MILANO, INTERNO GIORNO. Due scrittori, un giornalista e un editore dietro al tavolo delle presentazioni. Siamo al terzo piano del negozio Mondadori di piazza Duomo. All'evento partecipano una trentina di persone. Sullo schermo alle spalle dei partecipanti, girano tre o quattro immagini. C'è la quarta di copertina del libro che viene presentato, l'immagine di copertina, un altro paio di alleggerimenti e una strana foto. C'è un giovane uomo, giacca e maglietta, che tiene in mano il suo libro. Lo sfondo è quello di una fiera. Ma dietro di lui, a fargli da ala, due militari in mimetica da combattimento, l'arma lunga bene in vista, la maschera antigas e l'elmetto.
Accanto a me la giovane ragazza che si occupa delle relazioni pubbliche per l'editore si lamenta, ma suona più che altro come perplessa. Perché nessun giornale viene a sentire la presentazione del libro? Lo scrittore è di talento riconosciuto, l'altro addirittura è già un caso letterario. Ma nessuno lo vuol vedere. Mi volto a guardare nella sala: ci sono giovani, anziani, forse anche un paio di "fuori quota" che cercano solo da sedersi durante un pomeriggio passato alla Mondadori (e poi confidano magari in un aperitivo offerto dall'editore), la signorina che gestisce lo spazio. Però è vero: nessun giornalista. E neanche nessun fighetto del mondo artistico-culturale milanese, di quelli che non si lasciano mai sfuggire una presentazione di libro "importante". Sembra più un incontro di appassionato del Signore degli Anelli, per dirla tutta. E, ripeto, di giornalisti, neanche l'ombra.
L'arcano è abbastanza semplice: il piccolo editore di Terni si occupa di un settore che per la cultura italiana è tabù. Si chiama Multiplayer.it e il suo business sono i portali di informazione dedicati ai videogiochi, oppure le riviste di trucchi e soluzioni, e da qualche tempo anche un nuovo filone. Multiplayer.it è stata fondata da Andrea Pucci, a occhio e croce trentacinque anni: un'età che di solito da noi viene buona per fare ancora qualche stage in azienda, magari non retribuito. Accanto a lui c'è un giornalista che è un po' un irregolare dei circuiti tradizionali, condannato al "freelanciato a vita", come si dice: Luca Crovi, che scrive di libri e altro per il Giornale, per Bonelli, per RadioDue.
Il mercato dei videogiochi è questo: un UFO che compare all'improvviso, minaccioso e adatto ad essere stigmatizzato. Dieci giorni fa, alla Games Week di Milano, sono stato invitato a parlare a un incontro gremito da un paio di centinaia di spettatori. Tema: come mai la stampa tradizionale demonizza i videogiochi? Perché noi giornalisti siamo dei cialtroni, mi è venuto da rispondere. Adesso, anziché demonizzare, semplicemente ignoriamo.
Ignoriamo, ad esempio, che in un momento di massima crisi per quanto riguarda l'editoria in generale e il romanzo in particolare, c'è un editore che viene dal web e va verso la carta. E che pubblica un romanzo da ventimila, trentamila copie senza avere uno straccio di recensione sui giornali o sui canali tradizionali di informazione. Il romanzo è un tomo di più di mille pagine, un chilo e mezzo, praticamente intrasportabile. Si chiama Metro 2033 e l'ha scritto un giovane russo prima sul web e poi l'ha pubblicato creando addirittura una sua casa editrice. Hanno tratto anche un bel videogioco. E poi il russo, che si chiama Dmitri Glukhovsky, non si è fermato e ha creato un universo, invitando decine di scrittori a pubblicare titoli che seguano le "regole" della sua creazione. Ha fiducia nella saggezza delle piccole folle.
Sono stati pubblicati dalla sua casa editrice russa ben venti libri di Metro 2033 Universe. In Italia tocca a Tullio Avoledo. Che è uno scrittore di un certo livello, uno che viene pubblicato da Einaudi, per dire. Eppure, basta che "tocchi" il genere della fantascienza, quello che nel nostro Paese viene schifato da molti (e occupato da una conventicola di pochi quasi noti) per scomparire prontamente dal radar.
Avoledo ha scritto "Le radici del cielo"? E che cos'è? Chi lo pubblica? Chi? Multiplayer.it? E tratta di cosa? La fine del mondo, l'apocalisse nucleare, un gruppo di sopravvissuti nelle catacombe romane? Un prete che parte alla ricerca del Papa scomparso in mezzo a una Italia devastata dalle radiazioni, dai mutanti, dagli zombi? State scherzando vero?
Non lo so, non riesco a immaginare altra possibile conversazione per sancire un distacco più netto tra quel che ha senso raccontare dell'editoria e quel che invece ha senso lasciar scomparire. Ma è un modo antico, datato, ormai non più attuale. Ci sono altri canali. Glukhovsky ha costruito il suo piccolo impero editoriale usando la rete per collaborare, come dice lui per affinare il materiale grazie ai suggerimenti dei lettori mano a mano che metteva i capitoli in rete liberamente, e senza una recensione che fosse una oggi ha venduto più di cinque milioni di copie venendo tradotto in 35 lingue. In Italia ha fatto qualche decina di migliaia di copie, tutte grazie alla rete.
Avoledo ha venduto il suo romanzo direttamente alla casa editrice russa, con prima uscita in Italia e intanto traduzione in russo (e poi chissà in quali altre lingue) per dare "polpa" all'universo. Certo, non è letteratura come quella che potremmo immaginare di trovare nel Canone occidentale di Harold Bloom, però. Però succede adesso, succede qui, e succede in un mercato dell'informazione nel quale, a quanto pare, si può sempre più fare a meno dei pigri e cialtroni imbrattapagine, che non sanno più neanche ascoltare la pancia della società e raccontarne i gorgoglii e i borbogli del suo ventre sempre più gonfio.
Intanto io, dopo essermi sbafato i due romanzi di Glukhovsky, mi sto leggendo Avoledo. Che merita. Tanto quanto merita un divertimento leggero e di intrattenimento. Ma si sa, ci vogliono parecchi anni prima che la critica scopra che era Emilio Salgari quel tizio finito male che scriveva romanzetti d'avventura. E la storia adesso si ripete.
28.11.11
27.11.11
24.11.11
A different setup
HO FATTO UN passo minuscolo per l'umanità ma gigantesco per me. Ho comprato il monitor. Dopo una vita passata a dipendere dal portatile (iBook, PowerBook, MacBook, i tre che mi hanno accompagnato in questi dieci anni) anziché prenderne uno nuovo, ho pensato di cambiare la faccia della mia scrivania e prendere un monitor.
Mi era capitato di provare, un po' di tempo fa, il nuovo monitor Cinema Display da 27 pollici con retroilluminazione LED e basato su Thunderbolt. Fichissimo e comodissimo: fa praticamente da hub per attaccarci anche altri apparecchi Thunderbolt, periferiche FireWire, Usb, il cavo Ethernet. Ma non fa al caso mio. Troppo costoso, troppo grande, troppo "estremo". Invece, ho cercato nel mondo dell'usato Apple il "vecchio" Cinema Display 24 pollici LED, il primo di questa generazione. Era uscito a ottobre del 2008 ed è stato prodotto fino a luglio 2010. Molto più equilibrato e, visto che è usato, anche più economico.
La connessione non è con la porta Thunderbolt ma con la MiniDisplay Port. Dal retro del monitor escono due cavi: uno per l'alimentazione e un altro che porta tre cose: connessione video, Usb e alimentazione MagSafe per portatili. A questo punto, mi sono dotato di un accessorio prodotto dalla TwelveSouth, cioè il BookArc Stand (lo vedete qui sotto) che mette il MacBook in verticale e tiene i cavi ordinati facendoli passare sotto e dietro. In pratica, si usa il Mac a "guscio chiuso", in maniera tale che il monitor 24 diventi lo schermo principale e unico. Aumenta la risoluzione a disposizione e si fa prima e meglio a passare da questa modalità d'uso a quella "normale" del portatile.
Il monitor è una vera belluria. L'illuminazione LED si accende in un attimo ed è subito in temperatura, senza che ci siano sbalzi nel colore o altro. L'approccio minimal è davvero pulito ed essenziale: tutti i cavi già ordinati di default e la possibilità di avere la scrivania più sgombra è davvero notevole. Per "dialogare" con la macchina ho una tastiera in alluminio "ridotta" con cavo (in pratica, la stessa tastiera che si potrebbe trovare dentro un portatile) e la Magic Trackpad che, ancor più del MagicMouse, fa il miracolo: rende assolutamente continua l'esperienza di uso del MacBook nelle due modalità.
Era una delle mie preoccupazioni principali: non volevo passare al monitor esterno perché avevo timore di dover ricorrere al mouse e a una tastiera differente. In questo modo si creano le discontinuità: si possono fare cose in un modo ma non nell'altro, si prendono abitudini diverse, non ci si muove più lungo percorsi prestabiliti e soprattutto stabili. È esattamente lo stesso motivo per cui non volevo un secondo computer a casa: sembra bello, poi te lo dimentichi acceso quando parti, comunque hai potenze diverse, documenti sparpagliati in posti diversi, applicazioni sparpagliate in posti diversi, due backup da fare. Brrr. Certo, Mac App Store semplifica molto questo (se hai due computer con la stessa autorizzazione, puoi verificare facilmente di scaricare il software sull'uno e sull'altro, proprio come si fa con un iPhone e un iPad, ad esempio) ma tutto sommato è meglio avere un computer solo e proteggere con più attenzione i dati.
Ecco, basta. Adesso, dopo dieci anni precisi da quando a Milano ho comprato l'iBook 500 dual USB bianco nell'ottobre 2001 (e da allora avevo sempre usato portatili, abbandonando al loro destino i Mac da scrivania che avevo usato a Firenze per tutti gli anni Novanta) cambio di nuovo setup. Un ibrido, questa volta. So che lo faccio presto, prima che si capisca come evolverà questa fase di convergenza, la fusione di OS X con iOS, la nascita di nuovi apparecchi ibridi con processore Arm e tutto il resto. Forse non sarà una fase che dura dieci anni. Ma intanto, è opportuna e l'apprezzo molto. Da tre giorni lavoro così e sono molto comodo.
Due note a margine: la ventola del MacBook a questo punto non si sente praticamente mai. Buon segno. Significa che l'efficienza termica della posizione "verticale" è buona. Ancora: il monitor LED non ha pulsante "On-Off", ma si accende automaticamente a seconda del bisogno. Quando il MacBook è attaccato sta in pausa, si tocca la tastiera o la trackpad esterne e lui - bang! - si accende subito. Fortunatamente nessun problema di flickering e nessun aggiornamento da fare a parte uno per la web cam.
Ah, ecco: preso dall'emozione quasi dimeticavo la risposta all'obiezione "perché non ti sei preso un monitor di terze parti?" Magari anche 21 pollici, che mi bastava sicuramente e costava pure meno rispetto al prezzo seppur scontato dell'usato Apple? La spiegazione è semplice: il monitor che ho davanti ha la videocamera integrata di Apple (definizione HD), microfono e casse 2+1. In pratica, quando ci colleghi un Mac lui replica parecchie funzionalità esterne senza battere un ciglio. Audio di buon livello, videoconferenza notevole, prestazioni di tutti rispetto. E la mela morsicata. Perché è bello e, come l'arte, ha lo scopo di tenere il brutto un po' più lontano da qui.
Mi era capitato di provare, un po' di tempo fa, il nuovo monitor Cinema Display da 27 pollici con retroilluminazione LED e basato su Thunderbolt. Fichissimo e comodissimo: fa praticamente da hub per attaccarci anche altri apparecchi Thunderbolt, periferiche FireWire, Usb, il cavo Ethernet. Ma non fa al caso mio. Troppo costoso, troppo grande, troppo "estremo". Invece, ho cercato nel mondo dell'usato Apple il "vecchio" Cinema Display 24 pollici LED, il primo di questa generazione. Era uscito a ottobre del 2008 ed è stato prodotto fino a luglio 2010. Molto più equilibrato e, visto che è usato, anche più economico.
La connessione non è con la porta Thunderbolt ma con la MiniDisplay Port. Dal retro del monitor escono due cavi: uno per l'alimentazione e un altro che porta tre cose: connessione video, Usb e alimentazione MagSafe per portatili. A questo punto, mi sono dotato di un accessorio prodotto dalla TwelveSouth, cioè il BookArc Stand (lo vedete qui sotto) che mette il MacBook in verticale e tiene i cavi ordinati facendoli passare sotto e dietro. In pratica, si usa il Mac a "guscio chiuso", in maniera tale che il monitor 24 diventi lo schermo principale e unico. Aumenta la risoluzione a disposizione e si fa prima e meglio a passare da questa modalità d'uso a quella "normale" del portatile.
Il monitor è una vera belluria. L'illuminazione LED si accende in un attimo ed è subito in temperatura, senza che ci siano sbalzi nel colore o altro. L'approccio minimal è davvero pulito ed essenziale: tutti i cavi già ordinati di default e la possibilità di avere la scrivania più sgombra è davvero notevole. Per "dialogare" con la macchina ho una tastiera in alluminio "ridotta" con cavo (in pratica, la stessa tastiera che si potrebbe trovare dentro un portatile) e la Magic Trackpad che, ancor più del MagicMouse, fa il miracolo: rende assolutamente continua l'esperienza di uso del MacBook nelle due modalità.
Era una delle mie preoccupazioni principali: non volevo passare al monitor esterno perché avevo timore di dover ricorrere al mouse e a una tastiera differente. In questo modo si creano le discontinuità: si possono fare cose in un modo ma non nell'altro, si prendono abitudini diverse, non ci si muove più lungo percorsi prestabiliti e soprattutto stabili. È esattamente lo stesso motivo per cui non volevo un secondo computer a casa: sembra bello, poi te lo dimentichi acceso quando parti, comunque hai potenze diverse, documenti sparpagliati in posti diversi, applicazioni sparpagliate in posti diversi, due backup da fare. Brrr. Certo, Mac App Store semplifica molto questo (se hai due computer con la stessa autorizzazione, puoi verificare facilmente di scaricare il software sull'uno e sull'altro, proprio come si fa con un iPhone e un iPad, ad esempio) ma tutto sommato è meglio avere un computer solo e proteggere con più attenzione i dati.
Ecco, basta. Adesso, dopo dieci anni precisi da quando a Milano ho comprato l'iBook 500 dual USB bianco nell'ottobre 2001 (e da allora avevo sempre usato portatili, abbandonando al loro destino i Mac da scrivania che avevo usato a Firenze per tutti gli anni Novanta) cambio di nuovo setup. Un ibrido, questa volta. So che lo faccio presto, prima che si capisca come evolverà questa fase di convergenza, la fusione di OS X con iOS, la nascita di nuovi apparecchi ibridi con processore Arm e tutto il resto. Forse non sarà una fase che dura dieci anni. Ma intanto, è opportuna e l'apprezzo molto. Da tre giorni lavoro così e sono molto comodo.
Due note a margine: la ventola del MacBook a questo punto non si sente praticamente mai. Buon segno. Significa che l'efficienza termica della posizione "verticale" è buona. Ancora: il monitor LED non ha pulsante "On-Off", ma si accende automaticamente a seconda del bisogno. Quando il MacBook è attaccato sta in pausa, si tocca la tastiera o la trackpad esterne e lui - bang! - si accende subito. Fortunatamente nessun problema di flickering e nessun aggiornamento da fare a parte uno per la web cam.
Ah, ecco: preso dall'emozione quasi dimeticavo la risposta all'obiezione "perché non ti sei preso un monitor di terze parti?" Magari anche 21 pollici, che mi bastava sicuramente e costava pure meno rispetto al prezzo seppur scontato dell'usato Apple? La spiegazione è semplice: il monitor che ho davanti ha la videocamera integrata di Apple (definizione HD), microfono e casse 2+1. In pratica, quando ci colleghi un Mac lui replica parecchie funzionalità esterne senza battere un ciglio. Audio di buon livello, videoconferenza notevole, prestazioni di tutti rispetto. E la mela morsicata. Perché è bello e, come l'arte, ha lo scopo di tenere il brutto un po' più lontano da qui.
20.11.11
Let me put you on speakerphone!
TORNA COME OGNI domenica il buon Garry B. Trudeau con il suo Doonesbury. Questa volta, questioni editoriali.
15.11.11
Il futuro di Moleskine
UNA PANORAMICA DI quel che viene commercializzato nel 2011, grazie a Moleskine Asia:
14.11.11
Stroncature (Kindle Fire)
NON È MOLTO comune leggere convinte stroncature di nuovi prodotti. In questo articolo sul New York Times, David Pogue chiarisce perché il Kindle Fire (l'ammazza-iPad) non è ancora pronto per la prima serata.
Money Quote: Most problematic, though, the Fire does not have anything like the polish or speed of an iPad. You feel that $200 price tag with every swipe of your finger. Animations are sluggish and jerky — even the page turns that you’d think would be the pride of the Kindle team. Taps sometimes don’t register. There are no progress or “wait” indicators, so you frequently don’t know if the machine has even registered your touch commands. The momentum of the animations hasn’t been calculated right, so the whole thing feels ornery.
Magazines are supposed to be among the best new features. Most offer two views. There is Page View, which shows the original magazine layout — but shrunken down too small to read, and zooming is limited. Then there is Text View: simple text on a white background. It’s great for reading, but of course now you’re missing the design and layout, which is half the joy of reading a magazine. And Text View sometimes loses words, cartoon captions and so on.
Money Quote: Most problematic, though, the Fire does not have anything like the polish or speed of an iPad. You feel that $200 price tag with every swipe of your finger. Animations are sluggish and jerky — even the page turns that you’d think would be the pride of the Kindle team. Taps sometimes don’t register. There are no progress or “wait” indicators, so you frequently don’t know if the machine has even registered your touch commands. The momentum of the animations hasn’t been calculated right, so the whole thing feels ornery.
Magazines are supposed to be among the best new features. Most offer two views. There is Page View, which shows the original magazine layout — but shrunken down too small to read, and zooming is limited. Then there is Text View: simple text on a white background. It’s great for reading, but of course now you’re missing the design and layout, which is half the joy of reading a magazine. And Text View sometimes loses words, cartoon captions and so on.
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13.11.11
11.11.11
Assault Fairies I (2011)
NON MI RICORDO se ho già scritto che ho letto questo libro singolare, Assault Fairies, prima parte di una trilogia scritta dalla debuttante prosumer Chiara Gamberetta. Si scarica gratis e si legge a video o sull'eBook reader.
È una cosa strana, un mix di storie di fatine e di militaria, di fantasy e di fantascienza hard ma steampunk. Insomma, una lettura singolare, stilisticamente e tematicamente interessante. Gamberetta fa parte di un gruppo di autori autoconsapevoli che stanno studiando sui manuali di scrittura americani per cercare di dare una dimensione professionale al loro talento e di autoprodursi.
La cosa figa è che l'universo che Gamberetta ha creato è letteralmente brulicante di colore e di cose vive. C'è qualcosa che richiama Sucker Punch. E gli anime più tosti degli ultimi anni. Da tenere d'occhio, spenderci un po' di tempo, secondo me si legge bene. Poi fate voi, ma ne risentiremo parlare.
È una cosa strana, un mix di storie di fatine e di militaria, di fantasy e di fantascienza hard ma steampunk. Insomma, una lettura singolare, stilisticamente e tematicamente interessante. Gamberetta fa parte di un gruppo di autori autoconsapevoli che stanno studiando sui manuali di scrittura americani per cercare di dare una dimensione professionale al loro talento e di autoprodursi.
La cosa figa è che l'universo che Gamberetta ha creato è letteralmente brulicante di colore e di cose vive. C'è qualcosa che richiama Sucker Punch. E gli anime più tosti degli ultimi anni. Da tenere d'occhio, spenderci un po' di tempo, secondo me si legge bene. Poi fate voi, ma ne risentiremo parlare.
10.11.11
Un lavoro enorme da fare
LA RIVOLUZIONE ITALIANA: per cacciare un fallimentare e pericoloso premier di 75 anni, il presidente della Repubblica di 86 nomina senatore a vita il professore e commissario europeo di 68. Che, tra le altre cose, è dentro fino ai capelli alle principali e più potenti lobby liberiste mondiali (il think tank Bruegel, la commissione Trilaterale fondata da David Rockefeller, il gruppo Bilderberg etc). Nella storia ci sono le atmosfere grige e piovose di Bruxelles e Gant, le giornate ad Amsterdam, cercando un piccolo ufficio dalle enormi finestre sul canale, il sole di Roma, il vento teso e impregnato d'umidità che spazza il litorale palermitano.
È quasi il canovaccio di un romanzo (anche se sarebbe stato meglio averlo scritto un anno fa) che comincia così: "Dopo la morte di Mao, ci fu la banda dei quattro". Ecco: trecento pagine di prosa secca, da hard-boiled, da pulp, di quelle che si leggono tutte d'un fiato. Un lavoro enorme da fare senza mai alzare la testa dalla pagina, dritti fino alla fine, se mai ce ne sarà una. Che ne dite?
È quasi il canovaccio di un romanzo (anche se sarebbe stato meglio averlo scritto un anno fa) che comincia così: "Dopo la morte di Mao, ci fu la banda dei quattro". Ecco: trecento pagine di prosa secca, da hard-boiled, da pulp, di quelle che si leggono tutte d'un fiato. Un lavoro enorme da fare senza mai alzare la testa dalla pagina, dritti fino alla fine, se mai ce ne sarà una. Che ne dite?
Beni di lusso
QUANTO VALGONO SEIMILA copie di Call of Duty Modern Warfare 3, appena rubate da un camion in Francia? Ben 400mila euro, cioè 67 euro a copia...
9.11.11
L'importanza dell'armadio
STO RIMETTENDO UN po' a posto casa, qua e là. E ovviamente, vittima di un normale caso di attenzione selettiva, mi sembra che il mondo non parli d'altro. Alle volte, però, si trovano cose davvero straordinarie.
6.11.11
Mix-tape
COME SCRIVEVO POCO sotto, qualche giorno fa ero a Lucca a moderare uno dei fantasmagorici Lucca Comics Talks organizzati dal fumettologicamente Matteo Stefanelli. L'argomento era il lettering e il panel strepitoso, quantomeno per un argomento del quale non si parla mai.
Alla conseguente cena, eravamo io, Matteo e Diego Ceresa, che è probabilmente il miglior calligrafo-letterista italiano. Abbiamo svolazzato su argomenti diversi. Un particolare tra i tanti che mi hanno colpito: Diego raccontava come ha iniziato la sua passione per il lettering, che è riuscito a trasformare in lavoro dopo dodici anni nell'ufficio tecnico della Lancia: scrivendo i dorsi delle cassette registrate. I mix-tape!
Mi sono sentito molto letterista-mancato...
Alla conseguente cena, eravamo io, Matteo e Diego Ceresa, che è probabilmente il miglior calligrafo-letterista italiano. Abbiamo svolazzato su argomenti diversi. Un particolare tra i tanti che mi hanno colpito: Diego raccontava come ha iniziato la sua passione per il lettering, che è riuscito a trasformare in lavoro dopo dodici anni nell'ufficio tecnico della Lancia: scrivendo i dorsi delle cassette registrate. I mix-tape!
Mi sono sentito molto letterista-mancato...
5.11.11
Startbuk & Starbuck in a Starbucks...
ALLE VOLTE UNO non riesce a trattenersi! Eheheh...
Tra parentesi, oggi alle 15 Dirk Benedict (A-Team, Galactica) è a Bologna, con l'ottimo Paolo Attivissimo a fare da traduttore e da fan numero uno!
Ps: parlando di appuntamenti, io sono alle 13 alla Games Week di Milano, al talk su "Disinformazione/informazione sui videogiochi in Italia. A che punto siamo". Sentitevi liberi.
Tra parentesi, oggi alle 15 Dirk Benedict (A-Team, Galactica) è a Bologna, con l'ottimo Paolo Attivissimo a fare da traduttore e da fan numero uno!
Ps: parlando di appuntamenti, io sono alle 13 alla Games Week di Milano, al talk su "Disinformazione/informazione sui videogiochi in Italia. A che punto siamo". Sentitevi liberi.
2.11.11
Lettering - l'arte(mestiere) di fumettare i fumetti
COS'È IL FUMETTO, cosa manca alla canonica definizione di immagini in sequenza, quale arte è più rapidamente evoluta e quale mestiere più rapidamente decaduto? Lunedì ho passato un'ora e mezzo assieme a uno dei più incredibili panel di esperti di lettering del fumetto italiano:
Paolo Bacilieri (autore Sweet Salgari, Coconino Press)
Diego Ceresa (letterista per l’edizione italiana di Asterios Polyp)
Marco Ficarra (editor, fondatore RAM Studio)
Vincenzo Filosa (letterista, Studio Nora)
Marco Tamagnini (responsabile produzione, GP Publishing)
È stato piacevole, divertente, curioso, strano, singolare, un po' stressante. Grazie a tutti e in particolare a Paolo Bacilieri, che con le sue domande ha facilitato il mio lavoro di moderatore. Lucca Comics - Talks sta diventando una abitudine molto piacevole. Speriamo duri!
Intanto, per continuare i discorsi avviati in quell'ora e mezzo, ecco un ragionamento di Clem Robins
Paolo Bacilieri (autore Sweet Salgari, Coconino Press)
Diego Ceresa (letterista per l’edizione italiana di Asterios Polyp)
Marco Ficarra (editor, fondatore RAM Studio)
Vincenzo Filosa (letterista, Studio Nora)
Marco Tamagnini (responsabile produzione, GP Publishing)
È stato piacevole, divertente, curioso, strano, singolare, un po' stressante. Grazie a tutti e in particolare a Paolo Bacilieri, che con le sue domande ha facilitato il mio lavoro di moderatore. Lucca Comics - Talks sta diventando una abitudine molto piacevole. Speriamo duri!
Intanto, per continuare i discorsi avviati in quell'ora e mezzo, ecco un ragionamento di Clem Robins
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