QUALCHE PICCOLA CONSIDERAZIONE come sempre a margine del resto del mondo. Il dibattito sulla tivù come buona o cattiva maestra. C'è chi dice che in Italia il telefilm è il contenuto "letterario" di riferimento dei giovani autori di libri (avete presente chi ha vinto l'ultimo Strega?) con tutti gli effetti negativi, sia linguistici che anche culturali, che questo "abbattimento della qualità degli esempi" comporta. A me piace citare questa frase di Anna Mioni (trovata in questa straordinaria miniera di interviste spaziali ed etiliche), che è la traduttrice di Avverbi (lo citavo qui).
Pare che molti scrittori italiani contemporanei (per loro stessa ammissione) siano quasi più influenzati dalla lingua degli autori americani (e cioè dalle traduzioni, perché non tutti li leggono in lingua originale) che non da quella dei predecessori italiani. Questo avvicina, quindi, la lingua letteraria a quella della traduzione.
Primo sassolino: non è che più che la televisione il problema è il catalogo di Rizzoli, Mondadori e compagnia? Fatevi un giro in libreria a vedere quanti titoli italiani - a parte Faletti e Camilleri - trovate. O meglio, fate un giro sullo scaffale/gli scaffali di casa vostra (dopo aver escluso i libri che vi hanno fatto comprare alle medie e le istruzioni del micro-onde).
Secondo sassolino: il pubblico che non guarda più la televisione. Anzi, i "pubblici", al plurale. Non si tratta della distruzione, anzi della fine totale palinsesto. Robe da apocalittici disintegrati. No, per me è una cosa diversa: parliamo di interruzione del flusso. In effetti, il palinsesto della tivù nostrana (e non solo) è oramai diventato - grazie al telecomando, ai registratori digitali etc. - una cosa che sta a metà strada tra chi trasmette e chi guarda. In più, prendete il mio caso singolare (anche se il singolo non fa mai testo, io poi meno che mai) e pensate al fatto che non guardo la televisione eppure scrivo tantissimo di televisione. La guardo o la leggo? Certo, la leggo sui giornali e sui siti web (se ne parla a vanvera e tantissimo), ma soprattutto la scarico. Tutto legale, tutta roba americana, però il punto è che il palinsesto, se vogliamo personalizzare il termine televisivo dalla parte del consumo personale e non dell'emissione - paragonandolo così ad una parte video della dieta mediale –, me lo faccio da solo e lo compulso senza bisogno di accendere il televisore. Dopotutto, televisione e televisore sono due cose diverse no?
Terzo e ultimo sassolino: torniamo sempre ad Anna Mioni (che ormai non mi sembra più solo una gran traduttrice), in un'altra ma diversa tranche dell'intervista di cui sopra, dice:
Quale, aldilà delle singole occasioni linguistiche, la difficoltà di fondo nel tradurre Handler?
È stato difficile rendere fedelmente certi suoi stilemi, come quello di forzare la lingua verso il registro tipico del parlato (con la sua sciattezza voluta); o l'ironia basata sui doppi sensi e sugli slittamenti semantici (un umorismo più anglosassone che mediterraneo); il senso del grottesco suggerito da certi intercalari, che abbassano il tono dal sublime letterario al "terra terra" quotidiano, come se l'autore prendesse poco sul serio i suoi personaggi, e di riflesso anche se stesso.
Insomma, caratteristiche che cozzano in parte con l'idea di letteratura "alta", in cui si riconosce però un trait d'union stilistico dei 30-40enni americani post-moderni. È difficile riprodurle in italiano senza il rischio di far sembrare la lingua poco curata. Ho cercato di far capire al lettore il lavorio mentale che sottende scelte solo in apparenza semplici.
Ecco, prendete l'ultima parte: È difficile... eccetera. Non vi ricorda qualcosa? Non vi fa risuonare tanta di quella frittura blog (alla quale peraltro partecipo anche io) fatta di "Signora mia" e "Magari anche no" e via dicendo? E non vi sembra che sia modello anche di giornalismo "giovine e sveglio", che non si prende mai sul serio e che ha sempre la battutina giusta (oltre alla concinnitas eletta a sistema) di tanti eroi cartacei delle pagine di riviste e quotidiani innamorati del cazzeggio? Siamo tutti diventati una razza di cazzeggiatori? Di narcisi dalla tastiera facile? Di brillantoni che vanno sempre di fretta? Di esteti dell'epigrafe post-moderna?
Al riguardo, ho anche trovato questo signore che sostiene la necessità (anche argomentata con un certo dispiego di scienza statistica) di non scrivere post di blog ma articoli. Nell'ecologia della mente il post influisce negativamente sulla capacità di analisi, nell'economia della rete non paga come strategia soprattutto se uno è molto competente e nell'ecologia dell'informazione oltretutto i post inquinano cospargendo il web di frammenti dadaisti che fanno schermo verso i siti con "qualcosa da dire" di argomentato.
Ecco, adesso mi rimetto le mie scarpe e dell'avidità del mondo della rete se ne parla in una prossima puntata.
11.7.07
"Flip-flop little stone" (cioè "sassolini delle infradito"; ehm... se m'è venuto così, che ci posso fare)
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1 commento:
Bei sassolini.. :)
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