LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE di tre settimane fa sono state la vittoria delle grandi macchine organizzative, sponsorizzate e affiliate a movimenti politici consolidati da tempo e costruite - soprattutto - con logiche centralizzate. La tattica è stata sul territorio, certo, ma la strategia e la cabina di regia erano verticali. Tanto quanto il tipo di voto, con premi e sistemi elettorali che riecheggiano il premio alle organizzazioni più compatte e verticali. Senza contare che si è votato solo in parte dell'Italia.
Alle amministrative, insomma, non c'è stato l'effetto-rete di Barack Obama: non si è visto spuntare l'anonimo che ha costruito il suo percorso sui canali digitali alternativi fino a diventare presidente degli Stati Uniti. Le elezioni amministrative 2011 sono state tutto fuorché un evento al di fuori dai partiti: Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris non sono anonimi qualunque privi di storia e sul territorio hanno sempre vinto i candidati del Pd o i loro alleati (Italia dei Valori in testa, che intercetta l'elettorato più radicale e qualunquista - almeno finché dura). Insomma, il Pd non deve fare nessuno sforzo concettuale per rivendicare la vittoria a Milano e Napoli (e negli altri posti dove ha vinto) perché ha palesemente voluto, costruito e ottenuto quella vittoria.
Il discorso cambia notevolmente con questi referendum. Se si vuole segnare la prima data della vittoria di un movimento non verticista, costruito con struttura a rete, in cui oltre alla partecipazione ha avuto significato la condivisione e la capacità dei singoli di essere attori e non solo soggetti della comunicazione, ebbene questa è la quaterna di referendum stravinti. Prova al contrario ne è il fatto che adesso c'è l'affanno da parte di tutto il centro-sinistra a "mettere il cappello" sui referendum, a partire da Massimo D'Alema che interviene con toni pacati, da rappresentante moderato dei vincitori, per chiedere le dimissioni del Presidente del consiglio. Richiesta quantomeno singolare vista la storia del Pd con questi referendum e addirittura con le norme di alcuni dei quesiti (quelli sull'acqua).
Quindi, ha vinto Internet. La rete ha fatto la differenza. Intendiamoci, non è la prima volta che ci prova. Tra poco meno di un mese compie dieci anni il G8 di Genova: a prescindere dalla spaventosa repressione di destra (e ricordiamo sempre Gianfranco Fini vicepremier nella centrale di comando delle operazioni militari coordinate contro una manifestazione pacifica e prevalentemente di ambito associazionista e cattolico) era successo altro, prima.
Ecco cos'è successo prima. Arrivare a Genova è stato il percorso che ha portato internet all'interno della società italiana intesa come parte sociale e partecipativa. I movimenti no-global, dalla rete Lilliput in là, hanno scardinato metodologicamente prima ancora che politicamente le associazioni tradizionali: rete orizzontale gestita dal basso contro grande associazione verticalista con vertici e funzionari. La condivisione, la partecipazione, l'azione, la capacità di dare un senso organizzandosi (e anche un metodo) sono un'esperienza che non è stata causata dalla rete, ma che invece è stata resa possibile dalla rete.
Internet ha permesso la creazione, il coordinamento e la condivisione del pensiero (non necessariamente in quest'ordine), mentre le persone per partecipare scoprivano l'email, le pagine web, i forum, le chat. Non c'era il web 2.0, non c'erano i social network, non si faceva "like" sulla foto dell'amico, però si è costruito molto di più.
La parte sociale della rete in Italia è arrivata così, in modo artigiano e funzionale. Chiedetelo a Indy Media, a rete Lilliput e alle decine di altre associazioni di soggetti eterogenei che hanno dialogato, partecipato e creato contenuti e messaggi, scambiandoli per mesi, coordinando Genova, costruendo una esperienza che poi è stata spazzata via dalla doppietta della repressione del G8 e poi dalla lotta internazionale al terrorismo, seguita in modo alquanto opportuno all'11 settembre.
Arriviamo a oggi. Nell'era (tramontante) di Facebook, di Twitter, dei social network, i referendum del 2011 hanno toccato idee percepite come primarie (la salute pubblica cioè il nucleare, l'acqua pubblica, sull'equità della cosa pubblica tramite il legittimo impedimento) e tramite la rete hanno costruito il consenso, il movimento e la spinta per portare quasi due italiani su tre a votare. Questo grazie anche alla totale opposizione dei mezzi di comunicazione tradizionale - la televisione in primis –, dimostrando così a consuntivo che nel nostro paese adesso la centralità del mezzo televisivo (e dei suoi paladini) è messa seriamente in discussione: la tivù ha assunto una importanza relativa. Cattiva notizia soprattutto per chi, come Silvio Berlusconi, ha costruito la sua intera esperienza politica e di governo sulla capacità di dominare i mezzi di comunicazione e generare un flusso costante di consenso.
Internet, cioè l'infrastruttura che permette la circolazione dei bit in modo incontrollabile da qualunque centro e con bassissime barriere all'entrata, in Italia ha segnato la sua prima vittoria. Non ha vinto lei i referendum (quello l'hanno vinto le persone di buona volontà che sono andate a votare), ma ha dimostrato di essere il mezzo necessario per segnare un cambiamento prima sociale e poi politico. L'implicito di questa vittoria (e non quella dei Pisapia o dei De Magistris) è che il cambiamento sociale passa attraverso canali non più centralizzati e governabili. Significa che la storia viene raccontata e costruita fuori dagli steccati dei mezzi di comunicazione di massa "broadcast". Significa che per chi detiene il potere istituzionale (nel senso che politologi e sociologi danno a questo termine) adesso sono cazzi. Aspettatevi una reazione "bipartisan".
14.6.11
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3 commenti:
Il fatto che il Berlusca chiama Google "Gògòl" fa capire che non ha proprio tanta dimestichezza con tutti i media.
Massimo
Il fatto che Internet permetta alle persone di coordinarsi, di discutere e agire non lo discuto, anzi.
Ben venga un sistema trasversale di comunicazione, di scambio di opinioni, di denuncia.
Ma il tutto resti nella legalità. Perché a Genova non c'erano solo manifestanti pacifici, non dimenticatelo. C'era anche una frangia violenta e provocatrice. Chi ha tentato di spaccare il cranio al carabiniere dentro la camionetta non stava lì per manifestare pacificamente.
Quindi la Rete ha - come tutte le cose - risvolti positivi e negativi. Sta al nostro buonsenso (e non è che abbia molta fiducia) usare questo media in modo costruttivo e non distruttivo.
Sono d'accordo, le frange attorno a un movimento di movimenti che aveva nella non-violenza uno dei valori chiave sono ancora più odiose.
Il senso di quel che vorrei dire, però, è più sul fatto che Internet "spacca" le organizzazioni gerarchiche e verticistiche, introducendo su larga scala quelle orizzontali con struttura a rete. Il che non vuol dire che siano democratiche o necessariamente egualitarie, ma di sicuro che marcano un cambiamento importante nell'organizzazione sociale. E quel cambiamento è iniziato a Genova, come movimenti di partecipazione, poi è entrato in fase carsica e adesso riemerge in maniera più strutturata, leggera, forse consapevole ma soprattutto sempre reticolare.
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