Le mostruose creature marine si chiamano Kaiju, che in giapponese vuol dire "creatura mostruosa" e che è termine noto agli appassionati per i film di genere a partire da quelli con Godzilla negli anni Cinquanta e seguenti. Per rispondere, gli abitanti della Terra futura hanno creato dei giganteschi robottoni - chiamati Jaeger, cacciatore in tedesco - con dentro non uno ma due piloti uniti da un vincolo mentale che gli consente di sincronizzarsi, conoscere tutto delle rispettive memorie ed esistenza, e soprattutto riuscire a comandare i bestioni di 88 metri.
La trama è una conseguenza abbastanza prevedibile di queste premesse: il viaggio dell'Eroe declinato in salsa fantascientifica. Ad essere intrigante è l'ambientazione e il suo presupposto: del Toro da vita ai robottoni giapponesi degli anni Settanta e Ottanta con una grazia e un'arguzia rara. Il film è talmente e smaccatamente un "divertimento" e un pasticciare di citazioni da essere quasi serio e funzionale a una poetica degna di un Tarantino.
Il vero capolavoro stilistico di del Toro però è di creare una materialità e una tematica, un sapore degli oggetti e del terreno, dell'acqua e della ruggine, che è diverso e superiore all'artificiosità fumettosa dei Transformers, film con il quale apparentemente ci potrebbe essere una affinità se non altro estetica. Invece, è proprio l'estetica ad essere profondamente diversa e più complessa, completa, a tratti debordante. La festa visiva di Pacific Rim sconfina nell'elogio di un mondo possibile, in cui l'impossibile convive con l'implausibile. Entrambi però fortemente legati da un senso di profondo, materiale realismo visivo. Secondo me, è un film che vale comunque la pena di vedere, se non altro per capire a che punto siamo arrivati nei filmoni di genere della fantascienza che si cita e comincia a citare sistematicamente l'immaginario della (mia/nostra) generazione.
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