1.5.05

Giornalisti: dal precariato alla disoccupazione strutturale?

IN QUESTA EPOCA un po' confusa si cerca di rispondere alle contraddizioni sistemiche con delle soluzioni personali, quindi perdonate se la cosa la vedo dalla prospettiva del mio ombelico. Ma il punto è questo: dopo quindici anni di conclamata "crisi" del giornalismo e del mercato editoriale - nel nostro Paese come in altri - e soprattutto dopo la "volata" della New Economy, che predicava la fine dei modelli tradizionali a favore delle tecnologie informatiche di comunicazione, adesso sta arrivando qualcosa di nuovo.

L'aria di crisi strutturale per chi si occupa di fare informazione si sta condensando e prendendo la forma di un modello completamente nuovo. Ci sono i nuovi media - quelli elettronici - che svisano l'attenzione del pubblico tradizionale, c'è una nuova leva di consumatori di informazione, ma c'è anche un nuovo modo di comunicare direttamente da parte di aziende e soggetti vari che disintermediano (cioè levano i giornalisti dalle scatole) il loro rapporto con il pubblico. E anche l'affermarsi di modelli di informazione ibridata con il commercio, l'infotainment e via dicendo.



Se l'evoluzione tecnologia, economica e sociale (il cui grado di importanza è ordinato in modo crescente, a mio avviso) preme e la sua pressione si avverte sempre più - qui c'è la mia visione ombelicale di precario destinato alla disoccupazione - la novità del momento è l'apertura negli Stati Uniti di un dibattito sul tema. Probabilmente dettato anche dall'impegno che l'attuale amministrazione Bush sta mettendo verso la comunicazione, pari a nessun precedente sforzo di altre amministrazioni.

Se ne percepiscono piccole ma interessanti tracce sulla rete, oppure importanti segnali come questo articolo con annessa intervista di Robert Murdoch (ehi, telespettatori di Sky, stiamo parlando del Boss) in cui ci si chiede se i vecchi giornali abbiano ancora senso.

Ricordo (con affetto) un collega all'epoca precario di Repubblica a Firenze che, fintanto che ho lavorato in una redazione radiofonica per quanto "amica", non mi ha mai dato completo credito come "collega". Il passaggio al quotidiano, perquanto "avversario" sia politicamente che nella competizione verso il mercato dei lettori, mi ha improvvisamente elevato ai suoi occhi allo status di "collega", con annesse confidenze e rinnovata stima. Adesso, l'essere sempre precario ma in una redazione nazionale di un altro quotidiano mi rende, le poche volte che ci incontriamo a Firenze, un gaudente e fortunato collega, immerso nel bel mondo milanese. Lui, tra parentesi, da alcuni anni è stato anche assunto. Il suo, comunque, è lo spirito del giornalista duro e puro, che può solo lavorare in certi modi e a certe condizioni: in un quotidiano, nella cronaca, con metodi affermati per quasi cento anni.

Torniamo a noi, all'oggi. La perdita di contatto della stampa convenzionale rispetto ai propri lettori è cosa che pre-data l'avvento di Internet e la New Economy. Adesso, con la nascita di questa seconda generazione basata sulla larga banda - passaggio fondamentale in quanto Internet è una infrastruttura abilitante e la banda larga abilita modalità di fruizione dei contenuti impossibili con la banda convezionale come il modem: provateci a scaricare un film da 1 GB... - stanno cambiando molte cose. Una tra tutte, io rischio di passare dal precariato alla disoccupazione strutturale e a vita.

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