31.10.04

I miei quanti nuovi nuovi

ALCUNI MESI FA avevo scritto questa cosa. Pubblicata. La ripropongo, per gli appassionati di fisica e di sicurezza...

Se un ladro cerca di scassinare la cassaforte, lascia delle tracce. Se lo spione informatico intercetta i messaggi, invece, non è possibile accorgersene. E magari, con un po' di tempo a disposizione, potrebbe anche riuscire a violare l'integrità anche di quelli crittati.

E' successo così alla Germania durante la Seconda guerra mondiale, quando gli Alleati prima intercettavano e poi decodificavano le trasmissioni cifrate dell'esercito nazista. E, a sessant'anni di distanza, è ancora il cruccio di tutti gli esperti di sicurezza informatica.

Adesso, però, questo bisogno di sicurezza potrebbe trovare una soluzione definitiva, grazie anche al contributo italiano.
Nell'ambito del Sesto programma quadro dell'Unione europea, infatti, è stato avviato lo scorso primo aprile il progetto di ricerca Secoqc per la protezione contro lo spionaggio informatico, con particolare attenzione allo spionaggio economico e industriale (come quello, ad esempio, che il sistema di ascolto Echelon da anni effettua sulle trasmissioni mondiali).
Partecipano più di quaranta soggetti tra centri di ricerca, università e aziende private, con un finanziamento stanziato di 11,4 milioni di euro.

L'obiettivo è quello di utilizzare la crittografia quantistica per rendere le reti di comunicazione non solo a prova di spione, ma anche in grado di mostrare i segni di un eventuale "tentativo di scasso". Com'è possibile? Lo spiega il professor Sergio Cova, a capo dell'equipé del Politecnico di Milano che gestisce lo sviluppo di un anello fondamentale della costituenda catena di sicurezza, il rivelatore finale del messaggio.

"La crittografia quantistica da un punto di vista teorico - spiega Cova - è nata circa vent'anni fa, ma non è stato possibile riuscire ad applicarla concretamente per via dei limiti della tecnologia. In teoria consiste nella creazione di una chiave crittografica unica, lunga quanto il messaggio che - se usata una volta sola - rende praticamente inviolabile il codice. Ma la trasmissione della chiave, che avviene sfruttando principi della fisica quantistica e non della fisica classica, finora è stata realizzata a velocità troppo bassa per essere utile in pratica ".

In sostanza, ciascun bit della sequenza che costituisce la chiave crittografica, cioè il codice necessario per rendere intellegibile il successivo messaggio o la comunicazione cifrata, viene trasmesso utilizzando un singolo fotone polarizzato, sfruttando le sue proprietà quantistiche.

Il problema è nella trasmissione e soprattutto nella ricezione dei fotoni, che deve avvenire a velocità elevata per rendere il sistema efficace e utilizzabile nelle moderne reti di telecomunicazioni. Finora non ci si è riusciti, e l'ambizione del progetto - che sperimenterà per i primi 18 mesi un insieme ampio di tecnologie e poi nella seconda fase di 30 mesi ne approfondirà gli esempi più promettenti - è quello di rendere la trasmissione attraverso fibra ottica o in spazio libero (per esempio con satelliti) veloce oltre che sicura.

"Il nostro ruolo - dice Cova - è quello di sviluppare un apparato molto importante: il rivelatore di singoli fotoni. Sono ottimista sul fatto che il lavoro del Politecnico, che si svolge insieme al CNR-IMM di Bologna e le università di Heriot-Watt a Edimburgo e di Shieffield, possa raggiungere i risultati sperati. Anche se i problemi tecnici da risolvere sono ancora numerosi e il progetto nel suo insieme è una sfida di notevole portata".


A.Di.

29.10.04

Missione Luna

NEL 1969 L'UOMO raggiunse la Luna. Era la missione Apollo, "spinta" da un vettore Saturn V. Ecco, all'epoca c'era una rivista che aveva offerto ai suoi lettori di realizzare il razzo in carta, una specie di origami alto quasi due metri e mezzo. Per il modulo Apollo, ci pensava Revell con un kit in scala 1:48...



In mano alla ragazza, un astronauta in scala con il razzo...


24.10.04

Mtv Generation: Milano->Roma

E SE LA televisione dei giovani e della musica, Mtv, in Italia si stesse romanizzando? Se stesse per finire l'epoca in cui Mtv era una cosa di Milano? Se il miliardo e passa di persone che a novembre vedranno gli Mtv Music Awards edizione della Capitale segnassero un doppio passaggio - dopo l'edizione milanese del 1998 - raccontando una storia diversa sia alle audiences internazionali che a quella nostrana?

Mtv è stata e continua ad essere un fenomeno milanese, all'apparenza. Difficile da ricevere nel Sud d'Italia, centrata su quella cultura mezza lombarda, mezza londinese e mezza americana (sì, lo so, sono tre mezzi), è una televisione milanocentrica, all'apparenza. Milanesi i TRL, le trasmissioni in diretta con le richieste del pubblico, milanesi o nordici i personaggi (mancano le maschere del sud tipiche della televisione di noartri e anche del cinema-commedia dialettale all'italiana), milanese lo spirito di chi guarda e "sente" l'aperitivo, le vacanze di studio a Londra, l'America dietro l'angolo.

Adesso, invece, il fenomeno di trasformazione è a quanto pare avanzato. Come nel calcio di vent'anni fa - come racconta il giornalista sportivo Sconcerti - quando entrò la Roma aprendo al grande pubblico del centro Italia il fenomeno del calcio e cambiando per sempre il pubblico degli stadi. Cambia il pubblico televisivo? Si "salda" la frattura della musica giovane e politicamente impegnata con la festa dei lavoratori del Primo Maggio (palco a Roma) e qualcosa cambia anche nello spirito di Mtv.

Se finisce la "milanesità" dell'emittente internazionale in Italia, vale a dire il senso di non appartenenza a un contesto localizzato bensì aperto al mondo e soprattutto alla Gran Bretagna, e si apre l'epoca della romanizzazione, cioè il corpaccione romano dove tutto cambia tempo e ritmo, è per far apparire una immaginariamente più "reale" Italia e anche per influsso diretto del fatto che la sede e la maggior parte delle produzioni di Mtv italiana adesso sono a Roma.

Cosa ci riserva Roma? Vedendola da Milano, una ventata di italianità difficile da analizzare, perché fortemente compressa da pregiudizi e valutazioni aprioristiche. Invece, ecco che potrebbe spuntare la vocazione schiettamente internazionale della città capitolina (comune anche a Firenze, Napoli e Venezia), quella che poco si conosce nelle strade ma che è propria ed appartiene ad altre classi sociali rispetto alla media borghesia milanese fatta di imprenditori e bocconiani.

Il riflesso televisivo di quanto vado dicendo non è privo di eco, se consideriamo per esempio che una delle più geniali trasmissioni della nostra televisione non sono gli osceni talk show, i reality show o le produzioni raccattate da format altrui (penso a Le Iene, per la tv gggiovine, oppure a quello spettacolo indegno che è Striscia la notizia), bensì Milano-Roma, che non a caso viene fuori dal vivaio di Minoli e che ha raccontato qualcosa di genuinamente nostro in modo non banale. Le nostre star che viaggiano su uno degli itinerari più "reali" del nostro Paese che lavora. Piano, senza compromissioni, con felici invenzioni di regia e continua scrittura di testi e sotto-testi.

Perché anche Mtv non dovrebbe entrare in quest'asse, nascendo (dopo l'esperienza londro-lucchese di VideoMusic) come milanese e spostandosi verso Roma? Perché non dovremmo leggere così, nell'attesa dell'evento Music Awards che è prettamente internazionale e assolutamente non comprimibile in una parentesi locale, ma che crea un senso a sé stante nel contesto dove si svolge, questo momento catartico e generativo di una mitologia di interpretazioni che sarà Mtv Music Awards?

Vedremo, osserveremo e valuteremo. Se qualcuno poi ha un biglietto per la serata, vado ad osservare anche più da vicino...

20.10.04

Area Uno: LAX

QUANDO IL CAZZEGGIO prende il sopravvento sulla vita sono sempre momenti difficili. Nel mio caso, oltre a un sedimentato e condiviso trip per il mondo della Apple (quelli che producono i computerini con la mela morsicata, per intenderci), adesso ci si è messa anche questa storia degli aeroplani. Anzi, dell'aviazione civile (che è pur sempre inquinante ma eticamente accettabile rispetto a quella militare), roba ben più tosta.

Su Internet pare essere oltretutto un argomento di trip abbastanza condiviso - e qui non vi tedio oltre con lunghe liste di link sull'argomento - sia per quanto riguarda il volo reale che quello simulato. Buono, vuol dire che come al solito sono sulla notizia. Adesso però, dopo aver scoperto che in pratica solo la giovane Emilia ha passione per il volo (almeno, così parrebbe), e dopo una lunga lista di amici e conoscenti che mi guardano con crescente preoccupazione e condiscendenza quanto li intrattegono con lunghi pistolotti sulla storia delle compagnie aeree contemporanee o dell'immediato passato, ho deciso di prendermi una pausa.

Cerco di disintossicarmi, anche se in un modo un po' contorto. Vale a dire, rientro nel grande flusso mainstream della cultura popolare condivisa. Prendendo come spunto la visione (galeotta) di un telefilm che viene messo in onda dalla Nbc da circa un mesetto: LAX.



LAX è la sigla dell'aeroporto di Los Angeles e proprio di questo parla la serie. La mia è un'anteprima, dato che dalle nostre parti ancora non si parla (né tantomeno si può vedere) il suddetto telefilm. Che invece non solo è interessante e - a mio giudizio - pure carino, ma probabilmente diventerà tra un annetto anche un appuntamento dei nostri palinsesti. Per adesso è sullo schedule dei network statunitensi, in prima serata, con il formato di un'ora (cioè 47 minuti più la pubblicità) e richiama un certo pubblico se non altro per la protagonista femminile.

Si tratta di Heather Locklear, l'attrice che si è vista in televisione per Dynasty, Melrose Place, Spin City, T.J. Hooker e varie altre cose. Nata il 25 settembre del 1961, la quarantaquattrenne californiana negli ultimi anni ha avuto spesso il ruolo di "bionda demoniaca" e impersonato ruoli da donna decisa, autonoma e anche un po' cattivella, tipici del filone drama. In questa serie è una dei due protagonisti (l'altro è l'attore Blair Underwood, LA Law), la tosta direttrice delle operazioni di pista del quinto aeroporto al mondo, mentre Underwood, più dandy, si occupa della gestione dei terminal.



L'episodio pilota della serie si apre con il suicidio del direttore dellaeroporto, aprendo la via a una competizione tra i due managaer per farsi nominare dal sindaco come nuovo direttore. Fin dal primo episodio viene settato quello che sarà il principale leit motiv della serie e del rapporto tra i due (che tempo addietro hanno anche avuto una storia, brevissima, roba di una notte, alla quale si fa spesso accenno), dato che la salomonica ed inusuale decisione del sindaco è di lasciare la co-direzione dell'aeroporto ad entrambi.

Ma com'è questa serie? Di sicuro si capisce che è il frutto di una produzione di quelle "costose", cioè non è certo tutta girata in interni. Di cose se ne vedono e non poche, anche sulle piste di tarmac dell'aeroporto. La regia non è banale, gli effetti ci sono, il senso del lusso e dello spazio arioso - tipico dei film - era cercato ed è stato raggiunto anche per giustificare il formato in alta definizione utilizzato dai canali Usa per la trasmisssione (Nbc e altri). Ma com'è, allora? Praticamente, siamo di fronte a un E.R. girato in aeroporto.



E' questo più che non NYPD Blue, serie nella quale l'ideatore Steven Bochco gioca anche sulla regia utilizzando una tecnica di ripresa "mossa" e su continui giuochi del fuoco e dello zoom della macchina per dare la sensazione del convulso succedersi degli eventi.

Ma c'è comunque qualche differenza da E.R.: lì infatti si lavora non poco sull'introspezione dei personaggi e la dimensione è quella di romanzo corale, con una notevole ricchezza di tipi, di ambienti e una serie di momenti ritualizzati fondamentali per lo sviluppo della trama e ancor di più per quello orizzontale degli episodi, settimana dopo settimana.

Tipicamente, infatti, E.R. ha come segno di riconoscibilità una lunga carrellata seguendo personaggi diversi che si spostano nella sala di accettazione, con un collage di storie e conversazioni seguite e abbandonate una via l'altra, oppure - altro momento topico - l'arrivo totalmente ritualizzato dei malati in ambulanza, annunciati brevemente via radio e poi a voce da una infermiera, a seguire con la convulsione del momento di "sbarco" e del passaggio di consegne tra i paramedici e il personale della Sala emergenze. Ultimo elemento caratteristico (però di genere, c'era già nel dottor Kildare degli anni Sessanta, per intenderci) è quello del giro medico di visita ai vari pazienti, che serve anche da introduzione o cesura tra un capitolo e l'altro di ciascun episodio.



LAX è più centrato sui due personaggi principali, ma lo stesso si concede una struttura narrativa abbastanza corale che risulta, in alcuni momenti, un po' meccanica. C'è un prologo, l'apertura dei problemi, il complicarsi della situazione e negli ultimi dieci minuti la chiusura in cui tutto va a posto (o quasi). La ripetitività viene solo fuori dal numero di personaggi (in realtà cinque o sei, che identificano anche i quattro sub-plot principali oltre a quello condotto dai due protagonisti) e soprattutto dalla loro caratterizzazione, che non è così profonda come si potrebbe sperare, visto il livello di produzione.

Da un punto di vista formale, ci sono alcuni elementi (un po' in divenire) che seguendo la corrente attuale del telefilm statunitense (pensate a Six Feet Under oppure a Nip/Tuck, oltre a NYPD Blue o 24) caratterizzano LAX. Ci sono cioè delle soluzioni di regia, come le immagini accelerate del passaggio degli aerei, che lasciano rapide scie luminose, oppure le viste delle persone anonime che si trovano nel terminal, o certe fasi di montaggio (sicuramente stancanti per chi le deve realizzare) in stile videoclip molto asciutto con una serie rapidissima e turbinante di giustapposizioni di pochi fotogrammi di inquadrature diverse.

Singolarmente, nei primi sei episodi (quelli trasmessi sino ad ora) in realtà le soluzioni di regia più "avventurose" e d'effetto sono associate di norma a due personaggi molto diversi. Da un lato la Locklear, soprattutto quando percorre in auto le piste per catapultarsi da un lato all'altro dell'aeroporto, dall'altro seguendo nei terminal dell'aeroporto il sergente di polizia Henry Engles (impersonato da Frank John Huges, Band of Brothers) che è un personaggio secondario ma problematico - soprattutto perché sbevazza - e quindi meglio si presta a effetti di distorsione della realtà. Altri personaggi, sia quello interpretato da Uderwood che altri, poiché maggiormente "solari" e psicologicamente dentro un tempo "normale", evidentemente non necessitano di particolari forme di estremizzazione del racconto quando il testo si sofferma su di loro.



Le trame nel complesso non sono male e soprattutto sono recitate con scioltezza e in modo piacevole. Si percepisce un po' - come notavo sopra - una certa meccanicità nelle situazioni e nelle psicologie (manierismo è forse la parola adatta, ma lascia pensare a una sovrabbondanza di dettagli che invece qui manca) mentre l'insieme è retto da un ottimo ritmo e da una mano felice, anche perché nei primi episodi la mano degli autori è spesso vicina a quella di chi firma la regia. La Locklear ha anche il ruolo di producer.

Sono plausibili gli episodi? La stessa domanda non si potrebbe fare a E.R. o a NYPD Blue. Nel primo perché il sovrabbondare di particolari tecnici, nella miglior tradizione delle storie da ospedale, rende assolutamente plausibile quello che plausibile non è. Nel secondo perché un antico patto tra gli autori di gialli e thriller, che vanta ormai quasi due secoli di onorato servizio, rende plausibile qualunque cosa, iper-realistica o ipo-realistica che sia. Ma qual è la vita di un aeroporto? Perché la dovremmo trovare non solo plausibile ma anche affascinante a sufficienza da tenerci un'ora davanti alla televisione?

La storia è quella dell'aeroporto di Los Angeles, in sigla LAX come dicevo. Anche se poi è girata negli esterni in un altro (e più piccolo) aeroporto californiano, Ontario, mentre gli interni sono girati negli studi della Universal. Ma la mano è abile nel rendere assolutamente plausibile - ah, la magia del grande e del piccolo schermo- sia l'una che l'altra situazione facendole sembrare un tutt'uno. Ed è un bene, perché c'è un primo pubblico che è tipicamente quello degli appassionati ma anche degli utilizzatori abituali degli aeroporti. E negli Usa non sono pochi, né gli uni né gli altri. Tanto da far pensare che probabilmente la seconda scommessa (la prima è quella del seguito degli appassionati di Heather Locklear, che non sono pochi) è giocata proprio sulla capacità di attirare un pubblico incuriosito in qualche modo dall'aeroporto di per sé e desideroso di "saperne di più", di vivere storie dentro questo luogo sospeso nel tempo, anzi luogo dove il tempo non appartiene più alle persone ma viene scandito da ritmo strani anche per le società moderne.

Poi, se c'è la tendenza, la narrazione ben fatta, il fenomeno di costume, allora la serie potrebbe decollare anche per il grande pubblico. Per adesso siamo lontani sia dagli standard qualitativi di E.R. che di Charmed, in italiano Streghe, con le tre allegre sorelle di San Francisco, sempre pronte a sconfiggere qualche demone devastando una casa che pare più vissuta della costa della Normandia. Ma la speranza c'è. Non ho per adesso dati di ascolto, né sarei bravo a interpretare quelli che vengono dalla Nielsen per il mercato televisivo americano. Ma tra poco sapremo, e vi terrò sicuramente aggiornati. Per adesso, fidatevi del mio gusto: mi sto divertendo a guardare LAX e se vi capita vi consiglio di guardarlo anche a voi...

19.10.04

Amo questo mensile!

SONO DEI VERI geni, quelli di Wired. Non c'è niente da dire. Adesso hanno una storia sullo spam. Ma non sullo spam su Internet. No, loro sono andati nel paesino del Minnesota, Austin, meglio conosciuto come Spamville, a vedere la fabbrica originale di carne di suino in scatola chiamata Spam. Che figata! Anche perché, a prescidere dalla comica dei Monty Python e dalla nomea che si è fatta la suddetta carne in scatola per via della posta indesiderata, la storia vale la pena sul serio...

Faccio bene a comprare sempre il mensile, anche se costicchia d'importazione (meno negli Usa e - sorprendentemente - meno a Parigi)

18.10.04

Il Convitato di pietra

OGGI PUNGEVA VAGHEZZA di ricordarse chi fosse codesto convitato così duro. Ebbene, si è all'improvviso riaperto un mondo. In particolare:

La Commedia dell’Arte non è un inerte ricalco di testi, ma un processo di metamorfosi, un intreccio di ritagli ricco di divagazioni e di festose diversioni comiche, povero invece di forti sentimenti contrastanti. Gli attori della Commedia dell’Arte hanno assunto e modificato le più diverse espressioni del teatro tradizionale e, d’altra parte, il teatro tradizionale si è servito copiosamente del materiale bizzarro e policromo delle rappresentazioni “all’improvviso”.

In un caleidoscopico di multiformi ed enigmatici volti, Don Giovanni diventa uno spadacciono attaccabrighe e spaccone, in una commedia dello spagnolo don Antonio de Zamora; approda nella musica col Don Giovanni di Mozart, scritto su libretto di Lorenzo da Ponte; riemerge nella commedia di Goldoni Don Giovanni o la punizione del dissoluto; è il libertino malvagio e ipocrita del Don Juan ou le festin de pierre di Molière; è un seduttor sedotto che senza inganni e senza menzogne suscita passioni, nel Don Giovanni di Byron; riscatta e sublima la sua natura diabolica nel Don Juan Tenorio di José Zorrilla y Moral; è un eroe romantico nella versione di Alexandre Dunas e ne Le amine del Purgatorio di Prosper Mérimée; diventa perfino un perseguitato dalle femmine, nella tipologia del dongiovanni elaborata da Bernard Shaw ne L'uomo amato dalle donne.

Una libera trasposizione in italiano di El burlador di Tirso de Molina è stata scritta da Giacinto Andrea Cicognini (Firenze 1606-Venezia 1660), Autore teatrale versatile, stimato da Goldoni e che ha lasciato una incredibile mole di commedie, di tragedie e di drammi per musica. Nel gusto spagnoleggiante del macchinoso teatro barocco, Cicognini ha mescolato elementi fantastici e farseschi, intrighi e buffonerie, trovate fantasiose e caratteri schietti e vivaci.


Quei simpatici pazzoni di Alitalia...

PRENDENDO SPUNTO DA un articolo di Repubblica di oggi, che riporta l'ipocrita crociata di un pungo di companie aeree contro Alitalia (manca per esempio Air France e Klm, che sono alleate della nostra), riprendo le fila del discorso di ieri sui domini registrati, perché si chiarisce che l'altra società controllata oltre ad Az Fly sarà Az Service.

Volete scommettere se www.azservice.it e www.az-service come domini sono occupati? Se cliccate lo scoprite da soli... (Azserice.it è un po' lentino, ma comunque risulta assegnato già da tempo...)

Mannaggia a questi di Alitalia... Sprecare così un'occasione di comunicazione... Vabbé

Perle di saggezza

Così dice il filosofo:

Alle contraddizioni del sistema bisogna reagire con soluzioni personali

17.10.04

Che Spettacolo!

VALENTINO ROSSI HA vinto a Phillip Island (Australia) il MotoGP. E ha celebrato con una maglietta ad hoc con la scritta: che spettacolo! E dire spettacolo è dire poco...



Segnalo due articoli di Repubblica interessanti soprattutto per gli appassionati di numeri e gli studiosi di economia sportiva. Il primo fa il conto dei risultati sportivi ai quali è arrivato Vale. In sostanza, meglio è solo Agostini e poco altro. (Biaggi? Dov'è Biaggi? Eh? Non ho sentito? Ha avuto problemi alla moto?)

Il secondo, invece, è stato scritto prima della gara e racconta in modo un po' confuso ma sostanzialmente completo il fenomeno sponsorizzato. Le piccole idiosincrasie e il budget che Vale smuove. Da cui si evince che Rossi è il sesto sportivo al mondo per fatturato. 23 milioni di euro l'anno. Più di Beckham ma meno di Schumacher...

Feed Rss: le ragioni di una scelta impopolare

COM'E' CHE NE parlano tutti bene, di questi feed Rss, se a me invece mi hanno rovinato il contatore? Se potessi far causa a qualcuno la fare. Ma non so dove cominciare... Vabbé, andiamo con ordine!

Ho rinnovato la grafica del sito e all'improvviso i contatti sono diventati praticamente zero (uno al giorno). Un mistero. Mi son chiesto: forse non piace il bianco... forse i caratteri troppo grandi spaventano... Che può esser successo? Magari dovrei scrivere parole "volgari" come figa, topa, gnocca, lesbo, black orgia, fiori del male, anal, sex, sex, SEX! per riconquistare un po' di pubblico... (facendo il giornalista, l'immortale lezione di Panorama, Espresso, Paolo Mieli alla direzione del Corriere e - nel suo piccolo - Roberto D'Agostino alias Dagospia) mi è sempre ben presente. Ma niente: un visitatore al giorno per giorni e giorni.

Poi ho capito. Rimettendo ordine nei link - pratica necessaria dopo aver rifatto la facciata del Posto di Antonio - ho esplicitato quello del feed Rss. Che nel mio caso era settato per dare ai lettori tramite apposito aggregatore l'intierezza dei post. E la verità balza agli occhi: o vi siete telefonati tutti quanti e avete deciso che la nuova grafica vi rompeva talmente i coglioni che all'ora X tutti vi sareste dedicati ad altro piuttosto che navigare questo blog, oppure usate in massa i lettori di Rss.

I quali Rss, dato che non vengono conteggiati da ShinyStat ma contengono la totalità delle notizie postate, rendono il successivo contatto con il blog inutile. E infatti voi, a parte i due sfigati che non li usano, non venite più. Maledizione. Come porre rimedio? Settando il feed Rss in modo tale che riporti solo i primi 255 caratteri di ciascun post. Rendendo quei 255 caratteri interessanti ("La notizia sempre in cima, Antonio. Non cazzeggiare, vai al sodo: la gente mica ha tempo da perdere", mi dicevano all'Ansa e mi ripetono anche ora, se è per questo) lo stimolo dovrebbe tornare. Almeno spero.

Altrimenti, se in dieci giorni rimaniamo con questi punteggi da nazionale bulgara (uno a uno, zero a zero e via dicendo: i bulgari fanno sempre questi risultati, mica come i brasiliani quattro a due, sei a tre...) si ritorna al vecchio sistema e speriamo che almeno gli ignoti lettori via feed Rss godano un po' - beati loro...



Ahi ahi ahi, AZ Fly... Questa sì che è una cavolata... lo vogliamo registrare il dominio Internet? Magari...

DUNQUE, VEDIAMO IN quale nuovo casino si sta cacciando Alitalia. Alcune settimane fa, nel pieno del momento di contrattazione-ristrutturazione, Cimoli (il neo-ad della società) annuncia il piano di massima: dividere in due Alitalia, concentrandosi sulla parte volo (magari low cost) col nome di Az Fly e scaricare i debiti su Az service o come diavolo la vuol chiamare con tutte le funzioni di logistica e quant'altro. Piano simile a quello effettuato per Trenitalia (ex Ferrovie dello Stato, adesso divisa in varie divisioni operative: passeggeri, trenitalia, cargo, infrastruttura...).

Ok, il piano appare chiaro e credibile dal punto di vista della volontà di portarlo a termine. Sarebbe un seguito al metodo Cimoli per ristrutturare un'azienda. Sindacati e Governo ci stanno, mancano un paio di dettagli (ad esempio il piano nei suoi singoli elementi, il via libera dell'Ue, bazzecole insomma) ma in sostanza la strategia la diamo per acquisita.

Anche il nome è credibile. Non pare opportuno ricominciare tutto con "Alitalia", e il nome nuovo - anche se io proporrei un ben più simpatico AirItalia - ha in effetti un suo senso. AZ è l'indicativo internazionale per Alitalia, Fly lo capiscono tutti (e molte compagnie aeree lo usano nel loro indirizzo) quindi AZ Fly in realtà elementi di continuità e contatto con il presente ce li ha. Ma c'è un problema...

Se la vogliamo chiamare AzFly, quale che sia la grafia, dovremmo però pensare a registrare il sito. Non è una cavolata, perché uno dei modi (su cui anche Alitalia spinge parecchio) è quello del biglietto elettronico che si fa partendo proprio dal sito Internet. Inoltre, tutti il ce l'hanno nel settore aereo, 'sto benedetto sito, usandolo alla grande: metà del fatturato di Ryanair arriva proprio da lì...

E il nome deve essere ben chiaro, mica può essere una roba appiccicottata. E' una questione di immagine certo, ma è anche una necessità di business, non solo un discorso di vetrina... Vediamo come stanno messi allora www.az-fly.it, www.az-fly.com, www.azfly.it, www.azfly.com (per tacere delle altre possibili combinazioni tipo www.az.fly.it).

www.azfly.it è già occupato. Secondo il database pubblico dell'autorità di registrazione dei siti Internet, il signor Armando Crispino e il signor Stefano Cecconi, uno di Siracusa e l'altro di Arezzo, sono titolari del dominio a partire dal 13 aprile del 2004. Il sito, senza poter sapere cosa c'è dentro, è occupato dalla semplice scritta AZFLY.IT. Cecconi, con la Technorail s.r.l. è in realtà Aruba.it, uno dei maggior fornitori di registrazioni e spazio per i siti web, quindi lo eliminiamo. Rimane il Crispino...

www.azfly.com è già occupato. Pagina in costruzione, caratteri in cinese. Pare apparetenga a una società cinese che si occupa di registrazione di nomi di dominio. Compaiono vari indirizzi possibili: DoRegi.com, hanghang.com e via dicendo. A occhio e croce, anche qui sarà un bagno di sangue...

www.az-fly.it, anche se ha una grafia "scomoda" (il trattino non è semplicissimo da spiegare, ma è sempre meglio del punto o del trattino basso) funziona, perché la gente lo ricorda e non si confonde. Peccato, però, che appartenga al "Gruppo Meloni Costruzioni" (la pagina è vuota, c'è solo la scritta www.az-fly.it con l'aggiunta "under construction"). Il titolare questa volta è il signor Luigi Meloni (con due numeri di telefono, uno di Milano). Compare anche il signor Stefano Cecconi, sempre di Arezzo, sempre Technorail s.r.l., che abbiamo visto essere in realtà Aruba.it, quindi vedi come sopra.

www.az-fly.com fa comparire una pagina che appartiene a GoDaddy.com, sito (con svariate pubblicità) la cui missione è vendere domini. Infatti, specifica anche che www.az-fly.com coming soon!
This page is parked FREE at GoDaddy.com!
e il titolo della pagina (la scritta che appare nella finestra del browser) sottolinea il concetto dicendo Coming Soon!. Inoltre, verificando l'occupazione, l'Autorità internazionale per i domini (.com ricadono sotto la sua autorità) non solo ci dice che è già occupato, ma ci offre anche le alternative possibili. Nell'ordine: Az-fly.biz, .net, .org, .info, .us... Tutte abbastanza impraticabili per ovvi motivi. O almeno, seconde scelte rispetto al più naturale .it

Cari signori di Alitalia, se volete cambiare nome e iniziate con i giornali a comunicare quello nuovo (mica una stupidaggine, perché nel pieno del casino questa ipotesi di AzFly è entrata in testa a un sacco di gente, facendo già una parte del costoso lavoro di advertising che vi aspetta tra un po'), tra l'altro cambiamento di nome che sarebbe pure strategico ai fini del vostro business, magari prima verificate che il dominio non sia già occupato. Così, tanto per evitare poi un piccolo, tragico problema legale ed economico...

(Aggiungo, ma lo dico solo tra parentesi, AirItalia è libero sia .it che .com...)

14.10.04

Tutto il potere ai lettori

LA SEMPRE OTTIMA Nandropausa (n. 6 di giugno 2004, pochi mesi fa - e per un semestrale in effetti quattro mesi son pochi...) pubblica un editoriale da leccarsi i baffi. Qui ve lo sottopongo nella sua intierezza, confidando che poi andiate da soli a ravanare sul loro sito cercando le altre belle cose che ci sono lì.

------inizio pezzo citato--------

Le parole "noir" e "genere" sono dappertutto, non si capisce più una madonna. E' un effetto collaterale della rivolta contro quello che Valerio Evangelisti ha definito il "genere carino" e altri hanno definito il "genere ombelicale", cioè quella narrativa emaciata, "d'autore", tipicamente italiota, che opera sul "terreno sicuro del rapporto nonna-nipotina, figlio ingenuo e padre infame, moglie ambiziosa e marito cornuto, giovane indisciplinato e società di merda" (V. Evangelisti, Sotto gli occhi di tutti. Ritorno ad Alphaville, edizioni l'Ancora del Mediterraneo, Napoli 2004). Noi ci aggiungiamo altri tre vis-à-vis ricorrenti: scrittore pieno di dubbi vs. rapace industria editoriale, cinquantenne di sinistra in crisi vs. ideali di un tempo, insegnante ben intenzionato vs. studenti coglioni.
La rivolta contro la dittatura del "carino" e il ritorno di fiamma della letteratura di genere - o paraletteratura, o almeno un'altra decina di definizioni insoddisfacenti - erano e rimangono necessari. Il problema è che, mentre l'Italia che legge era sotto il tallone di ferro degli autori ombelicali, l'editoria italiana (la stessa che con un colpo di genio inventò il libro-rivista da edicola tipo Urania o Il Giallo Mondadori) si è disabituata a trattare la letteratura "bassa" (!?) o che attinge dal "basso", e oggi fa confusione. C'è chi, vedendo che il noir tira appena meno di un pelo di figa, definisce "noir" qualunque libro pubblicato sotto il sole, sovente confondendo il noir con il mystery o con l'hard-boiled; qualcun altro, pur con le migliori intenzioni, finisce per trasformare l'autore in "Autore" e pubblica in hard-cover di lusso romanzi d'avventura che si leggono d'un fiato sull'interregionale da Bologna a Pesaro, e meglio sarebbe pubblicare direttamente in tascabile. Certo, vi sono eccezioni importanti, di editori di varie dimensioni che hanno ben chiare le specificità della letteratura di genere, e sanno come valorizzarla. Spesso sono gli editori i cui libri segnaliamo su Nandro. Tuttavia, l'industria nel suo complesso va avanti un po' alla cazzo, e questo è pericoloso: se i libri vengono presentati per quello che non sono, i lettori si disaffezionano, e c'è sempre il pericolo di un nuovo golpe intimista/gggiovanile, minimalista, alto-autoriale. In una sola parola: spaccamaroni. E sarebbe una sconfitta. Per prevenirla, servono lettori da combattimento, disposti a combattere la guerriglia semiologica per capire cosa c'è tra le due copertine di un romanzo, al di là delle cazzate sparate dai critici, dai recensori a cottimo e purtroppo anche dagli autori medesimi. Per una vigilanza democratica, contro ogni tentativo di restaurazione, tutto il potere ai lettori e alla loro repubblica!

-------fine pezzo citato--------


Musica d'ascensore - Elevator Tunes

PRESO DAL DELIRIO di protagonismo, e possedendo GarageBand, il software per la musica semplice con il Mac, qualche mese fa ci ho dato dentro e ho fatto un po' di canzoni. Considerando che non ho talenti né educazione in questo settore, i risultati sono stati più che lusinghieri (e se me lo dico da solo, potete immaginare come sarà ascoltare il pezzo).

Adesso, vorrei che qualche produttore di compilation per ascensore (il genere musicale al quale aspiro) mi contattasse per definire una ipotesi di produzione. Per ascoltare la canzone - Little River - creata qualche mese fa e proprio oggi messa online, ci si può collegare a iCreation e ravanare fino a che - con il criptico e controituitivo nome d'arte di antoniodini - non individuate il brano in questione... Buon ascolto!

(ps: se un giorno, salendo in ascensore, sentirete un motivetto noto, vorrà dire che il sottoscritto ha avuto successo!).

Le vertigini degli U2 davanti alla Mela

PER CHI NON lo sapesse, gli U2 hanno registrato un nuovo video e relativa canzone in esclusiva per il negozio di musica digitale di Apple, iTunes Music Store (che sta anche per arrivare - è questione di giorni - qui da noi anche per quanto riguarda la possibilità di fare acquisti). Il video - e lo spot relativo usato da Apple - sono fatti con lo stile "a silhouette" delle pubblicità di iTunes+iPod.



Per la prima volta - lo dico per gli intenditori e i puristi - non solo gli U2 accettano di fare una pubblicità (si dice Bono sia molto amico di Steve Jobs), ma negli spot di Apple iTunes+iPod compaiono anche le prime silhouette riconoscibili: quelle della band. Insomma, un momento storico per la cultura pop del XXI secolo...

Se volete vederlo, cliccate qui, ma prima dovete procurarvi iTunes (indifferentemente per Mac e per Pc, a partire da qui). Poi, magari, vi procurerete anche un iPod... e insomma, sarete entrati anche voi nell'iTunnel.

13.10.04

Meme, che non fa rima con mimo (ma è interessante lo stesso, almeno credo)

UN SIGNORE, TAL Richard Dawkins (zoologo britannico), ha scritto un libro (che ovviamente non ho letto e neanche lo farò), The Selfish Gene. In questo libro lo scienziato ha dato la stura a un'idea che è di per sé la rappresentazione vivente del concetto che vuol veicolare, per il fatto stesso che lo veicola. Facile, no? Ma andiamo con ordine e chiariamoci una volta per tutte - ammesso che sia possibile - che diavolo sono questi memi. Il resto seguirà - come si dice - naturalmente...

Un tempo c'era chi diceva che il linguaggio è un virus. Per la precisione si trattava di William Burroughs (e anche di Laurie Anderson, ma lei è una cantante e fa meno testo, qui). La frase appartiene all'epoca della semiotica e dintorni, un mondo strano e anche un po' paludoso. Poi arriva Dawkins, che più che del comportamento delle parole si occupa del comportamento degli esseri viventi (si chiama etologia, come quella di Konrad Lorenz e delle sue paperelle, per intenderci) e comincia a sostenere che, così come il gene è l'elemento base, l'unità, della genetica e attraverso la sua selezione gli esseri viventi evolvono, ci sono anche i memi, l'unità base della cultura, attraverso i quali questa evolve.



In pratica, i memi e la memetica servono allo studio di modelli evoluzionistici del trasferimento delle informazioni. I piccoli memi, questi mattoncini del Lego culturale, contengono informazioni base sulle idee, i linguaggi, le capacità, i talenti, l'estetica, la morale e tutto quello che ci possa venire in mente gli esseri umani possano imparare o trasmettere agli altri.

La loro evoluzione avviene partendo dal presupposto che siano i memi a camminare con le loro gambe, proprio come le idee. Ma, a differenza di quanto avviene con i geni, il loro passaggio comporta una mutazione di tipo lamarchiano (parola vietata in genetica). Il senso è questo: se a un topo cade la coda i suoi figli però la coda l'avranno (perché il patrimonio genetico non muta, dato che è contenuto da tutti i suoi geni). Se un meme cambia tra un passaggio e l'altro, i successivi lo vedranno nella nuova versione mutata e non in quella originaria.



E' logico, se ci pensiamo: una idea, se viene modificata durante il suo transito da una mente all'altra, poi prosegue la sua strada nella versione "evoluta" (in meglio o in peggio, non è questione) e non viene certo riallineata all'originale. Se accade, si tratta di un'altra forma di mutazione che corregge un percorso naturale considerabile come perdente rispetto a quello di origine.

Una delle questioni - perché la memetica non è certamente una teoria monistica - riguarda il cosa e il come. Cioè, si tratta di un passaggio di informazioni da una mente all'altra oppure di un replicare di comportamenti da un soggetto all'altro, dove le informazioni nel primo caso e il comportamento nel secondo sarebbero il meme? Domanda interessante alla quale non è stata data una risposta univoca.



All'inizio scrivevo che i memi sono anche una delle migliori rappresentazioni di se stessi. Nel senso che il meme di per sé è un concetto che - quando ve lo spiegano - vi intrippa e poi lo raccontate ad altri. In questo senso, transita a destra e a manca, evolvendo anche un po' (a seconda del grado di comprensione dei soggetti interessati, io per primo) e diffondendosi. Da notare che mentre il meme è un meme a sua volta, l'idea che il meme sia a sua volta un meme non è abbastanza diffusa da far ritenere che sia un meme. Però se leggete qui, probabilmente potrebbe diventare a sua volta un meme.

Altri esempi su chi sono questi memi: gli smiley, le faccine che si fanno per email o sul telefonino con punti, trattini e parentesi. Oppure le canzoni che si sentono e ci rimangono in testa, portandoci a fischiettarle mentre siamo sovrappensiero. Si tratta di memi di successo (riescono a "passare", hanno adempiuto la loro missione). Ci sarebbe anche un mio vecchio amore: All your Base Are Belong To Us è infatti un discreto meme. Poi razzismi, stereotipi, teorie della cospirazione, luoghi comuni, saperi condivisi da collettività, i "valori" degli ultras allo stadio...



Alla base ci sarebbe questa idea della cultura come cosa che evolve, come un grande organismo. Ma questo concetto può essere spinto anche molto più avanti: Susan Blackmore, per esempio, teorizza che il concetto di "sé" sia in realtà un insieme di memi, e cerca di ricostruire da un punto di vista altro rispetto alla psicanalisi dominante (iunghiana o lacaniana che sia) alcuni passaggi della nostra mente, oltretutto inglobando le culture precedenti in un fenomeno di memetica.



Quali sono le forze che portano i memi ad evolvere? Esperienza, felicità, dolore, timore, censura, economia (nel senso di produrre per gli individui del valore di qualunque genere economicamente rilevante) sono alcune delle spinte. Da prendere in considerazione tenendo a mente che il meme non ha una sua volontà, non è un individuo e tantomeno senziente. Semplicemente il meme "è" una unità e si replica o non si replica. Punto.

Due contributi finali alla protoscenza della memetica (purtroppo considerata una branca della sociologia, anche se alla lunga non è che c'entri molto con Durkheim e i suoi adepti). La prima è che Charles J. Lumsden ed Edward Osborne Wilson, all'inizio degli anni Ottanta, hanno sostenuto che il patrimonio genetico, la mente e la cultura evolvano insieme. E che all'interno delle nostre teste vi siano evoluzioni ed adattamenti neurologici legati a questo fenomeno culturale-sociale. Il meme, per loro, sarebbe proprio l'unità minima del cambiamento delle reti di neuroni che funzionano da nodi base per la memoria semantica degli individui.



Altri invece, come Karl Popper, dei memi pare che se ne siano sbattuti altamente, almeno da un punto di vista esplicito. Ma implicitamente hanno affrontato con una discreta asprezza il tema, sottolineando, come ha sottolineato il filosofo austriaco naturalizzato inglese, "che il valore per la sopravvivenza della intelligenza umana è che questa ci consente di far estinguere le cattive idee prima che loro estinguano noi".



Proprio l'alterità da noi delle idee ("gli ideali camminano con le gambe degli uomini", "io muoio, ma le mie idee continueranno a vivere") - tradotte come memi per rendere meno ambigua semanticamente la definizione e creare nuovi immaginari possibili di significato - è il concetto al centro della memetica. Più dell'evoluzione-mutazione, a mio avviso, dato che potrebbe darsi di una memetica creazionista contrapposta a quella evoluzionista (anche se tracce non ve ne sono e io ne rivendico qui la paternità riferendola non tanto e non solo a un discorso religioso quanto al collegamento tra idee e istinto, istinto e genetica) e via discorrendo.

Ah, quasi dimenticavo: le leggende metropolitane e lo spamming sono due forme di memi. Oppure no?

12.10.04

Oscar Marchisio

QUALCUNO DI VOI là fuori lo conosce? L'ha letto? Lo frequenta? Mi aggiorna?

Indizio: Come disse l'immenso Cary Grant, è meglio andarsene un minuto prima, lasciando le persone con la voglia, che un minuto dopo, avendole annoiate.

News!

ABBIAMO CAMBIATO L'ARREDAMENTO di questo blog. Adesso è tutto bianco. E io, per l'emozione, parlo in prima persona plurale. Inoltre, altro cambiamento epocale, adesso ci sono i COMMENTI!

Se poi ricominciassero a funzionare anche le lettere accentate... ebbene sì: FUNZIONANO. E' finito il macello degli apici da aggiungere al posto di tutte le accentate

Son cose belle.

Neal Stephenson

LUI E' UN autore di fantascienza. E' stato definito "la seconda ondata del cyberpunk", e addirittura c'e' chi lo considera lo scrittore definitivo del genere. Nel senso che dopo William Gibson e Bruce Sterling (più altri) e' quello che ha dato il contributo definitivo al filone, chiudendo il cerchio e aprendo la via per cose nuove. La macchina della realta' di Gibson e Sterling e' in questo senso un superamento del genere solo sulla carta.

Appartengono al suo lavoro due bei libri molto diversi (tra quelli che ho letto) e altri che forse - se tutto va nel verso giusto - leggero'. Il primo e' Zodiac, un eco-thriller, cioe' avventura e azione a Boston, nell'ambito del settore ambientalista. Divertente. Non gli ha pero' dato la fama.



Questa e' arrivata quattro anni dopo l'uscita di Zodiac con Snow Crash, nel 1992. Non l'ho letto ma promette bene, se non altro perche' si parla anche di memi (cosa siano i memi lo diciamo un'altra volta) un bel po' di tempo prima che appassionassero i sociologi d'antan delle parti nostre. Si parla anche di mitologia sumera e virus per computer, se e' per questo... ma di moda non son diventati.

Segue the Diamond Age, che non ho letto e che non molti apprezzano. Scivolone?

Il grosso colpo arriva invece con due testi, uno breve e uno lungo. Mooolto lungo. Letti entrambi. Il primo e' un saggio intitolato In the Beginning was the Command Line (scaricabile in inglese gratuitamente) e fece un gran movimento sulla rete a suo tempo. Quella che segue e' l'introduzione:

About twenty years ago Jobs and Wozniak, the founders of Apple, came up with the very strange idea of selling information processing machines for use in the home. The business took off, and its founders made a lot of money and received the credit they deserved for being daring visionaries. But around the same time, Bill Gates and Paul Allen came up with an idea even stranger and more fantastical: selling computer operating systems. This was much weirder than the idea of Jobs and Wozniak. A computer at least had some sort of physical reality to it. It came in a box, you could open it up and plug it in and watch lights blink. An operating system had no tangible incarnation at all. It arrived on a disk, of course, but the disk was, in effect, nothing more than the box that the OS came in. The product itself was a very long string of ones and zeroes that, when properly installed and coddled, gave you the ability to manipulate other very long strings of ones and zeroes. Even those few who actually understood what a computer operating system was were apt to think of it as a fantastically arcane engineering prodigy, like a breeder reactor or a U-2 spy plane, and not something that could ever be (in the parlance of high-tech) "productized."

L'altro libro, quello mooolto lungo, si chiama Cryptonomicon. Migliaio di pagine, denso di fatti, due trame che si seguono per tutto lo svolgersi del libro (una ambientata durante la Seconda guerra mondiale, l'altra ai giorni nostri). Dicono tutti che sia alquanto bello, solo un po' debole nel finale. Considerando che non mi ricordo proprio come finisce, direi che la lettura non e' per niente spiacevole.



Poi in tempi piu' recenti, Neal si e' lanciato nella creazione di un ciclo abbastanza consistente, sia come numero di libri che di contenuti. Abbracciando la corrente Neo-Vittoriana (che mescola alla moderna tecnologia l'estetica e la sensibilita' vittoriane ed eduardiane, cioe' tipiche della buona vecchia Inghilterra che fu) crea i primi tre libri del Ciclo Barocco. In Italia, a quel che mi risulta, e' arrivato solo il primo, Quicksilver, del 2003, mentre the Confusion e The System of the World sono in attesa di traduzione e pubblicazione.

Da notare che in questo caso non solo Stephenson ha accelerato in modo notevole la sua altrimenti consistente lentezza nello scrivere, ma che in pratica si tratta di un unico romanzo (piu' di tremila pagine finora) pubblicato "a puntate" negli ultimi due anni e mezzo.

L'unita' della trama, ambientata tra il 17mo e il 18mo secolo, e' rafforzata anche da un consistente lavoro di studio e di analisi dei tempi e dei personaggi storici. Utilizzando - questo lo trovo assolutamente interessante - la rete come strumento per la creazione di conoscenza e la sua gestione. In pratica, un taccuino online nel quale sono in tanti a contribuire. Non ne conosco le regole, ma si tratta di un Wiki, che si puo' trovare qui, dentro Metaweb.

C'e' una parte di marketing (il sito dell'autore o il sito del libro, per intenderci) ma anche e soprattutto una parte di community e una di knowledge managing. Fantastico. Ci sono anche circa 685 articoli sopra, e cresce. In Italia, mi viene in mente solo il lavoro analogo di gestione della conoscenza attraverso la rete di Wu Ming, ma siamo a un altro livello.



In questo momento Slashdot sta preparando le domande per una intervista collettiva al buon Stephenson. Se volete, potete contribuire...

Battesimo politico

OGGI (IERI A dire il vero) e' stato presentato ufficilamente il nuovo addestratore di AerMacchi, gruppo Finmeccanica. C'era anche il Presidente del Consiglio, che - secondo i telegiornali - ha parlato di tutt'altro.



Secondo le previsioni degli analisti, le vendite che inizieranno nel 2006 porteranno in un arco di tempo di trent'anni a piazzare almeno 600 addestratori, con un giro di fatturato di circa due miliardi di euro.

In Giappone sono pazzi per questa roba

SONO LE EROINE (o le ragazze immagine) di alcuni video games giapponesi. Spesso con taglio manga, oppure iper-realistico.



Da sinistra a destra, in senso orario:

Cassandra from Soul Calibur 2
Taki from Soul Calibur 2
Pop Girl from Dancing Eyes
Artemis from Phelios
Black Valkyrie from Valkyrie Legend
Hitomi Yoshino from Ridge Racer


Il fatto che io non conosca i nove decimi dei video che passano su Mtv, non riconosca due canzoni su tre alla radio e adesso anche i tizi del Grande Fratello non sappia chi siano (e quelli dell'Isola li scambio da una stagione all'altra) ma di queste ne abbia azzeccate quattro su sei, vi sembra grave?

Christopher Reeve

E' MORTO L'ATTORE newyorkese, famoso soprattutto per il ruolo di Superman in una serie di film degli anni Ottanta. Era immobilizzato dal collo in giu' ormai da dieci anni a causa di una fatale caduta da cavallo.



Quello che e' agghiacciante, al di la' del lutto, sono i servizi dei telegiornali di oggi. Tutti servizi da tre minuti che definire "lirici" e' dir poco. Domanda al mondo della comunicazione: possibile che un povero cristo spezzato da una malattia agghiacciante debba essere trattato ancora come un coglione in calzamaglia?

11.10.04

Cose da leggere

C'E' QUALCUNO LA' fuori, tra i miei dodici lettori (stiamo su medie che mi spingono a chiedervi se non preferite avere mie nuove via sms) che ha letto Quicksilver di Neal Stephenson? E' stato tradotto da Rizzoli con il titolo Argento Vivo, costa 22 euro e consta di mille e passa pagine...



Se avete notizie, prima che mi scatafalchi a comprarlo e mi iberni per una quindicina di giorni nella lettura del tomo, siete pregati di recapitarle al mio indirizzo antonio - qui ci dovete mettere una bella chiocciolina che non scrivo per evitare i robot degli spammer - macitynet.it

Thanks

8.10.04

Dove vai e cosa fai, se sei in Dubai?

UNA DELLE PARTI piu' interessanti del viaggio in Dubai e' stata quella in aereo. Li' ho conosciuto un ragazzo della mia eta', piu' o meno, di Citta' di Castello in Umbria. Tornava a Dubai City per l'ennesima volta - come gli capita con regolarita' dal 1990.

Il lavoro e' quello di responsabile di area per un bel pezzo di mondo: Medio Oriente, Africa, pezzetti di Asia e quelle terre che una volta appartenevano alla Russia. Pure l'Austrialia. Il lavoro e' per una ditta romana che produce guarnizioni per i Caterpillar.

I Caterpillar, a quello che ho capito, non sono il nome generico dei bulldozer, ma una marca specifica. Sono dei mostri, adatti a tutta una serie di lavori speciali su larga scala. In pratica, vanno alla grande in tutta una serie di parti del mondo dove si estraggono le materie prima, dove si edifica (talvolta in modo selvaggio), dove si combatte e si ricostruisce. Non necessariamente in momenti distinti tra loro.

E, soprattutto, praticamente non ci sono due Caterpillar uguali. O quasi. Insomma, sono un patchwork di pezzi per far funzionare il bestione la' dove serve. Deserto ma in discesa, ghiacciaio di notte, montagna con terriccio. Insomma, avete capito.

Loro vendono queste guarnizioni, qualunque cosa siano. E ci sono solo altre due aziende al mondo che le fanno. Quindi, gira come un matto per coprire tutto il business.

Mi ha raccontato che Dubai city e il suo aeroporto sono la porta del Medio Oriente. Da li' si entra nel circuito di tutte le altre citta' e paesi: Qatar, Oman, Iran e chi piu' ne ha. Pero' mi ha colpito il fatto che lui, come tanti, giri. Adesso, da tutte le parti, in classe economica. Sul pullman che ci portava al terminal mi e' venuto in mente (e gli ho detto) che stiamo vivendo quelli che saranno poi i ricordi della nostra vita. Cioe', stiamo facendo quello che a raccontarlo agli altri si fa nel pieno della maturita' di uomini. Il classico "quando giravo come un matto di qua e di la'".

Questo magari non e' importante, soprattutto perche' ne e' pieno il mondo di persone che hanno ricordi. Ma e' anche una metodologia, quella della storia sociale. Che postula di costruire il racconto di quello che succede dal punto di vista del popolo, dei lavoratori, delle persone comuni. Insomma, usando lo scenario della storia istituzionale per dipingere il periodo in generale, e poi i racconti delle persone qualunque per raccontare la vita e i fatti del momento. Una prospettiva diversa da quella delle cancellerie e dei passaggi diplomatici.

Questo lo pensavo subito dopo esser sceso dal pulcioso 767 di Alitalia che cinque volte alla settimana vola sino a Dubai da Milano. Chissa' poi perche' Milano e non Roma, visto che Fiumicino dovrebbe essere - nelle parole e nelle strategie - l'hub della compagnia aerea con la volonta' di guardare al bacino Mediterraneo e dintorni. Non per far polemica stile Panorama (che pare da anni abbia un conto aperto con la compagnia di bandiera).

Il mio momentaneo compagno di viaggio, pantaloni marroni, camicia bianca di cotone senza colletto, barba corta alla Del Piero, si e' fatto con me il tunnel di collegamento tra l'entrata della pista e il salone del controllo passaporti. Quello che i viaggiatori abituali chiamano "immigration", per far vedere che sono stati negli Usa. E li' siamo stati in coda un'oretta. In fila dietro a una settantina di personaggi dei piu' vari generi: soprattutto quegli immigrati che hanno il permesso di lavoro e fanno girare l'economia del Paese.

In pratica, il Dubai ha pochi abitanti nativi (i figli e i nipoti della tribu Bani Yas della famiglia Al-Maktoum che ha fondato il paese girando intorno all'oasi nel 1830) e tanti, tantissimi che ci vanno per lavorare. Oltre al petrolio, alla tecnologia e quant'altro, sono specializzati nell'ippica. Ci sono le piu' grosse scuderie del mondo. L'85 per cento, insomma, sono persone che vengono da altri posti. E se aprono una qualunque attivita' nel Paese, devono fare un accordo con un locale che funzioni da prestanome.

Nel giro in Dubai, comunque, qualcosa ho visto. Per esempio le architetture - avvolte dall'afa micidiale di quel posto. Dopotutto, e' la costa di un deserto micidiale. Caldo. Umido. Nebbioso. Chiudono spesso l'aeroporto causa nebbia, neanche fossimo a Linate.

Tutti i palazzoni, che poi sarebbero grattacieli fatti da architetti internazionali, abbondano di piattaforme per elicotteri sulla cima. E poi il mio vestito da lavoro, quello di fresco di lana. A parte che vorrei conoscere chi ha chiamato il fresco di lana "fresco di lana". Non per il concetto di lana, che mi e' noto, ma per quello di fresco. Perche' a me tanto fresco non pare. Insomma, quel vestito ha girato mezzo mondo, assaggiando un sacco di climi. E' stato seduto sulle seggiole di salette stampa e executive rooms di alberghi e centri conferenza di mezzo mondo. Senza fare una piega. Senza neanche bisogno di appenderlo nel bagno dell'albergo invaso dai vapori dell'acqua calda per rimetterlo in tiro.

Pero' il Dubai l'ha piegato. Anzi, stropicciato. E questo non era mai successo. Direi che qualcosa di nuovo si vede sempre. In questo caso, e' bastato aspettare mezz'oretta il taxi alle sei di sera, in coda con una folla di personaggi usciti da Gitex, la fiera dell'informatica del Medio Oriente. Si accedevano le luci dei grattacieli circostanti. Si cominciava a sentire l'aria posarsi. Ma l'umido no. Quello, afoso e asfissiante, oltre che appiccicoso, non si posava.

Sono stato parcheggiato per due notti all'hotel della catena Starwood, una sorta di parallelepipedo di cemento e acciaio con una caverna scavata al suo interno, una falsa piazza circondata da ristoranti e bar (anche un Night, oltre alla concierge) dove rilassarsi o fare business. Business. Business. Che poi e' quello che siamo andati a fare.

Io in particolare dovevo seguire, su invito, le strategie e le tecniche di un'azienda italiana. Con l'amministratore delegato - ligure - ex Olivetti. La cosa che mi incuriosisce di piu', dopo aver conosciuto uno che viaggia sempre in business, ha l'autista dietro l'angolo e vive dei ricordi dei suoi viaggi di quando era giovane manager trentenne di un gruppo cazzuto e lanciato, e' il ricordo e il rimpianto della mancanza della sua citta'. Tanti anni passati tra Tokio e Singapore, l'Africa e il Sud America, e il rimpianto del bar sotto casa, dove prendere il cappuccio prima di andare in ufficio.

A mangiare, per il pranzo, io mi son preso un pesce (branzino al limone) e lui il salmone. Niente vino, dopo un espresso fatto neanche male (ma il cuoco era italiano). Idem a cena: dal giapponese per mangiare sushi. Birretta per lui, sake caldo per me. L'idea e', secondo me, che tra professionisti in viaggio si mangi leggero per non stordirsi. L'unica discrasia e' stata per la partenza. Un volo red eyes, come dicono quelli fighi, cioe' partenza dopo mezzanotte e arrivo alle sei del mattino. Ergo, una giornata di lavoro piena davanti.

Il Ceo ha organizzato il viaggio cosi': praticamente digiuno prima di partire, un po' di tramezzini (giusto due e una birretta leggera) in sala business e poi dormire tutto il tragitto, perche' "a stomaco vuoto si dorme meglio". Io mi sono scofanato decine di cavolate varie (pesce, carne, dolci) al buffet della conferenza con i clienti. Poi un giro in barca sino al suk, una coca cola al night dell'albergo e uno strapuntino in classe economica. Stavolta non avevo accanto nessuno, ho anche rifiutato spuntino e colazione e cercato di dormire, appoggiato al finestrino dell'uscita di emergenza. Il posto dove si allungano le gambe ma non si reclina il sedile. Poi sono arrivato a Malpensa. E li' ad aspettarmi c'era la donna antipatica del bar ("aspetti dieci minuti, devo fare la cassa") il trenino finto-express e poi il bus da Cadorna fino in dipartimento. E via in riunione. Ma questa e' un'altra storia, fatta di biciclette, squallidi uffici in periferia, progetti futuristici. Ne riparleremo.


Buddha Bar?

VE LA RICORDATE? Era quella favolosa compilation di un lustro fa, replicata in almeno quattro o cinque sequel. Ebbene, non c'e' piu' limite al trash: se andiamo a vedere oltre a Buddha Bar (e il relativo locale Place de la Concorde a Parigi) c'e' anche la compagnia aerea, Buddha Air. Che vola ben quattro aerei da cinque milioni di dollari l'uno ed e' nata nel 1997.



Loro stanno dalle parti di Kathmandu. E volano con questi fantastici Beech 199D. SI divertono con il volo di montagna. E competono contro la temibile Yeti Air (giuro).



Prima o poi da quelle parti bisogna che ci faccia un salto...



Dubbi

UNO PER LAVORO comincia a volare. Vola, vola, vola, alla fine si appassiona anche agli aeroplani. Non c'e' mica niente di strano, no?

Poi, pero' viene un dubbio. E se mi riducessi al punto di montare anche io in casa un tempietto cosi'? Brrr...



7.10.04

Ultim'ora: un posto nella storia non si nega piu' a nessuno...

HO APPENA APPRESO una notizia sconvolgente: anche io ho un posto nella storia di Star Trek!

Per la precisione, ero (saro') il comandante della USS Carrizal che, si apprende da questo interessante saggio storiografico:

When the USS Carrizal, under the command of Captain Antonio Dini, violated Rihannsu space on a "discovery" mission that provoked the Lloan'na war, he, by all accounts, had no idea what he was doing. Yet the Carrizal's unwarranted, and uninvited approach to the twin planets, ch'Rihan and ch'Havran, were in Rihannsu eyes, a blatant act of war, calling for a vigorous defense of our homeworlds, against aliens who had utilized the same techniques as the Carrizal.

What Captain Dini and the crew of Carrizal didn't know, was that the Rihannsu had no interest in being "discovered". The last thing the people of the twins wanted, was to have their new homeworlds intruded upon by other spacefaring species. But Carrizal's arrival put an end to the isolation and galactic exclusionism of the Rihannsu people, that had been the only galactopolitical truth known to them for the 1700 years since they had left Vulcan to find a new home.

Undoubtably, Captain Dini, the crew of the Carrizal, and Federation officials did not intend to start a war with the Rihannsu people. But, the arrival of Carrizal did indeed accomplish that. It is this singular fact that outworlders consistently fail to grasp. The Rihannsu peoples had no desire to be found. They had deliberately chosen to settle in one of the remotest parts of known space "circa 609 A.D. Terran calendar" specifically to avoid outworlders, and live in peace "of a uniquely Rihannsu style of course".


Il resto dell'avvincente pezzo di storia e' qui (e a quanto pare ci faccio anche un po' la figura del pirla, ma questi son dettagli di fronte all'importanza del momento...)

Ahi ahi ahi

LINATE PER LA seconda volta in due giorni e' andato al buio. In realta', il "buio" non e' dell'aeroporto, quanto della gestione del traffico aereo nell'area di Milano e parte della Lombardia occidentale.

Il "buio" accade forse piu' per un problema di computer legato al radar che non di black out. La cosa triste e' che sarebbe in realta' la quarta volta che si presenta il problema. E soprattutto, la modalita' di reazione:

Nel momento in cui i radar hanno smesso di funzionare la Sea ha fatto ricorso "a sistemi meno sofisticati di controllo che, pur mantenendo ai massimi livelli di sicurezza, sono in grado di gestire meno aeroplani del sistema Enav". A complicare ulteriormente la situazione del traffico aereo "questa mattina e' arrivata anche la nebbia a Fiumicino che impedisce il transito normale dei voli".


l'aeroporto di Linate

6.10.04

Buon compleanno, cara la mia vecchietta...

DOMANI COMPIE 85 anni KLM, la compagnia aerea reale d'Olanda. Non sono pochi... Festeggiano con iniziative di voli a prezzo scontatissimo (solo domani), premi e ricche promozioni, come il giro del mondo in 85 giorni. Tra le rotte offerte, anche Atlanta. Primi effetti delle sinergie con Delta?

Son tornato

NON FAI IN tempo ad atterrare in mezzo ai beduini, che gia' sei a Milano. Il tempo vola, il Gitex (la fiera dell'IT che sono andato a vedere) sta per finire, e tutto pare bello...

Consigli per i viaggiatori: se non volete a tutti i costi le miglia di Alitalia (che stamani ha trovato l'accordo e - come recita l'Ansa trionfalmente - "e' salva!", procedete a provare Emirates Airlines. Peggio del 767-300 ER degli anni Ottanta non puo' capitarvi. Soprattutto se viaggiate in economy. Ok, son solo sei orette (e un fuso orario di due ore in meno) pero' te le senti tutte nella schiena, dopo...

2.10.04

Airbus A320 Familiy

NE TORNEREMO A parlare quando avro' un minimo di tempo. Per adesso, sottolineo solo che questa famiglia di aerei e' composta da quattro apparecchi, ciascuno con differenti dimensioni, capacita' di carico, consumi e autonomia.



Ma tutti quanti, oltre al caratteristico sistema "fly-by-wire" per i comandi in cabina, anche da un unico tipo di preparazione per i piloti. Fatto questo che consente un notevole risparmio ed efficienza nell'addestramento di chi li deve guidare...



Dubai, Dubai...

DOMANI ALLE 15:55 ho l'aereo per andare a Dubai, la seconda citta' degli Emirati Arabi Uniti, nonche' uno dei sette emirati che compongono l'Unione.

Poi, quando mercoledi' mattina sono di nuovo a Milano, vi racconto. Chissa' com'e'. Il volo e' Alitalia. E l'aeroporto e' assai interessante (uno dei piu' dinamici e in crescita al mondo, a parte il discorso del crollo di settimana scorsa). Vedremo


1.10.04

Quando il bush era il bush

HO PASSATO, un anno fa di ottobre, una giornata nel bush a nord di Melbourne insieme a un simpatico Crocodile Dundee, una vecchietta americana e una coppia (marito pilota, moglie capo di staff a terra) di militari dell'aeronautica sempre statunitense in vacanza. Obiettivo: caccia al Koala nella boscaglia. (caccia senza fucile ovviamente. Si faceva a chi ne vedeva di piu' appollaiati sugli alberi). Bellissimo! Ho appreso anche cose che mi hanno fatto riflettere e che sono tornate alla mente leggendo quanto segue:

Koalas to get contraceptives in Australia

CANBERRA, Oct. 1 (Xinhuanet) -- Koalas in Australia's southeastern state of Victoria will receive contraceptive implants to keep their numbers down.

Up to 2,000 female koalas will be implanted with a slow-releasehormone in the next 10 weeks at Mt Eccles National Park, said Victorian Environment Minister John Thwaites on Friday.

Australian Broadcasting Corporation radio quoted the official as saying that the number of the furry marsupials living on numbers are too high in some areas, especially in the west of the state, and the local vegetation is being destroyed.

The new koala management strategy is designed to protect the koalas and their environment.

"That will ensure that the population is kept at a manageable level and that the koalas will be able to survive into the future," he said.

"This strategy seeks to manage our koala populations across thestate to ensure that we don't have wide scale destruction of the vegetation that they eat," he said.




Ok. Il fatto e' che i Koala sono animali territoriali. Cioe', le femmine lo sono. E hanno un territorio di alcuni chilometri quadrati. E con le unghione sono aggressive e fanno male alle altre femmine e soprattutto ai maschi di passaggio. Tranne quando hanno l'estro (cosa che capita pero' con una ciclicita' diversa da altri mammiferi: in pratica, una o due volte l'anno) e allora il maschietto, che ballonzolava di ramo in ramo sfuggendo alle violente femminucce diventa all'improvviso il beniamino di queste pelose creature.

Insomma, la vita del maschio del Koala era gia' tosta prima: 11 mesi e mezzo in bianco a scappare e poi due o tre settimane di divertimento puro. Pensateci: e' stressante. Perche' secondo me il koala maschio non lo sa a priori quand'e' il momento giusto. E quindi vaga a giro per il bush, strisciando silenzioso sui rami, nella speranza che ogni mattina sia quella buona. Se si avvicina troppo, le busca. Ma se sta troppo lontano e perde il momento, passa un altro e zac! lui e' fregato.

Se adesso a 'sti poveri koala gli creano pure dei problemi artificialmente, questi secondo me sbroccano e se li trovano tutti a manifestare per le strade del centro di Melbourne, incacchiati neri. E i koala son cattivi. Ah, se son cattivi...

Interviste

FACCIO IL GIORNALISTA. Quindi mi capita sovente di intervistare delle persone. Dato che e' per la carta stampata, in realta' potrei fare tranquillamente solo con carta e penna (come peraltro spesso faccio). Pero' ogni tanto conviene avere a portata di mano un registratore, tanto per esser sicuro di non perdermi niente. Domanda che spesso mi fanno: cosa usi?

Ci son colleghi che usano i registratori a cassetta "normali", altri quelli a minicassetta, altri strani registratori digitali (Olimpus, soprattutto) o addirittura funzioni arcane del portatile usando i programmi di Microsoft (ebbene si': Word e' anche in grado di registrare la voce, se il Pc ha il microfono).

Io personalmente faccio cosi'...



Questa e' comunicazione!

(E IL FATTO che sia francese un po' mi lascia perplesso, ma va bene lo stesso...)




Quando anche l'arte si fa da parte

L'HO TROVATO DISPERSO in una mailing list. Non so chi l'abbia scritto. Ma e' come un messaggio nella bottiglia e leggerlo e' pura epifania. Signori, questo e' marketing-comunicazione allo stato liquido. Imbottigliatelo e mettetelo al sicuro in cantina, tra i vini buoni. Come questo non se ne trova...

Delta Corporate Identity Revitalization

A Dramatic New Identity System For A Global Transportation Leader

Background

Landor has been Delta's branding partner for over eight years, developing and
enhancing countless service sub-brands, starting with the Sky Miles program
in 1993. As the airline's operations grew rapidly throughout the decade, Landor
developed solutions to ensure the Delta brand grew as well. In early 2000,
Delta management accepted Landor's recommendations that the airline's increased
services and capabilities called for a dramatic new look.


Challenge

Although Landor worked to modernize Delta's visual identity in the mid-90's,
Delta needed to go even further to differentiate itself in the cluttered
airline brandscape. This meant developing a striking new identity system
signaling a world-class carrier that would be instantly recognizable in the over 250
cities and 32 countries that Delta serves. Furthermore, the new identity needed
to convey a passenger-centric focus in an era of increasing customer
dissatisfaction within the industry.


Landor's Solution

The new Delta brand is a dramatic departure from its past. The words "Air
Lines" have been removed from the logotype, reflecting an assumptive pride in
its brand heritage and leadership role. The triangular heritage mark was
softened, symbolizing a more human approach. Landor developed a new "flowing
fabric" branding program, featuring a colorful, vibrant tail contrasted against a
clean, white fuselage. This striking element is featured throughout the
passenger experience, from airport environments to print collateral, making a distinctive
and welcoming impression in the minds of Delta's customers.