28.4.07

Panico!



POI, MAGARI, POTEVA finire anche senza bisogno di fare il botto. Non il libro, voglio dire, ma l'esperienza di lettura. In pratica, oggi ho girato l'ultima pagina di Memorie di un artista della delusione di Jonathan Lethem, che avevo segnalato più sotto. L'idea, scoprendolo pagina per pagina (visto che non conoscevo niente della sua "opera" e anche il libro l'ho preso fondamentalmente per quel cono gelato in copertina che secondo Mattia è una sottile metafora della delusione dell'artista-bambino quando gli casca il cono appena comprato) era diventata quella di finire prima della partenza di domattina per Orlando, metterlo via, macinarne altri due e poi fare una bella comparazione. Cioè, metterlo in pista con il buon DF Wallace e con l'italiano di cui adesso non mi ricordo il nome (tanto per dire quanto mi hanno colpito le sue prime cinque pagine) visto che gli elementi di somiglianza ci sono e scavando un po' si possono ipotizzare varie cose.

Ma poi, insomma, uno è sempre di corsa, non ha mai tempo. E alle volte, però, gli stress improvvisi ti fanno capire la fragilità dell'esistenza e l'urgenza di non aspettare domani. In buona sostanza, alle quattro di oggi, al tavolino all'aperto di "uno dei miei bar", dove quando ho bisogno di rilassarmi vado a perder tempo leggendo (anche dentro Milano, parrà incredibile, ma ci sono piccole oasi di sapore blandamente mediterraneo), ho girato l'ultima pagina, ho pagato il panino e il caffé e sono risalito sul motorino. Per rendermi conto con orrore che non avevo più il portafoglio nella tasca della giacca. Panico. Di quello duro, brutto, con il sapore di marmo che ti riga le gengive e poi ti spacca i denti. Dentro il portafoglio c'è la mia vita, che tra l'altro mi è ripassata davanti abbastanza accelerata (fogli, carte di credito, tessere varie, soldi, di tutto di più), con due pensieri fuori contesto. Il primo: oddìo, domani non vado in America, ora gli telefono e glielo dico, si vede che era destino. Il secondo: allora è così che si reagisce? Questo secondo, un discreto senso di straniamento dalla cronaca degli eventi, è uno di quei pallini fissi che da anni osservo. Cioè, osservo mentre osservo anziché partecipare: un giochino così, insomma.

E' iniziato con le volte che guardi un telefilm poliziesco e i buoni vanno a dire a un possibile sospetto del delitto che la persona in questione è morta. Guardi la reazione: stupore e mille altre varianti, a seconda dell'attore. E a seconda che sia colpevole o no. Cioè, che reciti perché l'ha ucciso lui oppure che "veramente" non lo sapesse che il tipo era morto ammazzato. Considerando che però è un telefilm, in cui i personaggi sono impersonati da attori che ovviamente recitano, è sempre una buffa sensazione di straniamento, quasi di alienazione.

Col portafoglio, inutile dirlo, ho fatto il botto. Panico ed emozioni varie, oltre alla considerazione oh no, not another time! (già un'altra volta mi avevano vuotato dalla tasca del giaccone il contenuto del portafoglio, graziando però il medesimo e i contenuti di altro genere). Del libro, per dire, non me ne fregava proprio niente. Eppure, tutto sommato, il botto forse era in onore alla conclusione della lettura. Boh, comunque sono tornato a casa perché in effetti non c'era versi che lo potessi aver perso fuori o che me lo avessero soffiato dato che non avevo avvicinato nessuno. E alla fine è risultato che l'avevo lasciato sul letto, a casa. Probabilmente, c'era cascato quando sono uscito, mentre mettevo altra roba nella tasca interna.

In buona sostanza, ecco perché - dopo che la mia vita per tramite di un portafogli fortunosamente ritrovato mi è passata davanti (a un certo punto in motorino mentre tornavo a casa ho anche pensato: che tempi di merda viviamo, ah quanto mi manca la vita solidale e bucolica vita di paese dove qualcuno in questi casi ti insegue dicendo: "Hai dimenticato il portafoglio sotto il tavolo!") - ho deciso che era il caso di scrivere qualcosa sul libro. Che cosa? Beh, che l'ho finito, che mi è piaciuto parecchio, che lo stile è originale ma il tema è simile a quelli alla DF Wallace, che adesso so un po' più cose della metropolitana di New York, di musica e registi, del rapporto della coppia creativa Stan Lee-Jack Kirby, di Philip K. Dick (che in realtà non amo particolarmente, ma ieri ne ho ricomprato uno suo che in realtà non avevo mai letto, sull'onda di questo libro) e di James Brown. E che il rapporto dell'artista con il padre anche lui artista, e comunque con tutta la famiglia "speciale", mi ha sistematicamente fatto pensare all'infanzia di Luca Sofri (pensa alle volte la vita cosa ti fa vedere dopo lo smarrimento di un portafogli, che peraltro ho comprato proprio su suo suggerimento) che poi in realtà che ne so di come è stata. E che me ne frega, se è per questo. Insomma, punto e a capo.

Il resto seguirà più avanti, quando mi sarò fatto abbastanza le ossa per approfondire il quesito a dire il vero più importante: cos'è questo stile a metà fra il giornalistico e il letterario che questi ragazzi (anche Lethem incrocia David Eggers, a un certo punto, e quindi tutto il resto della banda) tirano tutti fuori? E, cosa ne sta arrivando dalle nostre parti? Cosa stiamo facendo noi?

more to come

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