28.3.07

Letteratura d'esclusione

MI SI E' accesa la lampadina solo stanotte. Pensavo ai telefilm. E mi chiedevo: come mai tutta una sfilza di nuovi prodotti - tra i quali la stupenda Battlestar Galactica che è appena giunta alla fine della sua terza stagione - si sta impallando? Per quanto se ne voglia dire, infatti, il problema c'è. Lost, oppure Desperate Housewives e vari altri che erano partiti con una potenza autoriale di tutto rilievo adesso annaspano negli ascolti americani, tanto da essere prossimi alla cancellazione o comunque ad un forte ridimensionamento. Ad esempio, Battlestar non vedrà nascere lo spin-off Caprica come serial ma, al limite, come film di due ore direttamente in Dvd, ma se ne produrrà invece uno dedicato alla serie regolare (sta succedendo anche per Stargate Sg1, fresca fresca di cancellazione) e poi forse si riparla di quarta stagione per gennaio prossimo.

Un discorso poteva essere quello già fatto qui - e autorevolmente criticato da Buroggu che come blog mi appassiona assai, anche se io rimango della mia opinione - circa l'arco narrativo troppo diluito dal successo che richiede un'aggiunta di nuove stagioni. Insomma, la sconfitta dell'originalità vincente attraverso la "serializzazione industriale" intesa come "salto dello squalo".

Orbene, miei prodi, l'illuminazione notturna è questa. Riguarda sempre il punto centrale di questa ondata di nuova serialità, cioè il fatto che sia realizzata a base di storie condite di elementi narrativi intensi e fortemente legati tra loro. In parole povere: romanzi a puntate con temi anche di attualità. E se l'intensità della storia, oltre che certe regie di tutto rilievo, catturano il pubblico, in qualche maniera nel medio-lungo periodo lo respingono.

Chi segue la storia, infatti, a un certo punto perde un paio di puntate e rimane tagliato fuori, perché è come se ti togliessero duecento pagine di un librone che stai leggendo: ti spiazza e non capisci più bene cosa succede. Idem per chi scopre la serie tardi, mettiamo alla seconda o terza stagione. Certo, potrebbe andarsi a comprare i Dvd (o scaricare tutto) e rimettersi in pari. Ma non scherziamo: mica è un lavoro. E quindi nonostante l'ottima partenza, pian piano queste serie tendono a escludere anziché includere nuovo pubblico. E svuotano letteralmente la loro audience, senza attrarne di nuova. Potrebbe essere una buona spiegazione? Perché il problema c'è, anche se magari si tratta solo di un cambiamento nella moda e nei gusti degli spettatori (e nelle tare di Nielsen, che pare faccia acqua tanto quanto Auditel).

2 commenti:

Unknown ha detto...

Non è che perdendo due puntate sia come aver saltato due capitoli,tutto sommato chi segue un serial si arrangia, registra,legge i riassunti , si fa mettere in pari dall'amico, il problema secondo me è che dopo un po' il romanzo ha da finire, bella o brutta vuoi quella piccola parola,"fine", "the end",punto a capo, ed hai voglia di cominciare semplicemente un altro romanzo..o di prenderti una vacanza..

vanni56 ha detto...

Trovo l'illuminazione molto illuminante. E il commento di paola maria ne e' conferma. Infatti lei parla di "chi segue un serial"... In fondo, una specie di lavoro. I grandi numeri sono fatti invece da chi di lavorare anche davanti alla tv proprio non ha voglia. Mentre concordo con lei sulla necessita' esistenziale di quella parolina: "fine". Dall'altra parte ci sono altri formati seriali (NYPD, ER, CSI, etc...) che grazie a una struttura differente non richiedono alcun lavoro, comunicano gli stessi messaggi "utili" sull'attualita' e, mi pare, non hanno problemi di audience.