13.4.07

La rivolta dei boxer della città nella città

ADESSO E' IL momento del mondo. Tutti hanno opinioni e fatti da riportare e raccontare su Chinatown (godibili le mappe e infografiche sui giornali di oggi che fanno immaginare le descrizioni dei quartieri di Bagdad o le forze in campo nello scacchiere mediorientale). Ragazzi, buon divertimento. Stamattina ci sono una ventina di vigili (soprattutto uomini, soprattutto motociclisti) in quattro posti di blocco diversi, non passa un furgone per la consegna delle merci, la Moratti non fa sconti per nessuno.

Da notare che stamani ho anche comprato una marca da bollo da un tabaccaio proprio nel cuore della Chinatown milanese - dopotutto, ci abito da sette anni - e volevo pagare col bancomat. Il milanesissimo signore mi ha spiegato che col bancomat "le devo fare l'1% del prezzo in più". Perché? Perché sulle marche da bollo lui ha un ricarico al massimo dell'1% e la banca vuole di commissione l'1% per l'uso del bancomat. "Quindi, lei capisce, io mi devo tutelare, sennò non ci guadagno niente". Cool. Come alternativa, mi ha indicato la porta e suggerito di andare io a fare un bancomat per avere i contanti. Ovviamente ho pagato con una banconota e non con il bancomat.

L'edicolante, il bar e un paio di altri luoghi topici della mia vita nel quartiere hanno capannelli di italiani e cinesi, con una ridda di racconti, ipotesi, commenti e spiegazioni da dare. La cosa più simpatica però sono i furgoni satellitari di un paio di televisioni e le quattro camera-crews che girano "facendo immagini" del quartiere. Dall'altro lato del marciapiede c'era una cameraman che riprendeva a tratti il lato della strada dove passavo (Paolo Sapri), interrompendo continuamente con sbuffi e alzate di obiettivo la registrazione. Saranno le auto che passano che le rompono le scatole, ho pensato. Poi, mi sono fermato a guardare: c'era un negozio-ingrosso con tre ragazzi cinesi: due seduti sui gradini e uno che fumava in piedi. Proprio prima della fermata dell'autobus dove cinque o sei italiani e persone di altre etnie - il solito mondo di vecchiette e badanti che girano in autobus - aspettava il 43. Le interruzioni della cameraman erano sincronizzate con l'entrata in campo degli italiani di passaggio (tra cui io) o comunque di gente che non fosse cinese. Mi sa che voleva un'immagine pulita del capannello di sediziosi - e un po' sfaccendati - cinesi. Quello della telecamera è un occhio: a seconda di dove guardi si vede una realtà diversa. Nelle grandi come nelle piccole cose. E siccome il diavolo sta nei particolari, mi sa che proprio quelli cercava di mettere insieme. Magari le hanno detto: "E torna con delle cacchio di immagini in cui si vedano questi cacchio di cinesi da tutte le parti, come le formiche gialle. E le bandiere rosse. E il disagio sociale". Ecco, due su tre e pure prima del cappuccino.

Le forze dell'ordine vigilano con l'autorevolezza degli occhiali a specchio e degli stivali neri. Non so chi ringraziare se non la mancanza di una qualsiasi politica di integrazione. Però c'è il sole. A Milano gira la battuta: se l'effetto del riscaldamento globale è di avere delle belle giornate di sole a Milano, io ci sto. Non si avvertono quella tensione palpabile o quelle masse di popolo in rivolta che si accompagnano alle sollevazioni raccontate dai giornali. Ma forse sono solo io che viaggiando a Pechino e abitando a Chinatown mi sono fatto idee diverse dal resto della comunità "bianca". C'è chi scherzando la definisce "la rivolta dei boxer". Sono concentrato su altri progetti, non ho materialmente la possibilità di gettarmi in strada neanche oggi per seguire e raccontare come vorrei e come il mio lavoro mi ha insegnato a fare quel che succede. Ripiego su questo diario minimo: perdonatemi se vi annoia.

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