SONO MOTIVATI DALL'Incanto del Paradiso. Sono mossi dalla sensazione che ci sia un destino più glorioso appena più in là. Gli americani non sono un popolo superficiale: sono fantasiosi, sognatori, non sono né meditativi né cupi o pensierosi. Gli americani hanno la sindrome di nobiltà: hanno difficoltà ad adattarsi alle circostanze della realtà.
David Brooks, giornalista e commentatore politico del New York Times, con il suo libro Happy Days (edito da Lindau, 23 euro per 310 pagine) fa un eccellente lavoro nel raccontare il "tipo americano". Lo tiro fuori adesso (l'avevo letto subito prima di partire per San Francisco) perché mi pare appropriato. Brooks si è inventato una sorta di "sociologia comica", che vuol dire raccontare con una buona e solida base documentale la storia di un popolo condendola di divertenti paradossi e giochi sofisticati sui tipi e i generi del suo Paese. Immaginate un Michele Serra che abbia studiato economia e commercio (perché il giornalismo e la saggistica negli Stati Uniti sono una cosa seria) e scriva in maniera divertente ma con un'ampia offerta sempre condita di dati, numeri, citazioni.
Il libro a dire il vero varrebbe solo per la copertina: una vecchia Pontiac nel mezzo della famiglia da pubblicità del Mulino Bianco, il buon vicinato, i sorrisi di un tempo colorato che non c'è più. La tesi di fondo di Brooks è che il popolo americano, il suo popolo, sia straordinario: è la riscoperta dell'American Dream come motore attuale del paese che sta cambiando da trent'anni in maniera radicale, inventando una società inedita, fatta di periferie e di competizione, di faciloni e di abbondanza, di spazi grandiosi e di materialismo a tutti i costi.
Il ritratto è sicuramente positivo, la conclusione fin troppo animata dalla ricerca del lato profondo e immortale della società statunitense, ma il volumetto è comunque valido e divertente. Un micro-viaggio che ne vale la pena.
14.5.06
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