NON DEI BOOTLEG, ma dei "live" fatti come si deve, a cura degli artisti tanto che rientrano nelle discografie ufficiali. Questi sono quelli che mi piacciono. Evviva gli anni Ottanta, devo aggiungere... Ma si sa, ognuno è figlio del suo tempo!
Steve Hackett – The Tokyo Tapes (1996)
Un concerto del 1996 con uno dei gruppi di supporto di Steve Hackett, l’ex chitarrista dei Genesis, anima del supergruppo GTR e colonna portante del rock-prog. Suona alla grande, è stato completamente rimesso a posto e, nell’edizione adesso in commercio, c’è anche il DVD con il concerto. Pura libidine.
Asia – Under The Bridge & Live In San Francisco (2008)
Gli Asia hanno segnato un modo di intendere il rock-prog che continua dal 1981 sino ad ora. Particolarmente prolifici e capaci di alternare dischi da studio a dischi live, più una infinita teoria di bootleg, hanno Steve Hackett, John Wetton, Steve Howe, Geoff Downes, Carl Palmer, più vari altri “minori” che si sono alternati. Questo live è del 2008 ed è disponibile in due versioni: c’è l’edizione “ridotta” (che ho preso in LP) del concerto registrato su album e il doppio CD “San Francisco 2008”, che ho preso più tardi in formato digitale. Durante la seconda parte di quel concerto gli Asia suonarono integralmente il primo album “Asia”, che occupa tutto il secondo CD dell’album doppio. Il livello è notevole. Si tratta di uno dei bootleg “approvati” del gruppo, anche se non sono live che fanno parte della discografia ufficiale. Ci sono problemi di qualità in un paio di canzoni, ma anche molta energia.
Hall & Oates – Live at the Apollo (1985)
Per me è un concerto mitico. La notte al teatro Apollo di New York di Daryl Hall e John Oates, due bianchi con uno straordinario talento soul. Con loro, due ex Temptations oramai anziani ma sempre gagliardi: David Ruffin ed Eddie Kendrick. Se volete avere un solo CD della premiata coppia Hall&Oates, questo è quello giusto. Anche perché la discografia della coppia è abbondante e non tutta all’altezza. Invece questo concerto al teatro Apollo di New York io me lo sono ascoltato per anni in cassetta, da ragazzino, e ogni volta ci scoprivo cose nuove e divertenti: è musica che ti fa tornare il buon umore.
Simon & Garfunkel – The Concert in Central Park (1982)
Paul Simon ha continuato, viaggiando e scoprendo nuove sonorità (bellissimo “Graceland” e bella la scoperta della world music con le sonorità africane) mentre Art Garfunkel è scomparso dai radar. La loro coppia ha definito un’epoca, anche per chi l’ha vista solo da lontano e con il filtro di un paio di decenni. Mrs Robinson dalla colonna sonora del Laureato dice tutto. E questo concerto è uno di quei pochi momenti (l’altro è quello dei Queen) in cui mi pento di non esserci stato. Ma se inventano la macchina del tempo…
The Band – The Last Waltz (1976)
Loro erano talmente bravi che potevi anche non averli mai sentiti, tanto ti erano entrati in qualche modo nel cervello. E questo disco, di cui esiste anche la versione “lunga” e poi il film di Martin Scorsese, è un concerto spettacolare, inteso, veramente bello. Registrato a San Francisco (il giorno del Ringraziamento nella Winterland Ballroom), quando The Band era al culmine e decise di finire così, imbattuta, prima di ridursi come un Rolling Stone qualunque che va a settant’anni sul palco. Invece no, loro finirono alla Greta Garbo: ancora bellissimi. Da riscoprire, come sarebbe da riscoprire tutto Robbie Robertson.
Cream – Royal Albert Hall – London May 2-3-4-5-6 2005 (2005)
I Cream sono durati davvero poco: superband formata nel 1966 e sciolta nel 1968 aveva tre talenti immensi, che hanno continuato la loro ricerca musicale su binari molto diversi. Si tratta di Jack Bruce, Ginger Baker ed Eric Clapton. Anziché uno dei quattro album canonici, questa band immensa che ha contribuito a definire il modo stesso in cui suona il rock moderno la si può apprezzare quarant’anni dopo, quando si ritrova per la seconda volta e suona in cinque pazzesche serate, dimostrando una coesione, un talento, una tecnica e una chimica fuori dal comune. Vale tutto e c’è anche il film che vale ancora di più.
Nirvana – MTV Unplugged in New York (1994)
Per gli amici solo “Unplugged”. L’unico e il vero. Perché nel periodo in cui MTV faceva un concerto acustico via l’altro, senza amplificazione e distorsione ci hanno suonato praticamente tutti. Ma non ne è rimasta più traccia o quasi (c’è Eric Clapton che continua ad aleggiare, ma lui è acustico dentro, si sa). Invece, quello dei Nirvana è un disco a se stante. La dimostrazione che la buona musica è quella dal vivo, una chitarra e poco altro. Pochi mesi dopo il concerto, Kurt Cobain si è tolto la vita, lasciandoci quella donna impossibile della sua ex compagnia a tormentarci. Peccato.
Supertramp – Live in Paris (1980)
Definiscono un’epoca e suonano in maniera fantastica. Il doppio album registrato nel 1979 a Parigi durante il periodo d’oro dei Supertramp, e pubblicato nel 1980. Adesso passati nel dimenticatoio, i Supertramp hanno definito quindici anni di stile musicale e passare una serata in loro compagnia… beh, ne vale sempre la pena. Anche perché la coppia che fa da motore è pazzesca e nel tempo ha creato armonie ed atmosfere che vanno ben oltre le semplici melodie di “Breakfast in America” e “Crisis? What Crisis?”. È uno dei gruppi sicuramente da riscoprire.
Dire Straits – Alchemy (1984)
È il disco più “freddo” della storia. Suona come se fosse stato registrato in studio. Era l’accusa che veniva mossa, l’unica alla quale non trovassimo una obiezione sensata (perché non lo è l’accusa stessa), nei confronti di Mark Knopfler e dei Dire Straits nel loro insieme. Suonano da dio, talmente bene che sembrano finti. In realtà, è un disco che mi piace molto e che, a risentirlo adesso, è pieno di virtuosismi e piacevolezze.
Queen – Live Killers (1973); At the Beeb (1979-1989); Live Magic (1986)
La cosa più bella dei Queen è che sono sempre stati superiori a qualsiasi detrattore abbia mai cercato di dire che erano “solo” commerciali, “solo” canzonette, “solo” robuccia. Suonano con una energia e una profondità quasi inaudita, poche volte raggiunta da altri gruppi rock-pop. La bellezza e complessità di alcune loro composizioni da studio non sono però niente (con l’eccezione forse di Bohemian Rhapsody) rispetto ai loro concerti. Compreso quello mitico a Rio de Janeiro. Vederli o anche solo sentirli suonare dal vivo è una esperienza unica. Killers la definisce in modo più netto, Magic ha la ricchezza delle canzoni più recenti, At the Beeb la rarità di alcuni brani fuori dal loro repertorio tradizionale. Per me questi tre album suonano come un solo, monumentale tributo all’arte di Freddy Mercury e soci.
Billy Joel – Songs in the attic (1981)
È il primo live di Billy Joel. Segue dischi registrati in studio che sono poi quelli sui quali l’autore americano ha costruito la sua fortuna: The Stranger, Piano Man, 52nd Street, Streetlife Serenade, Glass Houses. A me Billy Joel piace in maniera piuttosto incontrollabile: come Elton John, come alcune cose di George Michael, come alcuni altri simili. C’è un sound lontano (parte dall’inizio degli anni Settanta) che si porta dietro l’eredità degli anni Cinquanta. Musicalmente non è più complesso e ricco come lo era all’epoca. Le cose sono andate avanti, i nostri gusti sono cambiati. In ogni caso, in molti dei primi dischi di Billy Joel si avverte che manca la chimica con i suoi musicisti, turnisti eccellenti, gente di studio, ma lontano dalla sensibilità di Billy Joel. In questo live le canzoni di quell’epoca suonano come avrebbero dovuto suonare anche nei dischi da studio. Alla grande.
Frank Sinatra, Sammy Davis Jr. & Dean Martin – At Villa Venice, Chicago. Live 1965 (1965)
Le performance sul palco del Rat Pack, anche nella versione a tre senza Joey Bishop e Peter Lawford, sono comunque epocali. Show che univano le routine comiche e fisiche di questi tre animali da palcoscenico con la musica e la capacità di improvvisare e divertire. Ascoltare il doppio CD registrato nel 1965 a Chicago può essere problematico sia perché le parti in parlato (ovviamente in americano) si alternano alle canzoni, sia perché spesso le gag e i giochi avvenivano sul palco ed erano più fisici che non vocali. Non si capisce, si rimane sospesi, si percepisce il divertimento del pubblico ma non si sa il vero motivo. Non importa. Anche se lento e faticoso, lo spetacolo è divertente, musicalmente ottimo e ha un ritmo e una coerenza formale che lo portano ben al di sopra di molte altre performance più titolare. Dean Martin gioca il suo meraviglioso personaggio che oggi definiremmo di alcolizzato cronico allo stadio terminale, Sammy Davis Jr. è una bomba di energia e forse il talento più genuino per il palcoscenico, mentre Frank Sinatra è un maestro nel giocare con la sua autorevolezza di maschio alfa mettendola a disposizione dei suoi due amici. Niente si ferma: i tre si prendono in giro, ridono di sé e degli altri, bevono, fumano, cantano, sparano cavolate e barzellette come un vulcano che sta esplodendo. Impossibile non amarlo, ma solo dopo ripetuti ascolti.
Yes – 90125 Live: The Solos (1985)
Gli Yes hanno pubblicato un quantitativo impressionante di album dal vivo, attraverso epoche, formazioni e raccolte di canzoni differenti. Eppure, per me questo album, che ho preso prima in formato LP a Firenze una vita fa e poi più di recente come CD da Amoeba Music a San Francisco, è speciale. L’album 90125 da studio (il nome è il numero di catalogo della Atlantic) è il primo disco che ho sentito degli Yes: non c’entra praticamente niente con la storia musicale del gruppo e rimane, assieme al successivo Big Generator, una clamorosa eccezione. Nel tempo ho amato il suond “classico” e prog sinfonico degli Yes, ma mi è rimasto nel cuore anche l’arrangiamento e la produzione di quei due album. E di questo live, che vede una forte prevalenza della parte degli assoli, in cui ha un ruolo notevole la coppia di “stranieri”, cioè il chitarrista Trevor Rabin (che poi è il papà del suond di quell’epoca) e Tony Kaye, primissimo tastierista degli Yes negli anni Sessanta che ritorna proprio per questa coppia di album. Che dire: spacca duro!
Pink Floyd – Ummagumma (1969)
Solo metà di questo album doppio: il primo disco (LP o CD) è infatti un live che raccoglie le canzoni suonate dai Pink Floyd nei loro primi concerti (la band si era formata nel 1965 e il primo chitarrista Syd Barrett aveva lasciato nel 1967 venendo sostituito da David Gilmour) mentre non c’erano ancora i grandi successi classici della band. La discografia d’altro canto parla chiaro: The Dark Side of the Moon è del 1973, Wish You Were Here del 1975, Animals del 1977, The Wall del 1979 e infine The Final Cut del 1983. Qui siamo nel 1969, ancora mancano addirittura due capolavori come Atom Heart Mother (1970) e Meddle (1971). Quello che c’è sono canzoni prese dai primi due album: The Piper at the Gates of Dawn e da A Saucerful of Secrets. Basta e avanza: il divertimento e la voglia di sperimentare, un affiatamento incredibile, la consapevolezza di essere i più bravi della loro epoca (e anche di molte altre). A me piace molto, lo riascolto con piacere
Deep Purple – Made in Japan/Live in Japan (1972)
In realtà anche questi sono due album diversi. La versione originale su due LP è “Made in Japan”, pubblicato a dicembre del 1972 in LP dopo il primo tour dei Deep Purple nella terra del Sol Levante: il gruppo non voleva fare “live”, glielo chiedono i giapponesi e loro accettano purché l’edizione sia limitata al paese della dea Yamato. Finisce che diventa un successo planetario. I concerti si tennero ad agosto del 1972, due ad Osaka (15 e 16 agosto) e uno a Tokyo (17 agosto). Il materiale era in realtà abbondante rispetto agli LP e quindi si pensò – per il 21mo anniversario del concerto, nel 1993 – di realizzare un triplo CD intitolato “Live in Japan”. A seguire, viene pubblicato in CD “Made in Japan”, la versione rimasterizzata dell’LP, storica ma anche tagliuzzata di brutto, e siamo nel 1998. Alcune versioni diverse di canzoni identiche sono disponibili nell’uno o nell’altro album. “Made in Japan” è considerato a ragione uno dei migliori album live di sempre.
7.1.14
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