IN QUESTO MOMENTO, mentre scrivo, sto salendo una salita faticosa. Ho i piedi doloranti, è sera, ho camminato troppo: non è la salita ad essere ripida - anzi decisamente non lo è - ma la fatica a pesare insieme a un certo senso di spaesamento. Sembra di camminare su per la Quinta strada, con l'angolo di Central Park che si apre all'improvviso e all'inizio non si riesce a capire quanto sia grande il giardino che si apre un po' di sbieco davanti agli occhi.
In realtà sto camminando nella direzione opposta, con la stanchezza di una giornata addosso e all'improvviso la sorpresa di superare un giardino più piccolo ma più aperto, circondato da palazzi, strade, qualche torre più che non grattacieli. Le piante, gli insetti, persino le auto e i passanti sembrano alieni in questa Sydney di più di un anno fa. La strada per tornare verso l'albergo è ancora lunga, anche un po' incerta e poco cartografata: tra breve prenderò un taxi. Prima, però, indugio a guardare le false collinette del giardino, gli alberi alieni e ben potati, l'erba regolare, i primi fari e lampioni che si accendono.
Il senso di felice spaesamento, dolce come una droga, lo provo ancora fortissimo mentre scrivo sul divano, un anno dopo, con la mente improvvisamente ingabbiata là, per pochi attimi ancora. Era la metà di ottobre del 2003.
6.1.05
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