6.8.09

Swingtown (una sola stagione di 13 episodi)

A MARGINE DI Mad Man, la super-citata e super-premiata serie televisiva dedicata ai pubblicitari del 1960 - opera di certosina ricostruzione dell'ambiente, della psicologia e delle abitudini dell'epoca per catturarne lo spirito del tempo - ce n'è un'altra che vale la pena citare ma non premiare.

Non è andata bene, tanto che i tredici episodi della prima stagione la chiudono definitivamente, e questo a chi colleziona non può che far piacere perché così non si deve impazzire a seguirne un'altra, ma fa testo il materiale già accumulato. Si chiama Swingtown, è ambientata nell'estate del 1976 e da noi è stata passata un anno fa su Rai4 e adesso a tarda notte mi pare il lunedì su Raidue (ma per poco, perché siamo verso la fine).

L'idea è semplice: una famigliola dell'epoca un po' ambiziosa e al tempo stesso un po' perbenista, cioè Bruce e Susan Miller, cambia casa, lasciando i vicini e amici di sempre, Roger e Janet Thompson, e incontrandone di nuovi, Tom e Trina Decker. Mentre i Miller hanno due figli (di cui una adolescente) e i Thompson uno, i Decker vivono una "vita intensa" e non hanno prole.

In compenso, fanno gli scambisti: organizzano cioè feste e festicciole, compresi i party del jet set (i famosi key party dove gli uomini lasciano le chiavi della macchina all'entrata e all'uscita pescano le mogli, che si accompagneranno al maschietto di turno, la mattina dopo tutti amici come prima) che andavano di moda proprio in quegli anni di liberazione sessuale e di grande riflusso.

Attenzione, perché nonostante il tema scottante, la serie è prodotta per la Cbs, non per la tivù via cavo. Quindi, di sesso se ne parla in continuazione, ma non si vede neanche la caviglia (episodi della Casa nella prateria sono stati più espliciti visivamente). E questo è uno degli svantaggi che ha portato la serie ad arrendersi ad ascolti minimali. Dopotutto, abbiamo ampiamente goduto delle vedute di Californication et similia, in passato. In questi ambiti il pubblico non accetta mai di tornare indietro.

Un altro è stata la stanchezza dopo il quarto episodio, che però - a chiusura decretata - è scomparsa lasciando il posto a tre o quattro episodi finali all'altezza dei primi.

I punti forte della serie dicevo che sono due: il primo è senza dubbio la ricostruzione degli anni Settanta. Siamo nel campo della favola, e oltretutto recente, però viene bene, con gli oggetti e alcune delle abitudini dell'epoca. Comprese le auto, il design di un po' di oggetti, le camice e le pettinature, i cocktail chiassosi e la piscina psichedelica con tanto di bar. Purtroppo l'approfondimento psicologico dei personaggi, quando vanno al di fuori del proprio ruolo (e soprattutto nella relazione adulti-figli) manca praticamente del tutto. Peccato, sono bei personaggi ma tragicamente bidimensionali, con una eccezione.

L'altro punto forte? Ovviamente Molly Parker. Di cui torno a parlare tra poco. Comunque, in questa serie è semplicemente clamorosa. Molto più di Lana Parrilla, a cui tocca in dote però un personaggio che riesce, nel tempo, a far decollare e rendere sorprendentemente tridimensionale. Insomma, da un lato un talento quasi ferino, a cui la Parker ci ha abituato, e dall'altro una inquietudine che si trasforma in una delicata costruzione psicologica. Se ci sono due motivi per cui guardare questa serie, alla fine, sono proprio questi,

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