28.7.07

Il mestiere del dottore

SEGUO PER UNA giornata un amico che fa il medico. Al bar, la mattina, comincia finalmente a rompere il ghiaccio con la cameriera: come va, come sta, che bella giornata, e lei che fa? Lui a questo punto lui tentenna: già lo sa cosa sta per succedere. "Faccio il medico", azzarda. "Ehi, che bello, che mito, il medico, dai, fantastico. Anche io volevo fare il medico. Sa che mi piace tantissimo? Do un sacco di consigli agli amici, è un mestiere fantastico. Salvare le vite umane. Anche io vorrei fare il medico".

Si inserisce un altro avventore: "Certo, il medico è una gran professione. Chissà quanta gente ha curato. Nel mio piccolo io ho fatto alcuni anni di pratica medica, per un piccolo studio di periferia. Lavoravamo su casi semplici, medico di quartiere, eh, non mi fraintenda". Il vecchio avventore panciuto, quello che sta in un angolo, sempre vestito in maniera elegante e non più bello, non più giovane, osserva come parlando a se stesso: "Medico degli animali. Non bisogna dire veterinario. Sono medico degli animali. Un medico degli animali è più bravo di un medico degli umani, perché deve conoscere la fisiologia di molte più creature. È più complesso, più difficile. Non siamo medici di serie B. Siamo medici degli animali, di tutto il creato".

La giornata procede tra visite a pazienti, anche quello un esercizio un po' paradossale. Si sa, a meno che non stiano proprio male, la maggior parte si sentono un po' medici anche loro. E i loro parenti. "Io curo la gente, proprio come lei", dice uno seduto al capezzale della figlia ammalata. Un altro dice: "Sono un ex medico. Non ce l'ho fatta a passare il numero chiuso della scuola di medicina, ma continuo a dare farmaci e pillole un po' da tutte le parti. Gratis, ovviamente, perché per me è una missione. Nella vita faccio lo sfasciacarrozze, ma non è un lavoro che mi soddisfi più di tanto".

Commenta il mio amico medico: "Lascia perdere gli anni di medicina, il giuramento di Ippocrate, il sacrificio personale che ci vuole per fare il medico in un mercato della sanità che ci tratta come i barellieri degli anni Cinquanta, la politica da tutte le parti che uccide i tuoi sogni da ragazzo, i Baroni dell'università e delle cliniche private e degli ospedali. Il fatto è che da qualche anno a questa parte tutti si sono messi in testa di fare i medici. Il confine è labile - aggiunge il mio amico - perché tutti qualcosa capiamo e diamo una mano agli altri, se serve un consiglio su come curare il raffreddore, ma qui si sta cominciando a esagerare. Ho visto l'altro giorno tre ragazzotti con le mani unte in una clinica da campo, montata in una tenda da campeggio nel mezzo della piazza del duomo, ricevere pazienti, somministrare trattamenti, dare medicine, praticare operazioni. È un mondo all'incontrario".

Il mio amico corre come un matto, va a destra e a manca. Si danna per due motivi: segue la passione di una vita (perché dopotutto il mestiere del medico lo fai non per diventare ricco - anche se qualcuno ricco ci diventa e si potrebbero anche discutere i modi) e cerca di mettere insieme i soldi necessari a campare. "La parte più difficile - osserva - non è il lavoro, che alla fine si può ovviamente imparare a fare, ma è resistere alle pressioni: come medico prescrivi un sacco di farmaci, e non ci vuole niente per diventare un rappresentante delle case farmaceutiche, uno che prescrive sempre quella marca di medicina. Stare dalla parte del paziente è sempre più difficile".

Un particolare che colpisce, visti i costi di avere un medico nello staff, è la politica degli ospedali e delle case farmaceutiche. I primi tengono oramai in pianta stabile gruppetti di medici-pazienti nel cortile del nosocomio, alcuni addirittura gli danno un'ala un po' dismessi. Portano nuovi pazienti, dicono gli amministratori. Fanno solo cosette semplici, mica operazioni a cuore aperto, dice un vecchio primario paffuto e sorridente. E le case farmaceutiche hanno capito che con i medici-amateur possono fare di tutto, anche cliniche tematiche dedicate a un singolo farmaco. "E la cosa più stupenda - aggiungeva un vecchio direttore generale di una multinazionale svizzera - è che non li devi neanche pagare! L'unica cosa a cui bisogna stare attenti è che questi matti non si mettano di punta e comincino a dire che le tue medicine in realtà fanno male. Ma non è difficile stare con loro, dopotutto si ritrovano nei loro congressi di aggiornamento al bar: è pure divertente andarci a regalare magliette e bustine di analgesici che inghiottono come fossero Mentos".

Torniamo a casa la sera circondati da una nuvola di aspiranti medici, medici falliti, presunti medici, medici in erba, medici per caso, medici per hobby, medici per errore. "È naturale che ne veda tanti - dice - perché dopotutto mi muovo sempre dove ci sono le malattie, ed è proprio lì che si trovano questi strani tentativi di medici. Mi chiedo solo perché oggi tutti vogliano fare il medico. È questo che non capisco. Saranno mica diventati tutti degli ipocondriaci?".

Ecco, non la tiro in lungo oltre. Sostituite a "medico" il termine "giornalista" e agli altri il "blogger-giornalista", l'amateur. E rispondete a una domanda: ma perché cacchio volete tutti fare il giornalista, oggi? Non ci avete proprio niente di meglio da fare, non ci avete?

3 commenti:

Anonimo ha detto...

e poi c'è chi mette su famiglia

Antonio ha detto...

già, era meglio restare a casa con mammà tutta la vita

Anonimo ha detto...

mi ero fatto l'idea che non avessi figli