A OTTOMILA METRI di quota, sull'MD-80 di Alitalia, tratta Milano Roma, mi spavento. Alitalia ha "liberato" i posti, come un autobus qualunque: entri, ti piazzi sul primo sedile libero e lì stai. Per questo, tra un sessantenne incavolato con il prossimo che gli ha occupato il seggiolino e una signora in tailleur che si piazza lesta dal lato del finestrino, capita di vedere quel posto vuoto, lato corridoio tra le prime file, che stranamente nessuno ha occupato.
Un balzo, e ci sono: il posto è mio. Accanto, già legata con la cintura di sicurezza, c'è però uno scricciolo di bambina, sei anni appena. Mi guarda un po' sospettosa, la riguardo, le chiedo se il posto è occupato. Mi immagino: ci sarà la mamma dietro l'angolo. Lei mi dice, come fosse la cosa più naturale del mondo "no-no, è libero". Mi siedo.
Io sono l'omaccione in giacca e cravatta; lei, la piccolina con il suo zainetto in miniatura colorato e decorato di fantasie da prima elementare. Dentro, caramelle, biscotti, una banana e del té in bottiglia. E' surreale: intorno la crema dei pendolari italiani, quelli che il business li porta alle otto di mattina da Linate a Fiumicino a seguire le magnifiche e progressive sorti: dirigenti, avvocati, giornalisti, statali in missione, personaggi della tivù. L'età media è quarant'anni, ma giusto per quei due o tre ventenni che abbassano un po' il conteggio. Nessuno, tra i passeggeri o tra le hostess dell'aereo, fa attenzione a me e alla piccola. Il velivolo si muove sul tarmac, indugia, attende un po'. La bambina racconta seria che viaggia sulla tratta Roma Milano "da quando avevo tre anni", e che "la mamma ha un po' paura del decollo, perché soffre di vertigini". Io mi chiedo come mai nessuno ci guardi, nessuno faccia caso alla strana coppia seduta ai posti 5A e 5B. Un'ultima svolta e siamo allineati alla pista. Decolliamo.
Mentre l'aereo si sta arrampicando verso il soffitto di nubi che coprono Milano, piegando lentamente verso sud, forse per via dello stress, mi guardo intorno. Sono tutti persi dietro ai loro pensieri: nessuno fa veramente caso a noi due. Mi verrebbe da chiedere alla hostess: "Ma la vede anche lei la bambina, vero?". Siamo ancora legati e il pavimento ha un angolo innaturale, puntato verso l'alto. Le hostess non passano e sono costretto a tenermi dentro la mia improvvisa fobia.
A un certo punto la bambina si gira verso di me. Mi aspetto che dica qualcosa tipo: "Adesso inizia un lungo viaggio verso un posto lontano, ma non temere: ci sono qua io per accompagnarti" con voce roca e gli occhi ribaltati all'indietro. Invece sospira e si lascia uscire un tiepido commento: "Sai che un po' di paura ce l'avevo anche io?". Facciamo amicizia. I genitori sono separati, la mamma sta a Milano e non vuole più vedere il papà, a nessun costo. Di prendere l'aereo, poi, neanche se ne parla. Per questo motivo è diventata, controvoglia, una pendolare dei cieli.
Leggiamo - avanti e indietro - mezza rivista Ulisse, il "dono" di Alitalia per i suoi passeggeri. I bambini, si sa che si adattano, e lei è una signorinella ben educata e per niente capricciosa (anche se io avrei preferito dormirmela, quell'oretta). Ci raccontiamo storie, il signore imbarazzato e la bambina più grande della sua età. Indimenticabili le "macchine piccole come formichine" e le case "grandi così" (e le ditina, pollice ed indice, si avvicinano che quasi non ci passerebbe un foglio nel mezzo), tanto che presto la sottile paura delle bambine di Shining scompare e lascia il posto a un po' di tristezza: non è una bella la vita di quella bambina. Penso: io sto andando a Roma tutto spesato, ho pure l'autista col Mercedes nero che mi aspetta giusto davanti alla pensilina dei taxi, subito fuori gli Arrivi, per portarmi al Campidoglio. E lei? Che vita, poverina: sballottata tra i due poli di un amore finito...
Arrivamo, la aiuto a vestirsi, ha anche dimenticato il cellulare acceso (il cellulare a sei anni!) nella tasca del cappottino: si prende lo zainetto e in testa all'aereo la lascio nelle mani della hostess che l'accompagnerà... chissà dove.
A Fiumicino si scende sulla pista e c'è l'autobus che ci aspetta per andare al terminal, il solito torpedone snodato. Salgo, mi volto indietro e faccio in tempo a vederla, con la hostess impaludata nell'impermeabile blu lungo della divisa, che la sta accompagnando. Accanto alla ruota anteriore dell'aereo c'è parcheggiata una Thesis grigia, col lampeggiante sul tetto e i vetri dietro oscurati. Si apre lo sportello posteriore e la bambina scompare dentro, lasciandomi come un pirla sull'autobus, tra gli altri pendolari sfigati della Roma Milano, vestiti come manichini per fare il "business". Lei, mi piace pensare che non sia poi così triste, perché dopotutto è pur sempre la figlia di un Cesare di Roma.
3.3.06
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7 commenti:
Un bel racconto Antonio. Davvero....e ti assicuro che chi ha una figlia di appena 2 anni che sta imparando giorno dopo giorno a mettere insieme 3-4-5-6 parole che abbiano veramente un senso e scopre la meraviglia delle capacità di astrazione che possiede capisce perfettamente le formichine, le casine, e si vede davanti le due ditina frementi ma salde.
Sai forse Per Natale mi sono dimenticato di dirti una cosa....
Stiamo aspettando il secondo.....abbiamo ancora voglia di meravigliarci...di stupirci..
Un amico Fiorentino
Giovanni
Grande Dini.
Ottimo post.
Continua così e lascia perdere quei insulsi post di "orgoglio mac".
olà.
Kluz; sempre da Firenze.
Bello. Coinvolgente, commovente...
si veramente bello...chi sa dove la portava le thema grigia :-)
Sapessi io, che ero lì...
Mi ricorda il mio primo viaggio in aereo, avevo 5 anni e andavo ben più lontano di Milano e non avevo nessuna macchina grigia ad aspettarmi sotto l'aereo all'arrivo... Post bellissimo ma mi ha messo uan tristezza...
Ste'
www.elmundo.splinder.com
Oddio la figlia di Previti!!
:-)
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