SIAMO ARRIVATI AL quinto episodio di questa serie che ha luci ed ombre. Le luci: un fantasy per di più basato su una delle serie più popolari di sempre, i cicli di Shannara creati dallo scrittore americano Terry Brooks (io pensavo fosse una donna, poi ho scoperto che in realtà si chiama “Terence”: pensa te!) e anche ben prodotto.
The Shannara Chronicles offre infatti ambientazioni notevoli: il presupposto è un mondo fantasy post-apocalisse nucleare (o altro) che si basa sulla post-posizione delle categorie alle quali siamo abituati: elfi, gnomi, nani e demoni arrivano dopo, e sono sostanzialmente mutazioni, e non prima del nostro tempo. Interessante.
La storia di questo mondo è ampia e tutt’altro che scontata, anzi ricca di sfumature. Quasi impossibile rendicontarla qui. Però, siccome è un fantasy che nasce dopo che il mondo ha conosciuto Tolkien, c’è una componente che lega anche Shannara come una foglia al grande albero dei romanzi in cui al centro c’è una “cerca”, una “quest”, con una compagnia più o meno bene assortita e bendisposta che si incammina per realizzare gli obiettivi di questa “cerca”. E la cosa non è affatto un male.
Gli scenografi hanno avuto soldi a disposizione: non tantissimi ma comunque hanno fatto un buon lavoro sposando Nuova Zelanda con strutture e panorami. Gli interni sono un po’ più deboli, ma la presenza di effetti speciali digitali a buon mercato ma di qualità decisamente alta hanno consentito di fare proprio un buon lavoro. Si capisce raramente e solo a tratti che in realtà i soldi sono relativamente molto pochi e che gli attori recitano sempre nei soliti tre o quattro posti.
Invece gli attori sono la forza e il problema. La forza perché parte del casting è stato super-azzeccato: soprattutto il re degli elfi e alcuni dei personaggi di quel mondo sono davvero notevoli. I comprimari tendono ad essere un po’ sfumati. Il druido è sorprendente (un bestione non tatuato ma “cicatrizzato” e piuttosto post-apocalittico) secondo me ci sta. I tre protagonisti invece… Le due ragazze sono ovviamente belle, sia la principessa che la ladra, ma lo sono in maniera da dramma “teen”. E la stessa cosa per il protagonista, faccia smunta ma fisico statuario ben nascosto che emerge nei momento di spogliarello (bagno, avventure di letto). Il punto principale è che siamo entrati in area drammone di genere adolescenziale: più che i demoni sono gli ormoni il vero punto dei nostri eroi.
Siamo vicini vicini a Beverly Hills 90210, a Dawson’s Creek, a The O.C., per focalizzarci anche su Buffy l’ammazzavampiri, Roswell, Smallville. Alcuni sono capolavori, altri tavanate pazzesche. Nel complesso, abbastanza discutibili come impostazione per la fruibilità della storia se avete superato i 17 anni.
In realtà, la mia sensazione è che The Shannara Chronicles sia più che altro un mix furbetto tra due cicli di film, Hunger Games e Divergent da un lato con Game of Thrones dall’altro.
Del secondo elemento prende il desiderio di “mordere” lo spettatore e un po’ di politica (la quinta puntata da questo punto di vista è abbastanza sorprendente, anche per come la trama si impenna alla Game of Thrones) e dei primi prende gli ormoni e le limonate dure ma sostanzialmente caste (a differenza dei primi episodi della prima stagione del già citato Game of Thrones, dove si faceva sesso senza ragione. Cioè, ragioni per fare sesso ce ne sono in realtà di sufficienti nell’atto stesso, ovviamente, ma nella fiction la tradizione vuole che ci sia un motivo quando succede qualcosa, e in quella serie si trombava tanto e a gratis, dal punto di vista della trama.
Il vero peccato mortale, considerando la struttura delle storie, è il loro essere vecchie: nell’epoca di Netflix i cliffhanger non hanno più senso. La serie tv settimanale, in cui l’eroe era appeso alla scogliera per la punta della dita, prossimo a una fine drammatica, aveva bisogno di questo meccanismo retorico per spingere lo spettatore a sintonizzarsi anche la settimana dopo sul canale e vedere come si risolveva la cosa. E si risolveva come una bolla di sapone che scoppia: in trenta secondi l’eroe si salva sempre e poi si parla di tutt’altro, perché ogni episodio deve essere in realtà autoconclusivo e l’arco della storia con il segno più marcato è quello della singola puntata, mentre la stagione è segnata con un filo sottile, praticamente un lapis quasi invisibile.
Netflix e comunque un consumo delle serie televisive basato sul download istantaneo di tutta una stagione ha completamente cambiato questo approccio. La serie televisiva è diventata più simile a uno sceneggiato, fatto di una decina di puntate in media (sono le sitcom come The Big Bang Theory ad avere 25–30 puntate di venti minuti effettivi a stagione), e per questa ragione non ha più senso il cliffhanger. Per questo non finiscono con un cliffhanger le puntate di House of cards oppure di Sense8 (quest’ultima non mi è piaciuta) e prevale invece la logica del capitolo di un libro o del volume di una saga.
Su questa base strutturale ecco che pare chiaro che The Shannara Chronicles parte già vecchio. Sorprenderà la sua storia, la caratterizzazione dei personaggi, lo sviluppo degli ambienti, certe soluzioni stilistiche, ma l’impianto è segnato da questa impostazione decisamente datata. Peccato. E peccato anche che il trattamento sia - almeno per ora - così tristemente adolescenziale.
28.1.16
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