8.3.07

Ogni scarrafone è proprio bello...

IN TOSCANA SI fa il vino. Credo che più o meno tutti lo sappiamo, anche se non è l'unica regione italiana e neanche - l'Italia - l'unico paese al mondo. E', quella della Toscana, una tradizione secolare e molto sentita: è difficile immaginare che alle tavole di Firenze, di Siena o di Arezzo si bevano vini "stranieri", come il Barolo, il Dolcetto, la Falanghina. Un "francese", poi, non ne parliamo. E, soprattutto, tertium non datur...

Mio padre, che è tutto fuorché un enologo o un esperto di vini, mi raccontava un po' di tempo fa che gli americani - ah, gli americani - ci stavano truffando da decenni. E' una storia che gli avevano raccontato anni prima e che si racconta, penso, ancora oggi. Eccola. In California, nella mitologica Napa Valley (praticamente un altro pianeta, per intere generazioni di nostri connazionali che evidentemente non hanno più seguito le orme di Amerigo Vespucci), era nato un grande consorzio di venditori di vini fatti con quelle uvacce che hanno da quelle parti. Innesti e ibridi tra strane piante locali e i nostri preziosi vitigni, trafugati con tutta probabilità dagli scaltri militari americani durante la Liberazione (in cambio ci hanno dato i letali parassiti del cipresso - che tanti lutti addussero - infrattati nelle mimetizzazioni delle jeep e dei carri armati).

Dài e dài, hanno cominciato a vendere il vinaccio prima negli Usa e poi anche fuori. Per farlo, diceva la storia, avevano scelto di chiamare il vino "Gallo", così, tanto per vedere di sfruttare l'universale appeal del ben più noto consorzio toscano Gallo Nero. Una furbizia da quasi cinesi (o da quasi italiani, ma noi queste cose non le facciamo più da tempo, giuro!).

Insomma, un bel giorno una delegazione di avvocati prezzolati dai grandi marchesi, conti e messeri dell'uva toscana era andato sino nella Napa Valley a dire a questi Cow boy di smetterla entro breve di sfruttare il marchio che suonava fin troppo simile a Gallo Nero, altrimenti le cause legali, i risarcimenti danni, le ingiunzioni della Corte, un mazzo tanto etc. etc.

Loro, però, racconta la storia orale tramandata all'ora di pranzo da desco a desco fiorentino, avevano fatto una cosa furba. Avevano detto sì-sì agli avvocati, ci rivediamo la settimana prossima e se ne parla meglio. Poi si erano scatafasciati a cercare questo vecchio immigrato italiano, oramai rincoglionito, tal Joe Gallo, e lo avevano usato come prestanome intestandogli ogni cosa. Cosicché, quando si erano ritrovati con i suddetti avvocati, avevano dapprima esibito l'uomo - anziano - e di seguito fatto accomodare il collegio legale del Gallo Nero alla porta. Il vino, si erano degnati di spiegare, ha l'etichetta "Gallo" perché lo fa il signor Gallo, ecco. E vediamo di non venir più a rompere le scatole alla brava gente, pare abbiano aggiunto lustrando i pistoloni che - si sa - nel West ancora tutti portano alla cintola.

Disdoro, sdegno, arrabbiatura. I lerci, anzi i lozzi americani stavano giocando sporco: se continua così un giorno - di solito a questo punto giurano gli aneddòfori - ce lo venderanno anche a noi, quel vinaccio che sa di fanghiglia. Non sia mai! Anatema, figlio (questo è il momento in cui la tradizione assume le forme e i contorni del monito) che tu ti abbeveri al frutto corrotto e falsificato del vino del West. Poi, a questo punto, a onor del vero l'ingenuo padre che ha tanto viaggiato ma in America non c'è mai stato, mi chiede a bassa voce però com'è, com'è questo vinaccio americano, con quel pudore e quella complicità che dai tempi del Paradiso perduto è stata sempre prodromo di epocali abbuffate e conseguenti bibliche cacciate.

Già, la fanghiglia americana. A parte che in realtà siano parecchio fruttati, per l'eccesso di sole e le terre grasse, quei vini là si chiamano "Gallo" perché Ernest e Julio, due fratelli nati in California da tal fu Gallo Giuseppe e signora Assunta, fondarono nel 1933 l'omonima ditta E&J Gallo, che nel tempo è diventata la più grande azienda vinicola al mondo, con 40 etichette, 4.600 dipendenti, vendite in 90 paesi, permettendo ai signori Gallo di mettere insieme un patrimonio di 1,3 miliardi di dollari. Ecco, Julio morì nel 1993, mentre Ernest è morto l'altro giorno alla tenera età di 98 anni. Lo scrive il Corriere della Sera, tra l'altro. Per fortuna mio padre legge La Nazione, altrimenti sai che botta...

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella storia, grazie.
E pensare che dove sto io in Spagna, nei pressi de La Rioja, la gente mi dice cose come: "Se non sbaglio, ANCHE in Italia si fa il vino, no?"
Se lo sa tuo padre...
E il mio che viene dalla zona dell'Aglianico :))

Anonimo ha detto...

Un po' marsalato il vino de La Rioja per i miei gusti

Anonimo ha detto...

a me piace molto il vino spagnolo pero' credo non freghi a nessuno! (e infatti mi chiedo perche' lo scrivo!)..ps. anche il pata negra mi fa impazzire!