6.12.07

Riscoprire vecchie emozioni

IERI SERA AGHENOR registrava una intervista (al Giovane Autore!) dopo la chiacchierata che avevamo fatto a cena due giorni fa. Potenti mezzi di Skype, un po' di banda, tanta passione, la voglia di fare... podcast. Insomma, tutto normale. Ci salutiamo: "Ti mando il podcast appena l'ho finito", mi dice Stefano. Buonanotte, buonanotte. Passano un paio d'ore e - tak! - mi telefona: "Emergenza: un pezzo di intervista non è venuto. Ho premuto per errore il tasto due volte e non abbiamo registrato". Poco male: erano gli ultimi minuti, in trenta secondi rifacciamo il tutto (sempre Skype, sempre un po' di banda etc).

La riscoperta è stata emozionante: avevo 23 anni quando ho cominciato a fare il giornalista "sul serio". Ho cominciato con la radio. La radio è fatta di tre cose: conduzioni in voce (quello che legge i "gr"), quello che si precipita a fare le dirette ("Siamo qui davanti alla fiera del sedano e verdure varie") e quello che fa le interviste (quello, cioè, che mette il microfono sotto il naso alla gente). La prima cosa che ti dicono, o se non te la dicono la impari tu nel modo più duro, è che solo di una cosa bisogna essere sicuri: aver avviato la registrazione. Magari dieci minuti prima, chi se ne frega, poi tagli. Però se non registri niente, non hai niente da tagliare.

Stefano mi ha fatto tornare indietro nel tempo: a tutte le interviste – mi piace pensare che fossero le migliori - che non ho registrato: quella volta che ho pigiato "rec" ma non ho tolto la pausa al maledetto aggeggio della Sony, quella volta che non me ne sono accorto ma sono finite le batterie, quella volta che è finita la cassetta (avevamo le cassette, poi i Minidisc, poi i registratori digitali: tutto un mondo). Penserete: errori di gioventù, sarà successo le prime tre volte. Macché. L'ultima la devo aver fatta poco prima di venir via da Firenze. Allora sei fesso tu. No, siamo tanti ad essere fessi: tutti quelli che fanno radio.

Non fare la registrazione è il classico tra quello che ti può succedere alla radio: la fretta, la confusione, un po' di sfortuna, ci sono mille motivi. Soprattutto quando fai tre o quattro interviste registrate al giorno, 350 giorni l'anno (mica come nei giornali dove ponzi il pezzo per una giornata). Soprattutto quando si cambiava modello di registratore, per settimane se non per mesi si facevano degli arrosti micidiali (e a onore di Stefano, ieri lui aveva appena preso un software nuovo di pacca per registrare le telefonate via Skype). Insomma, sono tornato indietro nel tempo. Stesse emozioni, stessi batticuore, stessi rischi. Mi pare di capire che tra i blogger chi vuol fare i podcast audio non è differente da chi lavorava nelle radioline private degli anni Ottanta e Novanta: passione, voglia di fare, miliardi di errori che l'esperienza col tempo ti insegna a evitare. Che vuoi di più?

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Antonio, quando ero giovane, prima di "entrare fisso" alla rai, si diceva così allora, facevo il fonico per i servizi giornalistici o anche per il cinema. il mio terrore erano gli "scrosci" dovuti ai cavi o al contatto del microfono che strisca sugli abiti, nel caso dei collarini (col cavo, non radio), e che si fosse sempre il Pilot attivo, sì, quel segnale che la cinepresa invia al registratore, in modo che audio e video rimanessero agganciati, quindi in sincrono. Altro che non registrare, se non registravi... cambiavi lavoro. :-)