16.2.07

Tutto bene a San Francisco. E pure a New York, grazie

SONO ATTERRATO A Milano: tutto bene a San Francisco. Con un paio di divertenti aneddoti che riguardano New York durante il viaggio. C'era brutto tempo. Bruttino assai. Bruttissimo, anzi. Di quelli proprio carogna, che tira un vento gelato d'infilata e la neve pare cadere orizzontalmente. Il sospetto è venuto durante l'avvicinamento a Newark: veloce e dritto come poche volte, perché pare si faccia così quando il tempo è inclemente. E siamo rimbalzati un po' sulla pista, con quella strana sensazione come di qualcosa fuori posto. E' durata dieci-dodici secondi (paiono un intero quarto del Superbowl); poi, quando anche l'altro carrello ha toccato terra, abbiamo capito che fino a quel momento ci sosteneva più il vento che non la pista. Ma il buon 737-800 di Continental, soprattutto l'autopilota, alla fine il suo lavoro l'ha fatto.

Newark. Piste buie e spazzate da una nebbiolina bassa che a ben guardare era la neve sollevata dal vento, un paio d'ore di pausa dentro il terminal B quasi abbandonato (negozi chiusi, illuminazione abbassata, pure la sicurezza si stava annoiando) e poi tutti dentro il 767 di Alitalia. Non faccio commenti sui personaggi folcloristici dall'inflessione romanesca d'equipaggio per la compagnia ancora di bandiera (ma si può, tutti romani su un aereo che fa base a Malpensa?), perché tanto se li mangerà tutti la privatizzazione. Vado subito al decollo. Stiamo un po' a traccheggiare sulla pista, oramai staccati dalla jetway - il condotto che unisce il terminal all'aereo - e sentiamo dei gran colpi da sotto: uno degli stewart di mezza età quasi mi monta sulle ginocchia per guardare fuori chiedendo "ahò, ma che ll'ha sentita pure lei, 'stabbòtta?". Poi, decolliamo.

Quando si decolla, ci sono quei 90 secondi di rischio, sino a che non rientrano prima il carrello e poi i flap, e si esce dal circuito dell'aeroporto, s'imbocca l'aerovia e ci si arrampica verso la quota di crociera. Ecco, passati i 90 secondi, mentre ci si arrampica, un breve annuncio del capitano con voce soffocata: "Dobbiamo tirare un attimo giù il carrello". Mentre lo ripete anche in inglese, l'aereo già comincia a frenare di brutto, con i motori al minimo e la spiacevole sensazione da Wile E. Coyote: ci bloccheremo, un attimo in equilibrio sul niente e poi precipiteremo perpendicolarmente giù nel burrone. Quando esce il carrello, sembra di attraversare un campo di patate su un trespolo tirato da un mulo: si salta e si sballotta da tutte le parti. Passa meno di un minuto, tirano il carrello dentro e via, verso Milano. Così, senza un perché: forse volevano pulire dalla neve le ruote, forse volevano vedere se ancora funzionava il meccanismo di apertura, forse c'era un migrante abusivo attaccato. Chi può dirlo...

A Malpensa, siamo atterrati con quasi due ore di ritardo. Strano, ma non è che ti diano come per il treno un voucher con lo sconto per il prossimo volo. Neanche si scusano: ti fanno pensare che probabilmente ti è già andata bene che a Milano alla fine ci siamo arrivati. La prossima volta, potrebbero non avere abbastanza soldi per pagarsi il carburante; o magari gli pignorano l'aereo. Bah.

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