C'È QUESTO SERVIZIO che si chiama Twitter. In pratica, ma lo sapete già probabilmente, consente di sparare brevi messaggi nell'etere digitale. I messaggi possono essere aggregati da amici e followers vari, creando una sfera più rapida e sferzante che spiega cosa ci passa per la testa mentre passiamo per il mondo. È uno strumento che porta con sé lo stigma della mobilità e della comunicazione in modo estremo.
Massimo, che frequenta questo strumento, sta di quando in quando dando visibilità sul suo blog ad alcuni passaggi delle haiku-conversazioni che lo percorrono. Io invece lo evito come la peste: come forma espressiva non mi appassiona e piuttosto mi dà ansia. Anche perché non lo capisco: non importa quanto ore sguazzi dentro la rete al giorno, poi finisce sempre che a un certo punto sei troppo vecchio per qualche, nuova cosa. E non la capisci. Io questa non la capisco. Soprattutto, non la voglio capire. My bad.
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1 commento:
A volte mi sento un neotroglodita.
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