E poi ci sono Michael Emerson (ve lo ricordate in Lost?) e soprattutto uno spettacolare Jim Caviezel, che è una specie di Mel Gibson incrociato con una modella anni Ottanta: picchia come Obelix, incassa più colpi che non il Cristo della Passione del suddetto attore australiano, e soprattutto si fa queste lunghe passeggiate con passo deciso, sculettante, guardando sempre fisso avanti come uno che è malato di qualcosa di brutto al cervello e parlando ad alta voce da solo (perché ha l'auricolare di Star Trek) che sono cose che entrano nell'immaginario subito e poi per togliertele devi andare dallo psicologo pacifista per anni.
La trama dicevo che è bella incasinata ma parte da un presupposto semplice: Caviezel è un ex operativo dei corpi speciali americani, passato poi a fare operazioni coperte della Cia, burn out, presunto morto e in realtà tradito, bollito e barbone che vaga per le strade di New York. Qui viene agganciato da un miliardario estremamente misterioso (Emerson) che lo assume per un lavoro di tutto riposo: il miliardario dopo l'11 settembre ha creato un super-computer per il governo che spia tutti quanti per prevenire futuri atti di terrorismo. Il governo USA non era interessato però a un effetto "secondario" del super-computer, detto amichevolmente "la macchina", cioè che vede tutti gli atti criminali e individua anche le persone la cui vita è a rischio per motivi non legati al terrorismo, ma per semplice effetto della criminalità tradizionale. Il miliardario tramite una backdoor nella macchina ha la possibilità di ricevere l'informazione su chi sta rischiando la vita: l'info è solo il social number (identificatore unico degli individui negli Usa) e non si sa niente di più. Né chi è il titolare, né quale rischio corre, né quando.
Sta guardando da qualche parte? Macché, sta parlando al telefono... |
Sembrerebbe una situazione di equilibrio, dove tutti hanno chiaro il loro ruolo e si possono sbizzarrire con una serie infinita di episodi, ma non siamo più ai tempi di Starsky e Hutch o di CHiPs: la grande narrazione del tempo moderno, cioè i telefilm, hanno archi narrativi piuttosto complessi anche formalmente, a metà tra il cerchio e la curva gaussiana. Quindi entrano in campo un paio di cattivi che ricorrono in vari episodi, poi gli agenti della CIA alla ricerca del loro vecchio camerata da far fuori, e poi anche l'FBI che vede in Caviezel un killer al servizio della mala (che in realtà lui elimina e mai gratuitamente ma solo per difesa). C'è pure una femmina fatale (Paige Turco) che fa un lavoro simile al suo e che gli dà una mano, di quando in quando.
A parte la limitazione di essere ambientato tutto dentro New York (e qui la città dopo un po' comincia ad andare stretta alle scorribande dei nostri eroi), lo spettacolo è di puro godimento. L'idea di partire da una macchina che ti dice che sta per essere commesso un crimine e che tu devi prevenirlo, senza sapere chi lo farà né di quale crimine si parli in realtà, è originale e stimolante. E così la paranoia post-11 settembre con lo spionaggio totale da parte di videocamere di sorveglianza, computer che agganciano altri computer, telefoni attivati a distanza e via dicendo. Non è facile tenere il ritmo e la velocità con tutta questa tecnologia da reinventarsi di volta in volta. Epica infine la sigla e la grafica dei mille schermi e delle mille webcam: si vede una New York dallo spioncino che è a tratti molto più interessante di quella edulcorata e pitturata dei film e telefilm. Da vedere, mi raccomando.
2 commenti:
Minority report?
Si si, ma quelli erano telepati, questa è una macchina... che porta sorprese...
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