MEGLIO CONOSCIUTO ANCHE come "Live. Die. Repeat.” (ma poi la produzione Warner ha deciso di mollare il colpo e fortunatamente scegliere un titolo più palatabile) è un film com Tom Cruise. E quando uno dice “un film con Tom Cruise”, ha sostanzialmente detto tutto e potremmo chiudere qui, passando ad altro. In realtà qualcosa si può dire.
È un film di fantascienza, super-produzione diretta da Doug Liman, regista versatile (ha lanciato Vince Vaughn, e ha diretto il primo The Bourne Identity e prodotto gli altri due) e nato con ambizioni autoriali (che si vedono più che altro nella lentezza con cui realizza i suoi film: forse ci terrà ad avere un buon bilanciamento vita-lavoro), che tiene insieme un quintale di effetti speciali con alcune finezze, una sceneggiatura non banale e un cast fondamentalmente avvitato attorno a Tom Cruise e a Emily Blunt.
C’è una cosa di Tom Cruise che non manca mai di stupirmi: tutte le volte mi chiedo come faccia ad essere adatto un attore bassino, abbastanza banale e adesso anche di mezza età a fare sempre la parte dell’eroe. Cioè, Tom Cruise è il diretto discendente di Erroll Flynn, di Rock Hudson e di Cary Grant (almeno, se facesse un po’ più ruoli brillanti). Poi lo vedo, attaccato come una cozza allo scoglio durante la tempesta, che spinge come un matto per riuscire a girare tutte le scene sempre al meglio, a saltare sempre più in alto, a usare uno stuntman in meno quando può, che alla fine capisci che incarna la protervia, la testardaggine, la volontà che la vince sulle altre qualità innate. È uno normale ma sgobbone e si vede, per questo ci piace: pensiamo che se facciamo fatica ce la facciamo anche noi. Poi fa fatica solo lui, e questo ci basta e ci è di consolazione.
Ok, basta meditazioni sugli attori. Il film. Begli effetti speciali, trama sufficientemente profonda da reggere un Urania degli anni Ottanta. Gli alieni hanno invaso la Terra, l’offensiva militare “ultima speranza” sta per essere scagliato e lui combatte brevemente e muore. Per risvegliarsi la mattina stessa, e ricominciare da capo. Non è un sogno, ma un loop temporale causato dai nemici. C’è anche la bella Emily Blunt, la sergente Rita Vrataski che è diventata l’Angelo di Verdun (una specie di Giovanna d'Arco senza cavallo e decisamente vestita) dopo aver sconfitto con spadone da manga tonnellate di nemici, perché anche lei dotata - e poi non più - del magico potere rubato agli alieni. Che sarà anche il meccanismo con cui sconfiggerli. E poi ci porterà a un divertente susseguirsi di picaresce avventure in cui il montaggio fa da cucitura per i salti di linea temporale. Divertente, non banale ma neanche complicato, impacchettato di azione e con pochi o nessun mezzo tono: è tutto o bianco o nero. C’è la storia di redenzione, quella d’amore, il paradosso spaziotemporale che ti fa sempre pensare, l’etica del sacrificio, il gruppo e via dicendo.
Cosa volete di più?
Ah sì, che gli alieni vincano… Ma questo, purtroppo, nei film con Tom Cruise non succede mai, a meno che l’alieno non sia lui. E, a dire il vero, alle volte un po' alieno sembra.
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