IL NEW YORK Times presenta una lunga (lunghissima) analisi del mercato televisivo, del suo impatto sulla società e della necessità di meglio misurare l'ascolto. Osserva, il quotidiano della costa Est, che nel moltiplicarsi di forme e canali (digitali) nuovi di trasmissione, i vecchi sistemi di misurazione dell'ascolto (fatta da Nielsen Media Research con metodologia che ha ispirato anche la nostra Auditel) non bastano più e apre a scenari nuovi, fantascientifici, che potrebbero segnare la fine della pax televisiva che vige tra produttori e inserzionisti pubblicitari statunitensi e - un giorno - anche italiani.
Per chiarire, ho trovato interessante questa frase, messa al termine di un ragionamento sugli effetti di una nuova metrica dell'audience i cui risultati potrebbero sovvertire quelli sino ad ora dati per buoni da tutti:
Change the way you measure America's culture consumption, in other words, and you change America's culture business. And maybe even the culture itself.
La considerazione di fondo è che il pubblico, anzi i pubblici (audiences) si stanno sempre più frammentando e che si frammenta anche il modello monolitico della fruizione televisiva grazie alla personalizzazione dei media e al loro crescente nomadismo.
L'articolo è firmato da John Gerner, che scrive spesso di Tv e altri media, ed è [caveat per i lettori] di una lunghezza adeguata al taglio del magazine del quotidiano newyorkese. Il tema mi pare assai interessante e mi spinge a formulare una domanda ingenua: quando accadrà che anche in Italia ad esempio il Corriere della Sera si ponga questo tipo di domande? Ovvero: se le porrà mai prima che il mondo sia già cambiato? Mi accontenterei di leggere anche la rifrittura in salsa italiana dell'articolo americano (come di solito capita sui nostri giornali)...
11.4.05
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