NEL MESE DI giugno del 2000 Tea Due, i Tascabili degli Editori Associati, aveva finito di stampare uno strano libro di Michael Crichton. Lo scrittore americano - che era già "esploso" sia nel mondo che in Italia - lo aveva pubblicato in originale 12 anni prima, e la Garzanti lo aveva subito ripreso in Italia, pubblicandolo nel 1989, quando cadeva il muro di Berlino e il mondo sembrava scosso da tutt'altre tensioni che non quelle del nostro romanziere statunitense.
Il libro si chiama Viaggi, in originale Travels. A me Crichton piace, più o meno dello stesso piacere che mi danno John Grisham e qualche altro autore di best-sellers. Avevo a suo tempo palpitato per Scott Turow, per dire, il primo tra gli autori del moderno legal thriller che poi però si era "sgonfiato" lasciando il campo al più abile, organizzato e prolifico Grisham. Crichton, di cui avevo sentito parlare solo dopo Jurassic Park (il film, intendo, non il libro, che peraltro non ho mai letto) mi piaceva per una serie di motivi. Si legge facile ed è scritto con lo stesso "suono" che hanno le voci dei doppiatori dei vecchi film americani: senza accenti o inflessioni particolari, un po' sopra le righe ma veloci e dalle tinte espressive e chiare. Nel mio tempo personale, col ridursi dei momenti per la lettura e della capacità di concentrarsi e "macinare" testi difficili, Crichton è diventato quasi una certezza. C'è del razzismo o meglio della xenofobia, una certa macchinosità e la furbizia di chi "produce" romanzi uno via l'altro. Ma alla fine le sue sono macchinette narrative ben congegnate. Non sempre, però: rispetto ai Grisham che ho letto, Crichton è più irregolare, soprattutto meno convincente nelle chiusure. Ma, insomma, si fa leggere e viene via liscio e senza problemi. Non è poco, in un panorama letterario nostrano di autori devastati dal proprio ego, dalla piattezza negli intrecci e dallo sperimentalismo formale endemico se non cronico.
Poi, è arrivato Viaggi. Qui, veramente dipende. Perché il libro è strano: non è un romanzo ma una raccolta di scritti coordinati sulle sue esperienze di viaggio. Proprio per quel motivo l'avevo comprato (purtroppo è uno di quei libri sui quali non ho scritto la data d'acquisto come cerco di fare d'abitudine, cosicché non mi è chiaro quanti anni fa l'ho preso. Ma non sono poi moltissimi, se non altro perché è dalla fine del 2001 che viaggio per lavoro e ricordo distintamente l'associazione. Sarà stato il 2002, magari l'inizio del 2003) e forse proprio per questo motivo l'avevo archiviato. In effetti, per parlare di viaggi, ovvero, come scrive nell'introduzione lo stesso Crichton, Per molti anni ho viaggiato soltanto per me stesso. Mi rifiutavo di scrivere dei miei viaggi e persino di programmarli con qualche obiettivo utile.
Una bella dichiarazione, a cui fanno però seguito cento pagine di "Anni di medicina (1965-1969)". Spiazzante e anche un po' fastidioso. Poi, cominciano i viaggi veri e propri, dopo o anzi durante l'abbandono della medicina. Però, l'istinto mi diceva che il libro era abbastanza inquietante. Ma singolare. Insomma, da leggere nel momento giusto. Non mi sbagliavo.
Non voglio dire che non mi è piaciuto (o che mi è piaciuto), perché non è questione di giudizio. Il punto è che le 442 pagine vanno per così dire un po' per la tangente. Crichton costruisce una sua autobiografia itinerante, alternando parti di viaggio a parti di cose che bisogna definire come altre, anche se parlano sostanzialmente del suo rapporto con la scienza e poi con la ricerca spirituale, il "paranormale" e di nuovo il rapporto con la scienza. Sono tutti viaggi, per carità: fuori e dentro di sé, scoprendo che nell'una e nell'altra direzione c'è qualcosa rispettivamente di ciascuna.
E' un libro inquietante, però. Perché Crichton è un narratore scarno (pochi sono i dettagli, molti i fatti o i passaggi che poggiano le descrizioni sull'essenza dei fatti in corso) e fondamentalmente attento alla costruzione delle atmosfere psicologiche ed emotive. Solo che, da romanziere di grandi numeri, fare di sé un'autobiografia intellettuale, per quanto parziale, rende stereotipata la sua stessa identità. In qualche modo meccanica, come se il puparo si legasse corde e cordicelle per poi ballare una danza nuova ma sullo stesso vecchio palcoscenico dei suoi pupi.
I presupposti del suo viaggio, "l'esperienza di una vita" (scusate ma non riesco a non mettere tra virgolette "l'esperienza di una vita" quando lo scrivo, è una forma di pudore inevitabile), le psicosi, le donne, le droghe, il successo, la ricerca autodistruttiva del suo sé, la ricerca costruttiva del suo sé, sono come voci che vengono dosate e fatte intuire. Una parte del dramma dell'uomo, quella all'apparenza più genuina, è taciuta e traspare a prima vista indirettamente nel passaggio dagli anni della medicina alle successive 342 pagine. Ma, dando per acquisita la capacità di smontare e rimontare la macchinetta narrativa del suo libro, direi che è progettata tanto quanto il crescendo dei viaggi, il bisogno di un equilibrio che passa attraverso fasi diverse di una irrequietezza quasi manieristica. Alla fine, "la svolta mistica" (stesso problema di cui sopra per le virgolette e il pudore inevitabile) è quasi una misura del tempo in cui l'autorevolezza dello scrittore, direi quasi ogni singola briciola della sua capacità e reputazione, viene spesa per mascherare un fenomeno particolare che però è la cifra stessa della scrittura di Crichton.
L'uomo è un narratore dotato, senza dubbio. Ha intuizioni potenti e anche orecchio, direi. Non è la forma il problema, ma la sostanza. Cioè, il modo in cui si esprime, senza dubbio (se volete godere per come uno scrive, ecco, Crichton non è il vostro uomo, ma questo penso si sia già capito altrimenti non investirebbe tanto su storia, trama e intreccio né noi lettori sui suoi romanzi quando si va sotto l'ombrellone o ci si ferma su un prato alpino in quota). Però, alla fine, nonostante tutto, manca sempre qualcosa. Direi che manca, proprio alla fine, un sentimento di umana partecipazione. Come se la fantasia, il mondo potente evocato, la forza dei personaggi, alla fine mancassero di una degna conclusione e lasciassero così, sospesi. Troppo investimento nella costruzione di un meccanismo che spinga continuamente il lettore a formulare ipotesi, cancellarle, rivederle, modificarle, aggiornale, per poi non deluderlo alla fine. Troppo piccolo il mondo narrativo di Crichton, insomma. E troppo piccolo anche il suo mondo interiore, visto lo sforzo che fa nel raccontare se stesso anziché personaggi di fantasia per poi raggiungere lo stesso risultato.
Comunque, tra questo vecchio Viaggi e I barbari, continuo a preferire Crichton. Se non altro, il ragazzo ha del mestiere. E pinoli (secchi) al posto dei neuroni.
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1 commento:
Iniziai a leggere Crichton con il libro Congo. Non un buon libro, ma sufficientemente intrigante al punto di farmi continuare ad "esplorare" le altre opere dell'autore. Sfera, L'uomo terminale, Andromeda... fino a Jurassic Park, Sol Levante e Rivelazioni. Ecco, li, su quest'ultimo mi fermai; aveva tradito la mia fiducia di lettore... libri che prima si tramutavano in film, ora nascevano come copioni.
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