ALAIN DE BOTTON è un simpatico filosofo e saggista inglese con il vezzo di scrivere libri generalmente troppo lunghi ma molto arguti, e di farlo tendenzialmente per motivi non meglio precisati. Con Una settimana all'aeroporto la formula cambia: il libro è sempre arguto ma più breve e il motivo diviene esplicito: l'invito da parte della società che amministra vari aeroporti fra cui quello di Heathrow (e di Napoli) a diventare per una settimana "scrittore residente" nel nuovo Terminal 5. L'odore spiacevole di brochure è in agguato ma il testo riesce, con la considerevole dialettica di de Button, a farlo svaporare.
Invece, sono gustose le meditazioni sul senso di quello che succede alla nostra società e il quadro che de Button dipinge vagando per sette giorni durante l'estate del 2009 negli ambienti del nuovo "tempio del volo" britannico. L'espediente di rendere esplicito il lavoro a cottimo permette alla fine di rendere nuovamente comprensibile il patto con il lettore, e in qualche modo più aderente con i tempi. Le meditazioni di de Button toccano campi molto diversi: dal mistero della morte (e il suo pensiero ossessivo nella nostra società) al senso del viaggio, dall'ottimismo che Seneca considerava implicito negli scoppi d'ira, alla scoperta non sempre piacevole che nella nostra vacanza perfetta c'è un ospite indesiderato e inatteso: noi stessi, che con la nostra (misera) personalità filtreremo le esperienze altrimenti fantasmagoriche dei posti in cui stiamo per recarci con la nostra famiglia.
Se non vi piace il volo, gli aeroporti non vi sembrano più interessanti di un ciottolo di fiume e non vi è mai capitato di gioire davanti alla prospettiva di un'attesa tra due voli di sei ore all'interno di un grande scalo, allora non prendetelo. Altrimenti, 130 paginette veloci veloci con delle foto molto sacrificate nel formato (ma di ottima qualità) permettono a Guanda di pubblicare al prezzo popolare di 13 euro un libriccino succinto e gustoso, che si legge nel tempo di due Milano-Roma: uno la mattina all'andata e l'altro nel tardo pomeriggio al ritorno, come si conviene al vero gentiluomo dei nostri tempi.
Post scriptum: il libro vale la pena se non altro perché l'autore è riuscito a portarlo a termine senza scrivere neanche una volta "non-luogo". Che è un po' come scrivere un libro sulla "coda lunga" senza mai metterci dentro Amazon.
Post-post scriptum: David Foster Wallace e Alain de Botton sono un ardito accostamento, come i funghi e le cozze. Leggeteli entrambi, se volete, ma con parti diverse del vostro cervello.
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1 commento:
Ciao Antonio,
visto che il volo, gli aerei e le attese in aeroporto mi piacciono (problemi di vulcani a parte) penso che acquisterò il libro. Grazie della segnalazione.
Almeno il titolo dice ciò che verrà raccontato...Da sempre odio e diffido dei titoli ermetici che "vogliono stupire" o far scoprire qualcosa....Tanto per esemplificare, ma uno tra tanti; "L'eleganza del riccio". Con il massimo rispetto per il buon e simpatico riccio .
Un caro saluto,
Massimo
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