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Inoltre, la politica italiana ha ripreso a girare attorno al suo vero retaggio storico: i tre secoli di melodramma che caratterizzano l'animo italiano - alla faccia di Severgnini e delle sue costruzioni stereotipiche sul genere nostrano. I carichi di lavoro non diminuiscono ma aumentano sempre, i consumi fanno il contrario e la percezione di essere pagati in lire ma di avere tutte le spese in euro si fa certezza ogni giorno di più. Si ha paura a prendere la metropolitana, si teme il diverso, il differente, il ricco e lo straniero.
Un collega blogger a cui ho scritto stamane mi ha strappato una confessione: la sfiducia nel sistema bancario. Pensare ai mutui per le case - mercato obmubilato da una bolla speculativa di dimensioni planetarie - che vengono concesse solo ai dipendenti e non ai flessibili, dopo che le politiche economiche del Paese hanno rivolto la prua verso il precariato come stato dell'arte lavorativa, e penso che sia una politica quantomeno incivile se non criminale, corrotta e colpevole.
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Certo, la percezione del singolo è sempre legata alla sua esperienza personale e alla congiuntura. Per esempio, nel mondo dell'università la mia percezione è totalmente autoriflessiva e per niente strategica. Però, qualche briciolo di strategia si intravede, dietro le cortine dei disagi personali.
Perché disagi? Perché pare essere questo lo stigma del nostro tempo. Un ennuì di sofferenza, di problematiche, di ricerca epicurea del piacere per cancellare il piccolo dolore. Una fitta al torace fa tremare i fumatori che immaginano la bestia innominabile accucciata nel loro petto. Una gravidanza altrui diventa misura del senso di inadeguatezza alla vita. Le più elementari operazioni del vivere sociale (pagare una bolletta? acquistare un motorino? intraprendere un nuovo affitto?) somigliano a percorsi di guerra, in cui nella normalità cialtrona della gestione si intravede sempre dietro l'ansia di un fallimento spettacolare.
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Leggere Pompei di Harris poche ore prima di una tormenta di vento e pioggia che ha piegato gli alberi (e regalato un'immagine affascinante: un uccello nero, forse un corvo o un piccione, che per pochi secondi era immobile sospeso davanti alla finestra mentre lottava disperato contro il vento e poi in un attimo è scomparso travolto dagli elementi impazziti) apre scenari differenti: filtri. Filtri e lenti che ridisegnano il mondo, continuamente. E che appartengono a una serie di fabbriche del sapere attive giorno e notte, che girano in maniera furibonda, espellendo feroci output che distorcono il mondo attorno a noi.
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Le ragioni per un disagio profondo, sofferto, velenoso e sotterraneo ci sono tute, a me pare. Se mi accompagnerete, cercheremo di scrutare meglio...
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