La sostanza è notevole: prendendo spunto dalla fioritura dei ciliegi in Giappone, una delle civiltà che ha evitato di recidere il suo legame culturale con la natura (seppure notevolmente complesso e sicuramente trasformativo, come insegna l’ikebana e l’idea stessa che la natura debba essere comunque “riordinata”), l’autrice affronta un tema cruciale. La trasformazione dell’ambientalismo in veicolo globale vuoto di quei valori e dimensioni locali che non solo lo rendevano lirico ma anche emotivamente più comprensibile oltre che razionalmente condivisibile. Intrigante lettura.
Money quote: “Political environmentalism has learnt to take a functional view of nature, turning a blind eye to cultural values such as beauty and to aesthetic practices such as hanami. In striving to establish an impartial, globally consistent means of gauging nature’s value, local forms of environmental imagination have been relegated to the work of poets. Nature is viewed as systemic and quantifiable, neither mysterious nor resplendent. In an overburdened world, this is how we have come to debate the comparative significance of habitats and organisms: as ecosystem services.”
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