C'E' SEMPRE QUALCUNO che prevede la fine di qualcosa. John Dvorak, stimato giornalista americano un po' catastrofista e con una buffa omonimia nel cognome, prevede la fine del mercato dei videogiochi.
Non è uno scherzo, né per i soldi che ci girano attorno (in questo momento nel mondo è più grande del fatturato cinematografico e dell'home video sommati) né per l'implausibilità dell'idea. In effetti, come il mercato dell'aeronautica civile, anche quello dei videogiochi è legato a crisi cicliche. Ma, a differenza dell'aviazione, qui non entrano in gioco fattori economici primari come il costo degli approvvigionamenti, i ristretti margini, l'effetto guerra, depressione o incidente, bensì i "gusti" del pubblico e la capacità di innovare costantemente. Insomma, moda e creatività.
La tesi di Dvorak è riassumibile così: pochi generi, crisi di idee nuove, risultati tecnici d'eccellenza già raggiunti. In pratica, i maggiori titoli degli ultimi tempi sono puzzle e labirinti, giochi di avventura, sport e simulazione. La grafica ha raggiunto livelli fotorealistici e non si sa che cosa proporre dopo. Insomma, la gente si sta stancando perché da alcuni anni ci sono sempre le solite minestre da mangiare. A breve, arriverà la disaffezione del pubblico (che paga pure un sacco di soldi per comprare i giochi) e il mercato crollerà.
Inoltre, tra pochi mesi arriveranno Xbox 2, Playstation 3, il nuovo Nintendo, mentre Sony Psp e Nintendo Ds (le due console da passeggio attualmente sul mercato) si stanno contendendo la palma di più venduta a colpi di milioni di pezzi. Il rischio ingorgo c'è, è inutile negarlo.
Quali soluzioni, allora? Dvorak, che in questo è un catastrofista vero, a parte una lisciata di pelo a Nintendo - in pratica presentando due concept-game della casa giapponese - non ha niente da proporre. L'idea che circola in questo Posto è che invece i videogiochi non siano schiavi dei corsi e ricorsi della storia, ma si apprestino ad evolvere in qualcosa di differente. Sia perché la generazione cresciuta con loro ha raggiunto un'età in cui chiede qualcosa di diverso, sia perché la maggior penetrazione del loro modo di funzionare presso larghi strati della società (una volta non si sapeva neanche tenere in mano un joystick, adesso si gioca anche col telefonino) sta aprendo la strada a forme di ibridazione con altri tipi di contenuti (film, telefilm) o altri obiettivi (formazione, scuola, rieducazione, esperienze testuali complesse).
Alla fine? Forse, nonostante quel che dice Dvorak, lo tsunami non ci sarà, perché i videogiochi non sono un prodotto ma un mezzo di comunicazione e interazione. Un new media, cioè, e predicarne la fine è come predicare la fine del web o dell'email...
29.4.05
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1 commento:
Concordo sul "new media" anzi ammiro la lungimiranza di Microsoft che ha dotato quel cesso di Xbox di una killer application mica da ridere: il network Live. Il futuro sarà roseo e online, di sicuro
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