12.7.05
Semiotica della bottiglia di Coca Cola
SICCOME C'E' ALMENO un lettore, tra i miei quasi cinquantamila, che una volta è giunto sul sito cercando risposta alla domanda analisi semiotica bottiglia coca cola, non posso fare a meno di cimentarmi tentando una risposta. Sempre che la bottiglia in questione sia, per semplificare, quella qui a fianco, vale a dire la storica Mae West. Ecco, quindi, la mia modesta proposta al riguardo.
Sorvoliamo sulla storia dell'azienda di Atlanta nata nel 1886 per creare una bibita di ispirazione europea (il cocawine Vin Mariani, che mieteva gran successi durante il proibizionismo georgiano del 1885), sulla storia della sua "formula segreta" e sulla cronaca dei suoi successi commerciali che l'hanno eletta a simbolo e quindi posta sull'altare delle ideologie (l'identità americana nel mondo come "Coca-Colonisation" e via dicendo). Anche il fatto che le bottiglie risalgano al 1894 e le lattine al 1955 sono dettagli, come pure le dispute sulla nascita della società, i numerosi inventori che non sono mai stati santificati e via dicendo.
Anche le leggende metropolitane (sull'acidità corrosiva della bevanda o sui suoi effetti insieme a medicinali da banco come l'aspirina) che hanno addirittura creato il genere dell'urban folklore chiamato "cokelore" non ci interessano. Veniamo a noi, invece, cioè alla bottiglia.
Viene chiamata Mae West per via delle sinuose forme che richiamano quelle dell'attrice, Mae Jane West, sex symbol a cavallo della Seconda guerra mondiale e personaggio dalla biografia di tutto rilievo, per chi sia appassionato del genere. La leggenda narra che sia stata lei, più o meno volontariamente, la modella per il disegno della bottiglia, ma la realtà dei fatti è diversa. La bottiglia già c'era quando Mae West non era ancora Mae West e l'accostamento è più che altro simbolico: l'incarnare un ideale di seduzione femminile attraverso le sue forme per traslarlo in un concetto di bibita seducente.
L'idea originaria per la bottiglia, che si percepisce anche simbolicamente, è quella di un frattale. Come per il modello matematico che genera schemi sempre scomponibili in sottoinsiemi altrettanto complessi e riconoscibili, così anche per la bottiglia si doveva, nelle intenzioni dei progettisti, non solo avere una riconoscibilità per quando era esposta e intera, ma anche per quando la si trovava casualmente in strada, spaccata, dopo il consumo. Lo sforzo tendeva cioè ad aumentare la visibilità del prodotto e la sua unicità per sottolineare l'idea che vi fosse un costante e diffuso consumo e per fornire un ulteriore elemento di distinzione sul mercato.
Ma la sinuosità della bottiglia, che contiene una sorta di sciroppo scuro e un po' inquietante, assolutamente non rappresentativo nell'esperienza del buon selvaggio (che non conosce il gusto della bevanda) del successivo effervescente refrigerio, è anche un gusto per i moderni di derivazione antica. La bottiglia di Coca Cola è tozza, in qualche modo "piena" di vetro, porta via spazio al contenuto e lo impreziosisce proprio per l'idea della sua scarsità pur nel paradosso di abbondanza (le bottiglie che si buttano) ed evidente consumismo sistematico. Piccole dosi di soddisfazione istantanea.
Ma non finisce qui, perché le forti sottolineature della bottiglia, il suo definire un universo immutabile anche attraverso il susseguirsi di restyling, si mescolano all'esperienza del consumo attraverso modelli comportamentali diffusi. La bottiglia di Coca Cola, contenente un contraddittorio e scuro liquido gassato, appannata dalla condensa che la termodinamica appiccica sulle sue pareti nel percorso tra il refrigeratore e il tavolo nelle estati marine, è simbolo di trasgressione addomesticata e come tale altamente ritualizzata.
Si beve con la cannuccia o "alla bottiglia", perché è il modo giusto di "indossarla", e se ne esalta quindi l'aspetto ludico-performativo assolutamente canonizzato e portatore di sapori consumistici prestabiliti: la Coca Cola è anche massima esemplificazione della produzione di serie industriale in cui si cerca, tuttavia, di ritrovare lo stigma delle differenti carature nazionali (la dimensione più o meno zuccherina dell'imbottigliatore di turno, il differente dosaggio dello sciroppo d'essenza a seconda della partita, paragonabile all'annata dei vini ma assolutamente indistinguibile per fattori naturali nella realtà dei fatti).
La bottiglia di Coca Cola evoca anche una dimensione temporale del ricordo, e tutto il disegno del corpo vitreo mira a massimizzare una esperienza di questo tipo: appartenenza aspirazionale a una serie di micro-valori diffusi, identificazione casuale e distratta, mescolata al consumo seriale. La Coca Cola, premio per il palato, è anche forma di regressione e di trasgressione dalle regole normative dell'infanzia (moderazione, scarsità, premio).
Quello che personalmente non ho mai capito della Coca Cola intesa come oggetto è la scarsa aderenza a un modello evolutivo di consumo. Per quanto sia innegabile l'evoluzione radicale del prodotto e degli usi e degli immaginari collegati, in realtà non ne percepisco lo sforzo prospettico: i segni con i quali è disegnata la bottiglia, simile più a una supposta (fase anale) che non a una borraccia (fase orale) portano verso un disegno prezioso, in qualche misura datato come quelli che solitamente il conio utilizza per realizzare i suoi manufatti. Ecco, forse in ultima analisi nelle fantasie fanciullesche la Coca Cola nella classica bottiglia più che un simbolo di seduzione potrebbe essere un oggetto di scambio codificato in una economia di baratto. Sostituto della moneta, di cui ha la forma a darne dignità, detiene un suo valore d'uso ma anche una serialità e portabilità tali da definirla come moneta di scambio, peso e misura di altri valori.
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3 commenti:
non c'e' che dire....ottima analisi! E non e' vero che perdi tempo a scrivere il blog...io perlomeno leggo cose interessanti e ben scritte!
Lorenza
La historia relata la vivencia de Mae West, diva del teatro de Broadway en 1927, ....- - from News ITALIA PRESS - - - - -
http://maewest.blogspot.com/
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