MI HA GUARDATO negli occhi e mi ha chiesto, con aria indifferente: "Lei ce l'ha un lettore di smart card?" Era la domanda trabocchetto che temevo fin dal principio. Come dovevo rispondere? Ho tirato il fiato, cercando di guadagnare tempo, e mentalmente mi sono messo a ricapitolare perché ero là.
La mattina del 25 novembre. Una data stampata per sempre. Stampata sulla mia nuova carta d'identità digitale. La data del giorno che ce l'ho fatta. Sono andato a Palazzo Vecchio, sede dell'ufficio centrale dell'anagrafe di Firenze, l'unico che "eroghi" le carte d'identità digitali alla cittadinanza e, dopo mezz'ora di coda in attesa dell'apertura, ho chiesto alla signora della reception di poter fare la carta. Questa volta avevo tempo, questa volta non rischiavo di essere rinviato alle 11 per poi dover annullare tutto, perché avevo il treno per tornare a Milano. E invece anche questa volta mi hanno stupito.
"Da un paio di settimane prendiamo solo appuntamenti telefonici, e non c'è più spazio fino a metà dicembre", mi dice lei, guardandomi come se stessi per mettermi a urlare. Richiudo la bocca appena in tempo. Un dramma. Il crollo. Faccio per andarmene con le pive nel sacco, poi ci ripenso, torno indietro, insisto. La signora è una donna di mondo, capisce: "Guardi, aspetti qui. Per fare una carta ci vuole quasi un'ora, ma se qualcuno arriva in ritardo, faccio passare lei". Così è successo già al secondo appuntamento delle nove e mezza. Passo io. La logica è quella perfettamente italiana nella migliore tradizione della nostra burocrazia.
Un'altra signora, che da vent'anni fa l'anagrafe del Comune, mi viene a prendere e mi conduce in un dedalo di stanze e passaggi in cui qualche secolo prima è certo che abbiano abitato gli stallieri o al massimo il corpo di guardia di Cosimo il Vecchio. O forse di Lorenzo. Chi può dirlo? Bisognerebbe sapere quell'ala di Palazzo Vecchio quando è stata costruita. La pressione per il momento magico finalmente a portata di mano mi fa immediatamente divagare. È sicuro che in quei corridoi ci passavano i partigiani, perché no, e gli ufficiali tedeschi durante l'occupazione, e poi il sindaco santo La Pira e poi, trent'anni dopo, il suo pupillo Primicerio. Arriviamo alla stanza con la super-macchina delle carte d'identità digitali. Delusione, sembra un banale rolodex chiuso. La signora ha tutta la mia documentazione, certosinamente raccolta, e inizia a smanettare al computer per fare la carta d'identità. La prima domanda però mi gela: non lo so se rispondendo che non ce l'ho il lettore di smart card (che non credo sia neanche compatibile con il Mac) lei blocchi tutto e mi dica che "eh no, se non ce l'ha allora non se ne fa di niente. Ripassi quando l'ha comprato".
"No - mi arrischio - non ce l'ho". Lei mi guarda: "Bravo, perché non serve a niente. Tanto, per andare online basta che mette il numero e il pin che sta su questo foglio. Se lo perde, guardi, deve girare il foglio e dietro c'è il puk per recuperare il pin, come i telefonini". Mentre la guardo chiedendomi come possa uno girare il foglio che ha appena perso, andiamo avanti con la procedura.
Firma da digitalizzare, foto al volo con la macchinetta che pare una web cam (ed ha una risoluzione simile), impronte digitali, varie altre pratiche, e poi si stampa la mia sospirata carta d'identità elettronica. È bellissima. Guardo la signora che sta per porgermela. Non resisto: "Vede, questa la posso finalmente mettere nel mio mini portafoglio-portasoldi da tasca davanti, con le altre carte". Lei mi scruta: "Deve tenerla sempre in questa custodia in cartoncino schermato, sennò si smagnetizza subito: è delicatissima! Temo che non ci potrà entrare in quelle taschine". Il suo sorriso diventa esplicitamente provocatorio. Mi gela per un attimo, poi, estraendo il portafogliono-portasoldi, ribatto: "Guardi, nella tascona centrale ci sta lo stesso!". Il mio sorriso mi raggrinza anche la pelle della collottola.
Lei per un attimo pare sconfitta, chiude la bocca, la riapre e sferra la mazzata finale: "lo sa, non bisognerebbe mica tenere soldi, documenti e carte tutti insieme, che poi se li rubano non le resta proprio più niente". Mentre mi tocco mentalmente le palle, le regalo il mio migliore sguardo triste come dire "hai vinto tu", e con la mente inizio a divagare. In un attimo sono lontano: mi vedo davanti a un muro giocare a tennis con una cassetta piena di pulcini per palline. Proprio mentre sento il sapore del panino al lampredotto che immagino di mangiarmi dopo l'allenamento, lei annuncia trionfale che abbiamo finito. La ringrazio, prendo la carta, saluto, ringrazio ancora e mi allontano. In meno di 45 minuti un altro cittadino italiano è dotato dello strumento futuristico di identificazione personale. Ce l'ho fatta, magnifico e progressivo, ho coniato il mio sogno di avere la carta d'identità digitale. Adesso, possiamo andare avanti e capire esattamente a cosa serva.
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8 commenti:
poi ce lo spieghi anche a noi
l.
Mi stavo informando pure io per la famosa CIE, ma poi ho letto questo articolo su Tom's Hardware e non son più tanto sicuro... Allucinante!
Io ce l'ho da qualche anno e finora mi è servita solamente a farmi guardare in modo strano quando la presento come documento. Però è innegabilmente più resistente di quella cartacea, al di là del terrorismo psicologico effettuato dai tizi dell'anagrafe (anche a me gli stessi avvertimenti; probabilmente li hanno imparati al corso di formazione).
Bravo Antò.... !! ottimo resoconto !! mi sono spisciato..... :-)
Giovanni
antonio ti ho visto ad anno zero.
hai la montatura trasparentemente bianca?
ciaps
l.
Direi proprio di no...
Grazie per averci raccontato in anteprima l'argomento di questo post :)
Ciao
Giancarlo
cavoli era il tuo identical twin, allora.
ciao
l.
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