DOMENICA CON UN po' di sole, Doonesbury e Garry B. Trudeau. In quello che a me sembra un re-run, se non mi sbaglio... Che ne dite?
28.9.14
23.9.14
Godzilla (2014)
NON PENSO SI possa dire in altro modo: è un filmone. Cioè, non cambia la storia del cinema, non ci fa scoprire un nuovo Steven Spielberg o un nuovo Harrison Ford (o un nuovo Michael J. Fox) , però è davvero un filmone. Ben fatto. Gonfio di effetti speciali. Con anche quel tratto un po’ lucido e spietato che non ci sta male. Ben diretto e ben interpretato. Bello lungo ma senza stancare. Tanta roba e di qualità costante.
La sorpresa è il protagonista: Aaron Taylor-Johnson (Ford Brody), che è un attore partito dal teatro con una certa profondità a cui la sorte ha assegnato un fisico e soprattutto una faccia perfetta per i film d’azione. Segue ottimamente Ken Watanabe (Ichiro Serizawa) che dà ancor più spessore al complesso. Gli altri sono tutti piacevoli comprimari, ben scelti e quasi perfetti (soprattutto Elizabeth Olsenn nella parte di Elle Brody, moglie di Ford, che ha la faccia disperata a sufficienza ma anche una presenza fisica esuberante: è gnocca e appassionata al tempo stesso). A un certo punto si scivola nella caratterizzazione ordinaria (l'ammiraglio con la faccia lunga e le espressioni scontate da leader in dubbio) ma ci può stare. Anche tra i marmittoni dell'esercito, no problem.
La storia rilancia da zero Godzilla, il buon lucertolone mutante, questa volta diventato un essere con una spiegazione scientifica più interessante - e relativamente meno incredibile nella classifica dell’incredibilità scientifica che caratterizza i film di Godzilla - e soprattutto il film ha portato finalmente onore a un franchising nippo-americano piuttosto logoro e devastato soprattutto dal Godzilla del 1998. Toei aveva detto che per dieci anni non ne vuol più sapere, i grandi produttori Usa si erano ben scottati le mani togliendosi di torno, così il colpo mancino ben diretto da Gareth Edwards (ha debuttato nel 2010 con Monsters da lui anche scritto) e ottimamente sceneggiato da David Callaham (suoi i tre film - uno in uscita - dei Mercenari-The Expendables, più altre cose fumettose del genere) ha riportato la “strana bestia”, il Kaijū nipponico preferito dai bambini di tutto il mondo, in pista a velocità notevole. E che partenza. Per evitare di spoilerare non vi dico di tsunami giapponesi, hawaiani, a Las Vegas o a San Francisco. Wow. Vi consiglio invece la visione con molto popcorn e qualche birretta.
21.9.14
I need a break...
E CHI NON ne sente il bisogno? Garry B. Trudeau in realtà se l'è (parzialmente) preso: scrive e disegna solo la tavola della domenica di Doonesbury, mentre durante la settimana vanno le repliche. Ma presto tornerà!
300: Rise of an Empire (2014)
LA REGIA QUESTA volta è di Noam Murro, che ha fatto due film in tutto (l’altro è Smart People) ma è psicotico bello duro e se possibile ancora più essenziale di Zack Snyder (il regista del primo 300 nel 2007). Corpi seminudi, un quantitativo di culturisti visti raramente tutti assieme, anche una spruzzatina di sesso, per ingentilire le cose (si fa per dire), e una scelta dei pantoni da paura. Tradotto: colori tiratissimi, immagini meno cupe e forse meno potenti del primo 300, ma altrettanto convincenti, se piace il genere.
Attori inquietanti: Eva Green (Artemisia) è al massimo e ha quel qualcosa di malato che... beh, che ci sta tutto; Sullivan Stapleton (Temistocle) è bello gonfio e peloso ma non è Gerard Butler (Leonida del precedente film), la povera Lena Headey (la regina Gorgo) ormai è schiacciata dal suo ruolo in Game of Thrones e non funziona più da nessun'altra parte (ti aspetti sempre che si rattristi e cominci a insultare il fratello nano), mentre Serse è quel fenomenale personaggio alieno (nella versione pelata) dell'attore brasiliano Rodrigo Santoro, ex divo delle telenovelas, che fa tanto Stargate (il film del 1994, intendo).
Tratto dall'opera fumettara Xerses di Frank Miller e della moglie, Lynn Varley (che fa anche la colorista), è ancora più acido in molti suoi passaggi del fumetto e si muove attraverso l’arco di tempo del primo film: alcune cose accadono prima, altre durante e altre dopo. Strano. Tanto che questo tipo di film a hollywood pare li chiamino “Midquel”, per dare l'idea che non sono dopo (sequel) ma neanche prima (prequel). Pensa te.
La pellicola regge bene la sua ora e mezza ma non ha la carica distruttiva del primo film, oltre a far rischiare la bocciatura a chi volesse studiare la storia degli antichi greci: Temistocle non ha ucciso Dario, Artemisia non è morta a Salamina, la battaglia navale fu vinta grazie alla strategia di Temistocle e non all’arrivo degli spartani, che comunque erano quattro gatti e non somigliavano ai navy seals di Frank Miller o ai mirmidoni di Brad Pitt). E varie altre cose. Però è uno di quei film che dal punto di vista visivo va guardato. La firma di Murro sono gli spruzzi densi e quasi neri di sangue durante le tagliate mortali di spada: bravo che non li fa sembrare tutti ninja o fratelli del gladiatore.
20.9.14
Noah (2014)
NEL CASO NON si fosse capito, Noah è il nome inglese di Noé. L’adattamento del pezzo dell'Antico Testamento (Genesi 7 1-24) fatto da Darren Aronofsky, che è un regista con numerose turbe psichiche testimoniate da vari altri film tra cui Pi, Requiem for a Dream e Black Swan, senza contare la baracconata di The Fountain, anche questa volta ha fatto centro. Il suo analista sarà contento. Un po’ meno le comunità ebraiche e quelle cristiane fondamentaliste, più l’Islam intero, che trovano il film orrendo.
Raccontare la storia del diluvio universale in un’ottica del disegno intelligente (quando la creazione incontra l’evoluzione) senza scivolare in un pantano è difficile. E infatti Aronofsky non ci riesce. Scivola e annega. Aiutato dai pesi morti di Russell Crowe (Noé), Jennifer Connelly (improbabile nobildonna californiana piena di palestra e diete vegane proiettata in Medio Oriente come la moglie di Noé Naameh), ed Emma Watson (Ila). Gli altri sono solo comparse, inclusi e soprattutto Ray Winstone (Tubal-cain) e Anthony Hopkins (Matusalemme). Da scappare a gambe levate, anche perché il film ha ambizioni e soluzioni di regia cercate, con giochi visivi gradevoli, scene potenti, immaginari deliziosi. Peccato raccontino la storia del diluviuo universale. Bah.
18.9.14
Edge of tomorrow (2014)
MEGLIO CONOSCIUTO ANCHE come "Live. Die. Repeat.” (ma poi la produzione Warner ha deciso di mollare il colpo e fortunatamente scegliere un titolo più palatabile) è un film com Tom Cruise. E quando uno dice “un film con Tom Cruise”, ha sostanzialmente detto tutto e potremmo chiudere qui, passando ad altro. In realtà qualcosa si può dire.
È un film di fantascienza, super-produzione diretta da Doug Liman, regista versatile (ha lanciato Vince Vaughn, e ha diretto il primo The Bourne Identity e prodotto gli altri due) e nato con ambizioni autoriali (che si vedono più che altro nella lentezza con cui realizza i suoi film: forse ci terrà ad avere un buon bilanciamento vita-lavoro), che tiene insieme un quintale di effetti speciali con alcune finezze, una sceneggiatura non banale e un cast fondamentalmente avvitato attorno a Tom Cruise e a Emily Blunt.
C’è una cosa di Tom Cruise che non manca mai di stupirmi: tutte le volte mi chiedo come faccia ad essere adatto un attore bassino, abbastanza banale e adesso anche di mezza età a fare sempre la parte dell’eroe. Cioè, Tom Cruise è il diretto discendente di Erroll Flynn, di Rock Hudson e di Cary Grant (almeno, se facesse un po’ più ruoli brillanti). Poi lo vedo, attaccato come una cozza allo scoglio durante la tempesta, che spinge come un matto per riuscire a girare tutte le scene sempre al meglio, a saltare sempre più in alto, a usare uno stuntman in meno quando può, che alla fine capisci che incarna la protervia, la testardaggine, la volontà che la vince sulle altre qualità innate. È uno normale ma sgobbone e si vede, per questo ci piace: pensiamo che se facciamo fatica ce la facciamo anche noi. Poi fa fatica solo lui, e questo ci basta e ci è di consolazione.
Ok, basta meditazioni sugli attori. Il film. Begli effetti speciali, trama sufficientemente profonda da reggere un Urania degli anni Ottanta. Gli alieni hanno invaso la Terra, l’offensiva militare “ultima speranza” sta per essere scagliato e lui combatte brevemente e muore. Per risvegliarsi la mattina stessa, e ricominciare da capo. Non è un sogno, ma un loop temporale causato dai nemici. C’è anche la bella Emily Blunt, la sergente Rita Vrataski che è diventata l’Angelo di Verdun (una specie di Giovanna d'Arco senza cavallo e decisamente vestita) dopo aver sconfitto con spadone da manga tonnellate di nemici, perché anche lei dotata - e poi non più - del magico potere rubato agli alieni. Che sarà anche il meccanismo con cui sconfiggerli. E poi ci porterà a un divertente susseguirsi di picaresce avventure in cui il montaggio fa da cucitura per i salti di linea temporale. Divertente, non banale ma neanche complicato, impacchettato di azione e con pochi o nessun mezzo tono: è tutto o bianco o nero. C’è la storia di redenzione, quella d’amore, il paradosso spaziotemporale che ti fa sempre pensare, l’etica del sacrificio, il gruppo e via dicendo.
Cosa volete di più?
Ah sì, che gli alieni vincano… Ma questo, purtroppo, nei film con Tom Cruise non succede mai, a meno che l’alieno non sia lui. E, a dire il vero, alle volte un po' alieno sembra.
14.9.14
7.9.14
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