LE CUFFIE DELL'iPod mi stanno facendo sentire direttamente dal mio portatile Wake me up when semptember ends dei Green Day. La sala stampa del centro convegni nel cuore di San Francisco, dove siamo arrivati a metà del secondo giorno dell'annuale Macworld, si è già ammosciata. Passato il momento delle notizie, ieri, la stampa "seria" ha mollato il colpo e se n'è andata. Adesso, ci sono solo i Mac-affezionati e qualche sfigato come me che tengono duro.
E', insomma, iniziata la lunga notte delle riviste specializzate e dei siti Mac, senza contare i blog. Qui ci si accampa, in una sorta di comune a metà tra nerd e freak, cercando di andare a scavare via l'infinitesimale dettaglio di quell'ecosistema compatibile col Mac che per altri due giorni sarà in mostra qui, tutto intorno a noi.
Le scene, soprattutto conoscendo il Moscone per altre manifestazioni, sono quasi surreali. L'aria condizionata che ti fa vivere col giubbotto di pelliccia dentro e poi ti metti la giacchetta quando esci, lo sguardo bollito delle persone che lavorano all'accoglienza e alla gestione degli ospiti della fiera, le comitive di giornalisti-turisti (spettacolari gli asiatici, che non si capisce mai di preciso quanti siano, cosa facciano, perché siano qui, ma hanno i portatili più minuscoli del pianeta: praticamente in scala), l'infinita schiumana di paganti (Exibit Hall Only, c'è scritto sui loro badge, appesi al collo) che cerca di entrare o si sdraia, schiena al muro, sulla moquette sintetica col PowerBook sulle gambe per rubare connessione senza fili.
Tutto un mondo in cui le tre tavolate di postazioni per la stampa perdono lentamente di senso man a mano che la gente se ne va e rimaniamo soli. Non che ci si dia del tu col nero delle pulizie, che ogni tanto passa a portare via un po' di junk food, ma quasi. Ogni tanto vedi anche arrivare qualcuno che ore prima era partito in missione, macchina fotografica digitale in resta, verso gli stand dove si aggirano in una festa paesana ragazzotti, signorine, gente di mezza età e anche qualche fan ottuagenario della casa della mela. Nasce solidarietà: devi andare in bagno e chiedi allo sfigato di fronte a te - la cui etnia puoi solo immaginare - se ti dà una occhiata al portatile che lascerai per qualche minuto solo sul tavolo. Certo, dice lui (o almeno, così lo interpreti tu) e poi via, corsa negli anodìni bagni del Moscone Center, intorno ai quali c'è tutta una letteratura, la maggior parte della quale scritta direttamente sopra gli orinatoi.
E' dura, la vita dell'invitato speciale, ma è anche bella: qui c'è l'azione che si trasfigura in mistica del giornalismo, qui ci sono le notizie che vedi sgusciare e non te ne avvedi, qui c'è la storia che si ripete, e all'improvviso capisci che si può invecchiare senza accorgertene, oltre che in redazione, anche in sala stampa. Sono fini diverse, ma sempre fini.
11.1.06
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