14.3.13

Albo speciale Tex n.9 - La valle del terrore (giugno 1996)

SI TRATTA DI uno dei fumetti dei quali si è più parlato in Italia (e in varie altre parti del mondo che seguono l'universo bonelliano e non solo). Il "texone" di Magnus è il frutto di sette anni di certosino, a tratti lucidamente folle lavoro dello straordinario Roberto Raviola. Uno dei più grandi talenti del bianco e nero che si siano mai visti: ci sono saggi, articoli e libri che che ne analizzano l'arte e la capacità espressiva di Magnus e, in questo ambito, il Texone costituisce un capitolo a se stante.

Ho deciso di riprenderlo in mano. La Bonelli aveva iniziato a pubblicare i volumi speciali con un primo tomo "fuori serie" anche nel formato (stesse sei vignette per pagina ma in un formato deluxe) per celebrare i 40 anni di Tex. Era il giugno del 1988 e l'iniziativa di Tex il grande! (storia di Claudio Nizzi e disegni + copertina di Guido Buzzelli) non era destinata a rimanere isolata. Ogni anno, quasi sempre a giugno e poi luglio i texoni sono usciti regolarmente. Nel 1996 e nel 2011 sono usciti anche a novembre, per un totale di 27 numeri.

Accanto ai "texoni" ci sono anche i Maxi Tex, albi di formato regolare ma con un numero impressionante di pagine (ben 348 nel primo volume Oklahoma! del 1991) per un'unica, lunghissima storia. A parte il primo del 1991 e un numero del 1997, i Maxi Tex sono usciti con cadenza annuale da ottobre del 1999 a oggi. A differenza del texone, dove il disegnatore è il re del numero, viene celebrato con un lungo articolo encomiastico (essere chiamati dalla Bonelli a fare il texone è una specie di premio alla carriera e serve spesso a coinvolgere disegnatori che non avrebbero altrimenti frequentato le pagine della Bonelli) e realizza anche la copertina, nel Maxi Tex la copertina finora è stata sempre di Claudio Villa (omonimo...) che è anche titolare delle copertine ufficiali della serie regolare, a parte il primo numero che aveva un bel disegno originale del mitico Galep.

Torniamo al texone. Il nono è quasi un'araba fenice: La valle del terrore era stato richiesto a Magnus da Bonelli ed era molto atteso. Magnus aveva attraversato il periodo degli anni sessanta fino al 1975 come disegnatore, sviluppando uno stile sempre più ricco e una facilità, velocità di disegno che era legata alla capacità di realizzare caratterizzazioni profonde, estreme. Dotato di una tecnica immane, una "linea scura", profonda e tenebrosa che dà immediatamente dipendenza, il Magnus svincolato dallo sceneggiatore/editore Max Bunker e dal gruppo TNT (e dagli altri lavori di quel periodo) diventa sempre più ricco sia per la capacità di intrecciare storie che per l'arte del disegno, che scivola lentamente nello stile libery di lavori come Le 110 pillole, unita a una profonda chiarezza stilistica che si accompagna a tavole minuziose, veri affreschi di proporzioni straordinarie.

Arriviamo al texone. Non sono il più adatto a raccontarne la genesi perché di questo lavoro so solo che, con la sceneggiatura di Nizzi (uomo di punta di quella straordinaria fabbrica di professionisti della sceneggiatura che è stata la Bonelli italiana) Magnus si era chiuso in un esilio nel quale l'autore cercava la perfezione stilistica.

Una tensione che nel tempo aveva caratterizzato i suoi lavori, sempre più "estremi": ricchezza di dettagli funzionali alla storia ma anche truci, fin troppo espliciti (ce ne sono esempi anche nei tre cicli di Unknow, altra pietra miliare di Magnus) sia per le anatomie sconvolte dalla passione amorosa che dalla violenza dilaniante.

Quel che posso raccontare è il piacere di essere tornato a scorrere, a distanza di più di sedici anni, le tavole che rendono magnificamente lo stile e la passione di Magnus. Tavole gigantesche in cui niente è approssimato, niente è lasciato al caso, niente è troppo laterale per non meritare l'attenzione dell'autore e il suo acuto e continuo lavoro sui dettagli. I bianchi e i neri di Magnus, l'ho già detto ma penso lo capiate anche da soli, sono un'esperienza metafisica. Che nel texone si moltiplica da sola, grazie a un uso di linee minime che creano ricchissime trami e orditi. Una tappezzeria di segni in cui anche i bianchi hanno uno scopo esplicito, definiscono forme e accennano superfici.

Mi dispiace tantissimo che Roberto Raviola (piccolo e nasuto folletto del disegno) non ci sia più. Era un genio, un artista e aveva storie calde e noir da raccontare. Il suo Tex rimane un monumento al talento e all'opera di Magnus, che è comunque artista da ritrovare e rivivere. Credetemi.

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