VIVO IN UN mondo dove tutti parlano in continuazione di innovazione, creatività, start-up, silicon valley e via dicendo. Ci vivo da quindici anni. Mi sono anche un po' logorato, soprattutto adesso che (per la terza volta) l'onda lunga dell'ideologia del Progresso declinata sul lato digitale è tornata a saturarci la vita.
Ci sono intere riviste e giornali, siti e carriere (inclusa la mia, se vogliamo chiamarla carriera) costruiti su questi presupposti: innovazione, creatività, start-up e via dicendo. Un mondo che urla tutti i giorni l'eccezionalità sino a fartela diventare normale, sino a che non si comincia a credere che la cosa importante, da cercare e seguire, siano le suddette start-up, al fine della innovazione e della creatività.
Qualità queste ultime che, assieme al fatto di essere giovane, non sono misurabili (come fai a misurare la creatività?) e che tutti possono pensare di avere? Chi può smentirmi se dico che sono creativo? Chi può smentirmi se dico che il problema è che la società italiana vecchia e bloccata non mi consente di portare avanti le miei idee, la mia start-up interiore di cui sono l'unico CEO, perché i vecchi mettono i bastoni tra le ruote e in Italia l'unico peccato che nessuno ti perdona è avere successo etc.
La parte difficile, gli allenamenti quotidiani durissimi del fantasista del pallone, del tennista estroso, nessuno li considera mai. Non fanno notizia neanche al cinema: quando c'è da lavorare nei film di solito cessano i dialoghi, parte la musica e si va di montaggio. Lavorare fa fatica. E per di più è anche misurabile. Perché sono misurabili i fatturati, i ritorni sugli investimenti, la capacità di strutturare e far crescere il business e via dicendo. Se sono misurabili, si vendono male, mentre il mercato vuole comprare e vendere in condizioni di asimmetria informativa parziale o totale (in questo caso si chiama incertezza e serve per dare la speranza che una cosa che compri a 5 poi domani vale 10 e ci guadagni).
In sostanza, si va sul mercato con talento e innovazione e creatività e capacità di adempiere a vincoli burocratici per far vedere che si vale anche nelle procedure (ma servono solo a fare piani marketing che veicolano talento e innovazione) con quella impossibilità a sapere se la cosa che si sta realmente facendo ha senso oppure no, se venderà oppure no, se funzionerà oppure no. Questo serve a trasformare una azienda, una start-up, un produttore di cose in un titolo vendibile e comprabile sul mercato, a rendere l'industria una cosa della finanza (che fa meno fatica, è più veloce e non richiede idee particolarmente geniali di per sé).
Ecco, lungo rantolo introduttivo per parlare di un'altra cosa che è la conseguenza di quello che dicevo sopra. Questo articolo che stavo leggendo poco fa. Parla dei computer indossabili, la grande frontiera degli orologi intelligenti e degli anelli senzienti e degli abiti dotati di personalità giuridica e delle scarpe che parlano e si allacciano da sole, i braccialetti che contano quanti passi hai fatto e se mangiavi oppure dormivi e tutto il resto, compresi gli occhiali da deficiente che ti danno quel qualcosa di Terminator che altrimenti non potresti avere.
Un ambito in cui girano soldi, in cui tutto questo gran giro viene tradotto in finanza, spacchettato, rimpacchettato, comprato e venduto. Quel che manca, è il prodotto.
Money Quote: That observation is strengthened by research from Endeavour Partners in the US, which found that one-third of American consumers who have owned a wearable product stopped using it within six months. What's more, while one in 10 American adults own some form of activity tracker, half of them no longer use it.
So what's the problem with smartwatches and fitness trackers? Are they just too early? Or is it something more fundamental?
2.4.14
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2 commenti:
È vero, siamo umani, non macchine. Anche io guardo alla tecnologia con grande interesse, ma avallo solo quella che ci migliora la vita.
E i google Glasses, tanto per fare il nome più famoso, sono ben lontani dal migliorare la mia, di vita.
Direi proprio di no! :-)
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