4.1.07

Apocalittici e integrati

SONO STATO FULMINATO da una illuminazione notturna, ancora grezza e priva di quel raffinato lavoro di lima di oraziana memoria (che poi era Limae labor et mora, dice per interposto Google qualcuno in rete), ma tant'è: prendetevela così come viene. La luce che acceca è la seguente: la radio italiana è fatta di due, massimo tre emittenti. Una è la Rai. E che diavolo, è la Rai, mica la cito perché ci ho lavorato per un anno. Stavo ascoltando il Giornale della Mezzanotte e, signori miei, altro nell'etere non c'è che quella fascia che va dalle undici sino a mezzanotte e quarantacinque (poi partono delle programmazioni notturne non sempre all'altezza, ma comunque).

Poi c'è Radio Popolare. L'altra Rai. Quella degli altri (anche qui, ci ho lavorato etc. etc., solito disclaimer insomma), cioè la via ambrosina ai progetti politici d'informazione. Geniale, snob, popolare, casinista, contraddittoria, puntuale, movimentista, attiva, politica, controcorrente, autonoma, indipendente, anche un po' paranoica. In una parola: meravigliosa. Grande amore.

La terza, la lascio al piacer vostro. Per me è una piccola radio fiorentina, dove ho iniziato a lavorare sul serio come giornalista (nel senso che si portava avanti un progetto d'informazione e culturale; non che m'avessero assunto, però, perché eravamo in realtà tutti volontari), ma gli amori a questo livello possono esser mille. Dipende dalle diverse biografie.

Le altre, dalla squisita Radio Monte Carlo sino alle antipatiche Rds, Rtl, RadioDeeJay e compagnia danzante, per me potrebbero anche chiuderle stanotte. Anzi, sai mai che non le chiudano davvero. Comunque, proprio ripensando a questo e quello, ecco un'altra - meno intensa, certo, ma sempre forte - illuminazione. Le playlist. Che nel gergo radiofonico sono le rigide scalette predisposte dalle direzioni musicali e imposte ai conduttori dei programmi. Con Luca l'anno scorso alla Rai se n'è discusso più volte - più che altro lui bofonchiava e penso bofonchi anche quest'anno contro queste rigidità al diritto del conduttore di personalizzare il suo spazio temporale nell'etere.

La risposta ufficiale, a quanto mi risulta, nelle varie radio nazionali e non, è che così si costruisce "l'identità di rete". Scelte musicali dettate da bisogno di diversificazione, politiche culturali, meccanismi di raffinata gestione della cosa radiofonica. In pratica: cazzate. Dato che passo le giornate che sono in casa a lavorare con la radio accesa e sono troppo pigro per cambiare canale alla Tivoli Model One (la radio mono del single milanese), posso solo notare che le playlist sono fin troppo corte e ogni ora e mezza ti ribecchi sempre le stesse canzoni. Uno schifo. Non migliorano, anzi peggiorano di brutto la qualità. Ma tant'è.

L'illuminazione invece è la seguente: le playlist esistono per evitare che i conduttori arrivino in radio alla guida di Ferrari o Porsche regalate loro dalle case discografiche in cambio della promozione della marchetta discografica di turno. Non mi riferisco ai desideri autoriali di Luca (che ha lo stigma del bravo ragazzo e la dedizione musicale dell'appassionato, con tutto quel che ne consegue), quanto al desiderio di cercare di controllare e incanalare le marchette in un ragionevole scambio commerciale tra aziende (discografiche e radiofoniche). Perché le playlist questo sono, non ci sbagliamo: marchette, non espressione del gusto musicale dei viventi. Ma almeno, secondo loro, fatte nell'interesse collettivo del bilancio di fine anno dell'emittente e non per il tornaconto dei singoli conduttori. Meno male, eh?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

quindi le innominabili antipatiche radio commerciali che hanno i loro dominus
che decidono playlist e inserimenti di artisti di scuderia...

Anonimo ha detto...

Segnalo anche Radio Radicale. Ovviamente quando non sbrodola solo Pannella-pensiero... (fra l'altro oramai alla radio non si riesce piu` neanche a capire le parole)