippo per il link)


L'amore trionferà, of course. E soprattutto l'ora e mezza del film viene via che è un piacere, anche guardando un brutto screener amatoriale. Oltretutto, entrambi cantano in maniera più che decente, segno questo che a) il pop è un po' una cosa minima b) il talento è sopperibile con l'addestramento.

Valutazione? Uno di quei film che costano due lire e ne rendono cento, quando azzecchi la chimica dei protagonisti. Qui, con una Barrymore con occhioni di cerbiatto e un Grant sfigato e un po' bollito (tra i due la differenza d'età è di 15 anni secchi, proprio come ai vecchi tempi della Hollywood che abbiamo tutti tatuata nel cervelletto) di chimica ce n'è in abbondanza. Intelligente anche come idea. E come al solito realizzata con un livello di scrittura notevolissimo. Un esempio dei mille: uno dei personaggi di sfondo - il negrone che rappa nella band di Cora - prende in simpatia Barrymore e la cosa è plausibile visti i personaggi. Poi, al concerto finale, sarà proprio lui a risolvere un potenziale problema di sceneggiatura facendola entrare nel backstage per l'happy ending. Insomma, tutti i cerchi si chiudono e nessuna parentesi resta aperta. Cento chiodi? Ma de che...

Mica sempre deve venire bene, no?

LI CITO SEMPRE a lezione (e non solo) come piccoli capolavori dell'arte pubblicitaria. Ma in realtà, l'ultimo spot di Apple, passato a sorpresa qualche notte fa negli Usa, è un po' una ciofechina. Esteticamente bello, emoziona tanto quanto un mobile Ikea. E poi, se guardate bene, l'Apple Tv ha un solo cavo - quello dell'alimentazione - che esce fuori... sigh.

8.4.07

Domenica pasquale

MA PUR SEMPRE domenica, quindi Doonesbury di Gary B. Trudeau (cliccando s'ingrandisce)

7.4.07

Adieu, mon ami

NON ME N'ERO accorto, ma un altro vecchio amico ha staccato la spina. Addio, Zophar e grazie per tutto il pesce...

Il sabato fra venerdì e domenica

OGGI E' IL giorno del silenzio di Dio. L'unico silenzio che si possa definire assordante. Dovremmo prestare attenzione e cercare di ascoltarlo.

5.4.07

Augh!

MI SONO LANCIATO, e ho cominciato a leggere Manituana il tomo seicentesco (inteso come numero di pagine) di Wu Ming, l'autore collettivo che... beh, andiamo con ordine.

Il signor Ming è geniale nella poliedricità dei suoi toni. Nonostante parti del collettivo, già noto come Luther Blisset, si lancino in opere singole con alterne fortune, è nella scrittura multipla che danno il meglio. Q e poi 54, nonostante siano quelli più citati, comunque piacciono e non poco. Manituana, nelle prime 66 pagine è già inserito in quella strada di lentezza orchestrata e tornita che caratterizza la loro scrittura.

Ciò che stupisce di Wu Ming, nonostante sia un appassionato lettore della loro newsletter via email, è la capacità di saltare da un piano di comunicazione all'altro, da uno stile all'altro. Hanno creato un'alchimia, unendo le anime frammentate delle loro esistenze in un respiro potente. Però... Intanto me lo leggo, poi vi dico.

4.4.07

Lei non sa chi sono io...

ALLORA, SICCOME ALITALIA cancellerà tutte le miglia accumulate da tutti il prossimo 31 dicembre, in controtendenza con i regolamenti della maggior parte delle principali compagnie aeree che cancellano solo quelle di chi non vola per 18-36 mesi, mi pare opportuno fornire un servizio a chi trovi la notizia negativa e voglia protestare.

Si può mandare un fax all'Ufficio relazioni con la clientela, 06 - 6563 2577, oppure spedire una mail ad esempio al club Freccia Alata (se siete iscritti) chiedendo poi di girarla all'indirizzo corretto (così mi ha detto la signorina del Call Center quando ho chiamato). L'indirizzo è clubfrecciaalata (AT) alitalia.it

Più gente lo fa, più è facile che Alitalia ci ripensi. Altrimenti, mi suggeriva un amico stamani, ci possono sempre ripensare i clienti.

La difficile vita del giovane Toto Pessoa, che fatica con le scarpe sporche di polvere digitale

DICEVA NON MI ricordo più quale giornalista "storico" del nostro Paese che le scarpe del cronista si devono consumare. Se non gli fanno male i piedi, la sera, vuol dire che non ha fatto bene il suo lavoro.

Nelle mie peregrinazioni dentro Second Life con il nome di Toto Pessoa per conto di Radio24 - siamo giunti alla quarta settimana, che poi sarebbe un mese - ho visto cose che voi umani etc. etc. Ma soprattutto, sono sommerso di persone. Io credevo: vai in un mondo virtuale e là saranno i panorami digitali a colpirti, lo strano, l'incredibile, il surreale, magari anche il vietato. Invece no, sei stupito dalle persone. Italiani, francesi, tedeschi, spagnoli, americani e britannici (vallo a sapere chi sono) che incontri. Tutti disponibili, motivati, educati e pure un po' troppo per bene.

Il punto è che sono tanti. Davvero tanti. Dicono in molti - dal punto di vista proprio della popolazione virtuale - che Second Life è un po' una fregatura, nel senso che non ci sono quelle folle oceaniche che piacciono tanto ai guru del Web 2.0 e dell'Open Source (quelle che se siamo meno di due milioni a quanto pare non ci si diverte). Ma a me, che sono uno solo, girellare e trovare prima uno, poi un altro, poi cinque o sei, poi dieci e domani si ricomincia mi sta mandando un po' in confusione. Mi sembra di fare il taxista di me stesso. Ogni quindici minuti una o due persone nuove. Che ti raccontano, hanno una loro identità, una storia, ti lasciano messaggi, ti contattano. E non ho mai incontrato due volte la stessa persona. Ma quanti siete, là fuori?

Dev'essere che io il pifferaio magico proprio non lo so fare...

Assuefazione

PER UN ATTIMO avevo pensato che la notizia fosse che Serenity è stato votato più il bel film di fantascienza di sempre. Una di quelle notizie che sollevano qualche perplessità (oggettivamente Serenity è una cosa un po' di nicchia; comunque, l'avevo visto in formato digitale ed è bello, ma ripeto è un po' di nicchia anche per il cinema di genere, e poi comunque l'hanno votato i lettori di Sfx e mi sono tranquillizzato).



Poi, ho guardato meglio e ho capito che Luca ce l'ha con gli argomenti di "spessore" trattati dal Corriere.it. Ormai non ci si fa neanche più caso. Quello (è un americano) che diceva: le notizie che metti online sul sito del tuo giornale, chiediti se le metteresti in prima pagina nell'edizione cartacea, a queste latitudini non sanno neanche che c'è...

3.4.07

Veloce come un treno

C'E' ENFASI NEL nuovo record del TGV francese, che ha superato la barriera dei 574,8 Kmh, ancora sotto i 580,9 dei giapponesi col treno a levitazione magnetica ma sopra il record del '90 sempre francese di 515,3 Kmh.

Perché ci si stupisce (e si commenta che comunque in Italia ciò non è possibile vista l'orografia del nostro paese, montagnoso, rispetto alla piattezza della Francia) quando in realtà Alstom si è comprata negli ultimi anni le migliori tecnologie ferroviarie del nostro Paese, sopravvivendo alla crisi con iniezioni di denaro da Parigi che neanche Alitalia dalle nostre parti è riuscita a trovare?

Infine, ci avete fatto caso che sono 17 anni dal precedente record? E che queste tecnologie non sono poi così straordinariamente nuove come sembrano? L'impatto energetico del treno è apparentemente migliore di quello, ad esempio, degli aerei a corto raggio (e vorrei anche vedere, almeno al netto dei costi di costruzione della rete ferroviaria), ma forse non sta tutto qui. C'è da chiedersi un po' di cose, che ovviamente nessuno si chiede. Perché il record serve a impressionare i clienti cinesi, statunitensi ed europei delle tecnologie Alstom e non tanto a mostrare qualcosa di realmente nuovo.

Perché per queste cose abbiamo lo stupore medievale del giubileo o al massimo delle esposizioni universali di inizio secolo? Perché tanta ingenuità soprattutto sui giornali? Non c'è più il Tempio ma solo un gran mercato?

Open Skies (UPDATED)

DA UN PUNTO di vista generale, hanno recuperato. Almeno, quasi tutte, perché Alitalia come al solito sta rotolando in fondo al barattolo. L'industria aeronautica, dopo che l'11 settembre ha fatto saltare il consueto ciclo di crescita-crisi quinquennale sferrando una mazzata a metà del passaggio, sta lentamente ristabilendo una regolarità. Ma alcuni problemi stanno diventando endemici.

Negli Usa è uscito il rapporto sulla qualità delle compagnie aeree, da cui si evince che la perdita di bagagli è aumentata, i ritardi dei voli sono aumentati, il numero dei passeggeri respinti per via di voli in overbooking è aumentato. E' anche aumentato il numero di passeggeri a bordo degli aerei, però, cosa che sembrerebbe buona se non fosse che dopo i tagli le compagnie sono sottodimensionate e quindi non ce la fanno a gestire la cosa. In più, i voli vengono "cancellati" senza preavviso con un po' troppa frequenza, cosa che ti fa sospettare che ci siano furbizie tipo: si vola solo se siamo abbastanza. Anche se nel contratto di viaggio sottoscritto col biglietto e nel buon senso di chi paga, non dovrebbe succedere.

Poi, c'è il problema di cui scrivevo sul Sole 24 Ore di domenica: il flottante di miglia dei frequent flyer. Le compagnie aeree, per cercare di fidelizzare quanti più clienti possibili (vale anche nei cieli la vecchia regola che l'80% del fatturato si faccia con il 20% dei viaggiatori) ne hanno emessi a man bassa e hanno tolto le scadenze. E soprattutto hanno incassato soldi, soldi veri, dai partner come gli autonoleggi o i gestori delle carte di credito, rivendendo loro i punti. Così, se noleggio con Tizio o vado a dormire nella catena di Caio, mi danno altre miglia. E io, bischero, che lo faccio.

Il problema è che le miglia in circolazione sono veramente troppe (42 mila miliardi, spalmate fra le varie compagnie), e non conviene far volare gratis la gente perché si perdono soldi. Ecco quindi che prenotare un volo omaggio è disincentivato al massimo: costa molto di tasse (per voli in Europa si fa prima con easyJet spendendo meno) persino i dieci euro da barboni dell'emissione del biglietto (ma l'economia del dono la conoscete? Vi pare che se uno vi regala qualcosa lo fa con le spese a carico vostro? Ma siete dei poveri drogati?), i posti non ci sono quasi mai, le offerte di acquisti alternativi sui negozietti delle compagnie (ti compri le valigie o la fotocamera digitale con le miglia accumulate andando in Australia due volte) ti tentano. Già questo non sembra molto corretto, perché dopotutto sei tu che continui a voler volare con la solita compagnia per avere le miglia - si chiama fidelizzazione non a caso, no? E ci voli mica una volta ogni cinque anni, ma una o due volte al mese.

Poi, ci sono i trucchetti sporchi: spesso le miglia non te le accreditano, perché "il sistema non ha funzionato, ogni tanto capita". A me capita un volo ogni tre, che sarebbe più del 30%. Allora devi avere le ricevute dei biglietti, telefonare, mandare il fax. Sai quanta gente non se ne accorge o non lo fa?

Infine, Alitalia - solo lei, perché la maggior parte delle altre compagnie aeree hanno politiche diverse - ha tirato fuori che le miglia il 31 dicembre scadono tutte. Si deve correre a prenotare entro quella data un volo che sia effettuato entro la fine di giugno del 2008. Radicali nella scelta e furbi nel modo: lo scrivono in piccolo nelle email che ti mandano, proprio in fondo, con formule di questo tipo:

Le ricordiamo che l'attuale edizione del Programma MilleMiglia rientra all'interno di un'operazione a premi valida fino al 31 dicembre 2007. Pertanto, il Programma in corso le consente di accumulare miglia fino al 31 dicembre 2007 e ottenere i premi entro giugno 2008.

Allora, sai cosa? Io quasi quasi comincio a metterle sul frequent flyer di Air France/Klm. Quello, si chiama Flying Blue, dove scadono passati 36 mesi di inattività, sennò non scadono mai.

Anche perché si tratta di soldi virtuali ma più che tangibili: un biglietto costa dalle centinaia alle migliaia di euro. La decisione di acquisto, la fedeltà, in questo settore è una cosa seria. Ci sono anche proposte di tassare le miglia, addirittura vengono spartite tra moglie e marito negli Usa in caso di divorzio. E questi ci prendono per i fondelli, come se fossero i soldini del Monopoli? Mah... Per fortuna prima o poi li chiudono o li vendono ai barbari. E io, la notte in cui vedrò le mie miglia bruciare insieme al resto, ci avrò piacere.


ps: visto il primo commento arrivato, puntualizzo un paio di cose. Le miglia non si spostano. Neanche tra società-partner dello stesso gruppo tipo SkyTeam. A malapena te le fanno spendere con i voli dei suddetti partner, visto che in questo caso il posto si trova davvero raramente sui collegamenti internazionali. Quindi, bisogna ricominciare da capo da un'altra parte con il piccolo tesoretto personale...

--- Update

Allora, siccome Alitalia cancellerà tutte le miglia accumulate da tutti il prossimo 31 dicembre, in controtendenza con i regolamenti della maggior parte delle principali compagnie aeree che cancellano solo quelle di chi non vola per 18-36 mesi, mi pare opportuno fornire un servizio a chi trovi la notizia negativa e voglia protestare.

Si può mandare un fax all'Ufficio relazioni con la clientela, 06 - 6563 2577, oppure spedire una mail ad esempio al club Freccia Alata (se siete iscritti) chiedendo poi di girarla all'indirizzo corretto (così mi ha detto la signorina del Call Center quando ho chiamato). L'indirizzo è clubfrecciaalata (AT) alitalia.it

Più gente lo fa, più è facile che Alitalia ci ripensi. Altrimenti, mi suggeriva un amico stamani, ci possono sempre ripensare i clienti.

2.4.07

La scoperta dell'acqua calda

SONO STATO A cena con uno degli amici del cuore di sempre (il "fratello mancante"). Una domanda stupida, visto che tutti e due eravamo più che cotti dal lavoro (e io ancora ho questi duemilanovecentosettantasette articoli da scrivere per ieri mattina), è stata sull'information overload. Gli ho chiesto: "Ma riusciremo mai a controllare questo flusso incontenibile di informazione? Troveremo mai come astrarre e sintetizzare? Come dominare?". Mi ha risposto: "No, temo proprio di no".

Ecco, io vado a letto, adesso, a fare carpiati nel sonno. Domattina mi sveglio presto e porto le mie ansie a spasso sulla tastiera. Mi ha gelato, il maledetto!

Don't give up

HEATHER LOCKLEAR, VE la ricordate? E' quella di Melrose Place, Spin City, ma anche (in epoche più remote) T.J. Hooker e Dynasty. Più recentemente, aveva realizzato lo stupendo (per me) LAX, tristemente "tagliato" dalla Nbc e poi Women of a Certain Age, che la Abc aveva rifiutato l'anno scorso. Momento disperante per una delle più affascinanti "cattive" della tivù americana: la sua pluriomicida passata attraverso Boston Legal è stata semplicemente meravigliosa.

Che farà, lascerà tutto e si occuperà della bambina avuta da due anni? No: lei non molla, ed anzi ha appena realizzato il pilota di See Jayne Run, i cui risultati peraltro non sono ancora noti: l'avrà preso qualche network? Questa è in effetti la stagione nella quale cominciano a fiorire le "puntate uniche", apripista eventuali a serie televisive regolari. Stagione ghiotta per chi si attacca ad Internet e da là succhia il meglio del piccolo schermo. Tenete gli occhi aperti. E tu, Heather, mi raccomando: non mollare!