2.8.05

Mediate, gente, mediate...

PARTO DA UN presupposto: che la maggior parte di noi (praticamente tutti) non passi la vita a viaggiare, conoscere gente nuova tutti i giorni, leggere libri, fare indagini. Abbiamo tutti un lavoro, precario o meno (in qualche caso molto precario), oppure una occupazione di qualche genere. Abbiamo esperienze, idee, opinioni e anche sentimenti profondi. Ma viviamo in un'epoca in cui il mondo - inteso come quello che va più in là del nostro quartiere, della nostra città, del nostro Paese, dell'Europa e via dicendo - è una presenza tangibile nelle nostre vite.

Sappiamo cose che mille anni fa pochissimi sapevano, viaggiamo più delle generazioni che ci hanno preceduto, siamo abituati a pensare a posti che non abbiamo mai visitato come a luoghi familiari. Perché? Non solo perché ci sono state la radio, il cinema, la televisione e adesso Internet. No, prima ci sono stati i giornali e prima ancora i libri, i codici, i manoscritti. L'evoluzione (sociale) dell'homo sapiens è stata tale da far sì che il reale sia per noi ben più di quello che empiricamente (santommasamente?) abbiamo potuto toccare con mano. Ci crediamo, con assoluta dedizione, siamo in grado non solo di astrarre ma anche di raccontare e ricordare con tecnologie una volta cartacee, poi elettriche (magnetiche) e infine digitali.

Ci crediamo. Non solo per quanto riguarda i luoghi, le città e i monumenti. No, ci crediamo anche per quanto riguarda le persone, i discorsi, le idee, i simboli. Crediamo in una realtà complessa. Che conosciamo, che è la nostra vita e che riempie il nostro essere, tutte le nostre memorie ed idee.

Come la conosciamo? Attraverso una serie di mediazioni, di strumenti e tecnologie sociali che ci informano, fin da quando siamo bambini (ma anche prima, perché i nostri genitori sono fatti della stessa pasta di cui siamo fatti noi), che c'è New York, che Einstein era uno scienziato importante, che Hitler era brutto e cattivo, che la Cina è una terra remota ed esotica, che in Australia ci sono i canguri.

Ciascuno di noi ha la sua storia, le sue esperienze, i suoi orizzonti intimi, le sue sofferenze, dolori, gioie ed emozioni. Anche competenze. Ma è tutto impastato con degli orizzonti pubblici, con una conoscenza comune, ricca e frastagliata come i fiordi del Mare del Nord (mai stato, ma è come se ci fossi andato milioni di volte). Generazione dopo generazione passiamo i nostri testimoni a chi ci segue e nel farlo li arricchiamo con una serie di complesse stratificazioni. Com'è successo a chi ci ha preceduto e come sta succedendo a chi ci seguirà. Quest'opera sociale - non individuale - segue ritmi differenti e adesso rapidissimi a causa del famoso "digitale", della società della conoscenza, dell'impatto di tecnologie sociali sempre più veloci e pervasivi.

Insomma, viviamo al centro di una nube di mediazioni. Una nube che ha ridotto la realtà e le sue informazioni a uno spray, come la furia del mare contro gli scogli trasforma l'acqua salata in una nebulosa di microscopiche gocce d'aqua che si respira dalla costa, metà aria per i polmoni metà acqua sui vestiti e negli occhi.

Allora, mi chiedo, perché continuiamo a dire che la rete, Internet, apre prospettive nuove? Come se fosse "nata" nel vuoto pneumatico. La rete ci fa inalare più spray salato di prima, ci propone sapori nuovi, ma sono sempre mediazioni. Interattive, costruite su schemi diversi, con geografie di soggetti organizzate lungo assi differenti, ma sempre mediazioni. E, com'è stato per il mediatore professionista - il giornalista, lo scrittore, il regista, ma prima di loro anche altri, come il prete, il padre, il nobile, il mentore -, anche in questo caso si media. I nuovi soggetti che mediano, la "gggente" come noi, fanno la differenza? E' più importante il messaggio del mezzo? Oppure è sempre il mezzo ad essere il messaggio? Oppure la mediazione?

Perché la fanno tutti così semplice? Solo le rivoluzioni sono semplici. La vita, mai.

(Agli affezionati e innocenti lettori: scusate in anticipo il turpiloquio che segue. Questo post è come al solito garbato ma parte da uno sfogo - all'inizio solo interiore - contro i coglioni che parlano, parlano, parlano e si riempiono la bocca di rivoluzioni. Sociali o aziendali che siano, dal basso o dall'alto, di sinistra o di destra. Tutti "testimoni privilegiati dei tempi", tutti "oracoli", "visionari", "attivi", "nomadi digitali", con la testa piena di "progetti europei" e "brillanti concept". Tutti coglioni. Tutti pronti ad andare a insegnare a Scienze della Comunicazione, come dei McLuhan formato mezza sega ripiegabile. Tutti molto coglioni. Appassionati di messaggistica-digitale, video-arte-alternativa, musei-web-online-di-tendenza, rappresentazioni-multimediali-e-ipertestuali, ambienti-trend-e-cool-con-vernissage-aperitivo-e-cannino-annesso, collettivi-mediattivisti-rivoluzionari-sociali-comunisti, fighettame-intellettuale-razza-eletta-senza-sentimenti, relativismo-ideologico-basta-che-sia-gay-e-femminista-che-fa-già-figo-abbastanza-ma-poi-ti-tocco-il-culo-lo-stesso, cool-hunter-trend-setter-opinion-maker-cultural-seeder, community-evolutive-dal-basso-che-fanno-tanto-bene-alla-democrazia-digitale, immersi-nella-società-della-conoscenza-fino-all'anima(marcia) che rendono gli onesti manovali del marketing e gli austeri docenti di semiotica belli come le divinità pagane, al confronto. Idioti al cubo. Coglioni. Spero che l'aldilà preveda un esame d'entrata nozionistico, vecchio stile, arbitrario e pure un po' bastardo. E che vi condanni a usare Excel per l'eternità. Augh!)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Uhhm Antonio (ti chiami così?) non è mai molto bello sentirsi dare del coglione da un anonimo, ma le critiche mi interessano sempre molto.

Non mi ritrovo nella descrizione del "coglionetipo" ma se vuoi parlarne lasciando stare gli insulti mi interessa..sono su icq o msn.

Ciao :)

Marco