L'HO INTUITO E CERCATO per un po'. Alla fine l'ho trovato. Paco Ignacio Taibo II, scrittore messicano figlio di giornalista, impegnato e "potente", scrive un pastiche, un divertimento. Coltiva un sogno fin da ragazzo: rivivere l'emozione che Emilio Salgari, di cui ricorre il centenario della morte quest'anno, solo sapeva dargli. E per giocare con la sua fantasia, lavora e fatica documentandosi, e scrive questo divertimento quasi corretto.
Ritornano le Tigri della Malesia (più antimperialiste che mai) - che poi sarebbe stato un più conseguente El retorno de los tigres de la Malasia - è un libro complesso, ma tutto sommato schietto. I piani di lettura sono pochi, e male incastrati. Non è la lotta per la rivoluzione, anche se i temi sono abbozzati, ma è la rivisitazione di un cànone, al quale Taibo cerca di aggiungere le sue personali variazioni, ispirate dalla sua penna.
La storia è tesa ma sostanzialmente più d'atmosfera che di sostanza. Però l'intreccio procede gagliardo, a metà tra un fumetto lungo della Bonelli e un romanzo d'appendice. La soddisfazione di giocare insieme a Taibo con i beniamini di un tempo che fu è notevole, contagiosa. Si potrebbe proseguire per anni. Ma il romanzo pubblicato in Italia da Tropea ha la fortuna di voler essere autoconclusivo. Il divertimento si interrompe con la consapevolezza che Taibo ha solo aggiunto una boccata d'aria situazionista al defunto ciclo indo-malese di Salgari. Manca la cattiveria e il senso del meraviglioso, e anche un certo gusto per le spericolate invenzioni lessicali e toponime del Salgari. Ma il resto c'è tutto. Vale la pena leggerlo, di sicuro: peccato non sia memorabile.
Tra l'altro, sono sempre più circondato da questo nostalgici della narrazione salgariana. Anche Stephen Gunn/Stefano Di Marino ne fa costantemente cenno. L'influsso del maestro veronese è ancora così forte? Io l'annuso, a tratti, ma non so spiegarlo. Cos'altro potrei leggere, del giorno d'oggi?
24.3.11
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