LA STORIA DI Barbie e della Mattel che l'ha creata è affascinante ed è affascinante il modo con il quale, nel tempo, è stata usata a simbolo di elementi positivo o estremamente negativi della nostra società. Un po' come la Coca-Cola e le estreme sinistre anti-multinazionali o gli economisti in cerca di esempi per spiegare il valore di una "formula segreta" e infine l'effetto Madaleine proustiana (sì, oggi è possibile anche con la Coca-Cola, soprattutto se andate a leggervi qualche scambio wall-to-wall su Facebook).
Tornando a Barbie, dovrebbe essere interessante da leggere questo Toy Monster, scritto dal muckraketeer britannico Jerry Oppenheimer, che ha dalla sua una serie di inquietanti biografie non autorizzate di personaggi da rotocalco di quelli che si trovano dal parrucchiere. Se un giorno capita, me lo leggo, magari su Kindle (9,90 anziché 24,95, ma poi non ce l'hai nel tuo scaffale a portata d'occhio e di mano...).
La storia è probabilmente degna di appartenere alle narrazioni delle grandi teorie della cospirazione: una multinazionale grande, grossa, brutta e cattiva che con il suo prodotti iconico sta schiavizzando da decenni la mente e il cuore delle adolescenti di 140 Paesi...
Money Quote: But this is only part of the story. Along the way, you'll also become familiar with the larger-than-life personalities that have shaped Mattel's eccentric world. There's cofounder Ruth Handler, a "one-woman sales-merchandising-promotion-administrative force, a sort of industrial Orson Welles," who becomes a white-collar criminal. There's Jack Ryan, the "Father of Barbie," whose second of five wives calls him "a full-blown seventies-style swinger into wife-swapping and sundry sexual pursuits as a way of life." And don't forget CEO Robert Eckert, who came from the worlds of processed cheese and hot dogs to lead Mattel-only to get grilled by the U.S. Congress, and the world press, in the lead-paint-and-dangerous-magnets cause célèbre.
8.3.09
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