15.2.13

Django Unchained (2012)

A UN CERTO punto, diciamo poco dopo la metà, diventa lento, lungo e anche un po' noioso. All'inizio pensavo fosse un mio problema: di solito resisto male all'accumulo di tensione e i film con passaggi angoscianti (quelli che i bambini non riescono a capire: quando tu sai qualcosa che il protagonista non sa che sta per succedere, tipo Janet Leigh sotto la doccia di Psycho) mi snervano e mi stancano parecchio. Invece, non era un problema mio, era un problema di Quentin Tarantino.

Rassicurato su questo aspetto, Django Unchained, il kolossal-spaghetti-western con tante di quelle citazioni e omaggi da far imbarazzare uno studente di Cinema, televisione e nuovi media dello IULM, è purtuttavia un bel film. C'è pathos, c'è una storia ben raccontata, c'è soprattutto quella ricchezza di personaggi e consistenza degli oggetti e degli effetti che fanno sembrare la materia dei sogni che chiamiamo cinema un po' più reale. Non è male, dopo quasi un secolo di manipolazione onirica.

Il film è lungo, l'investimento di tempo che richiede però è compensato - con l'eccezione di quei venti minuti pallosissimi e claustrofobici nella sala da pranzo di Mr. Candy - dalla vivacità della trama e dalla bellezza quasi bolscioviana delle sparatorie. C'è del Tex Willer oltre che del Franco Nero. E c'è tanta voglia di tornare a un'innocenza perduta da tempo nella gratuità di quel che accade. Talmente tanta da far ammalare di nostalgia anche il branco del Ku Klux Klan che discorre con fare melbrooksiano sulla qualità ed ergonomia dei cappucci (peraltro fatti in casa) da usare per i linciaggi.

Quando avanza tempo, magari me lo rivedo. Django per sua stessa ammissione è la storia di Sigfrido che vuole liberare Brunilde e che affronta draghi e mostri dentro e fuori da se stesso perché non ne ha paura. Django non ha paura. Non ha mai paura. Casomai soffre, quasi piange, per empatia. Ma non trema e non teme. La sua è la storia di un eroe wagneriano nero nell'America pre-guerra civile e schiavista. Ci pensate? Una favola, altroché.

1 commento:

Marco ha detto...

La scena che secondo me poteva essere mooolto più corta p quella del tragitto con la carrozza verso la residenza di Di Caprio. Per il resto un bel film, ma non so se merita l'Oscar.