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DOPO QUATTRO ANNI che entro dentro il Virgin Megastore di San Francisco, salgo al secondo piano e con passo affrettato arrivo d'appresso alla scaffalatura dei Dvd tratti da serie televisive per fermarmi incantato davanti a
Shogun, il mitico sceneggiato Tv in dieci puntate con Richard Chamberlain (
Uccelli di Rovo e prim'ancora
Dottor Kildare), tratto da uno dei romanzi di James Clavell, adesso tutto è cambiato.
Amo con passione Clavell, quasi quanto amo Gary Jennings. Che volete farci, sono un romanticone nato a cavallo di un mondo in trasformazione, tra analogico (in cui era la quarta di copertina a fare il mistero di un libro) e digitale (in cui una giratina su Wikipedia ti sommerge di strane informazioni altrimenti sconosciute e ti aiuta a rimettere ordine nelle bibliografie), come una rivoluzione inarrestabile e imprevista.
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Mentre Jennings è stato un amore che inizia molto lontano – avrò avuto al massimo 13-14 anni quando misi le mani sul primo volume che ho letto,
l'Azteco –, Clavell tutto sommato è arrivato dopo, nel pieno dei miei vent'anni, ma con altrettanta e devastante forza. Medio Oriente, poi Estremo Oriente, Hong Kong, Shanghai, il Giappone dei samurai. C'è tanta delle mie luci e dei miei colori nelle tavolozze di questi due scrittori.
Quindi, il desiderio di vedere
Shogun, che trasmisero senza neanche tanto successo dalle nostre parti è stato forte per più di un decennio. Negli Stati Uniti ha segnato l'inizio di un'epoca e la riscoperta di una cultura, quella tradizionale giapponese, che se non altro ha segnato la comparsa del sushi e del sashimi nella dieta dei manager di Wall Street e del bushido - l'etica dei samurai – nelle pratiche di business di tanti uomini d'affari un po' cocainomani ma di sicuro determinati.
E' una storia e un intreccio culturale che ha un sapore particolare per noialtri nati in Italia a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, perché il nostro gusto è costruito sull'etica e l'estetica degli anime e dei manga, anche se allora non sapevamo ancora che si chiamassero così. La nostra scoperta, quantitativamente forse più limitata per giro d'orizzonte culturale rispetto ai nostri padri, è avvenuta però con un ritmo speciale: prima
imprinting di questi alieni con gli occhi a mandorla, poi curiosità e crescendo voglia di saperne di più, che si sono accompagnate alla nascita di un mondo in cui le informazioni iniziavano timidamente a fluire da un posto all'altro. Siamo cambiati, la nostra immagine del Giappone è cambiata e forse, come i bambini che crescono in un mondo che si restringe, non siamo mai stati in grado sinora di valutare sino in fondo quanto riguardasse solo i nostri casi personali e quanto invece fosse un evento collettivo.
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Ecco dunque il mio
shogun, frutto proibito che immaginavo sepolto, quelle poche volte negli anni che si è affacciato alla mia coscienza, nelle teche senza fondo della Rai, come
Nausicaa di Hayao Miyazaki. Ma mentre Miyazaki è riuscito ad emergere parzialmente grazie al suo crescente successo (no, non
Nausicaa, l'anime mitologico sepolto
ad infinitum chissà dove nelle teche e tra i papiri degli avvocati e delle norme sul diritto di replica),
Shogun era tramontato, come era tramontata l'epoca pionieristica in cui lo sceneggiato tivù si era fatto miniserie e poi telefilm con un arco narrativo teso e costante. Ma di
shogun, il mercato dell'aftermarket televisivo nostrano non ne voleva sapere niente.
Ecco dunque il mio cruccio, l'assillo entrando nel Virgin Megastore di Market Street a San Francisco nel rivedermelo lì, sullo scaffale, eternamente separato da una codifica (area uno, Ntsc) avversa alla nostra (area due, Pal), che a meno di trucchi rischiosi nella trasformazione di un lettore Dvd risultava impossibile da raggiungere.
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Poi, un mattino di una decina di giorni fa, l'illuminazione. Due pensieri separati per quasi un lustro si sono improvvisamente incontrati tra le orbite della mia mente. Dvd e P2P. Cioè, me lo sono scaricato. 12 gigabyte di roba, per essere precisi. E fanculo al copyright, me lo sto guardando. Chi siete per dirmi chi devo essere, cosa posso e cosa non posso sapere? E soprattutto, chi siete per dirmi cosa posso guardare e cosa no?
Insomma, l'ho trovato, l'ho scaricato e me lo gusto. Per la lunga coda di Anderson sono uno dei pochi che avrebbero potuto popolare una nicchia: è un'occasione persa per chi poteva vendermelo (magari a un prezzo accettabile) e invece non ha avuto l'intelligenza per accorgersene. E io affogo tra le sete della casa del pilota, Hangin-san, come lui, vinto dalla passione di un sogno che si dispiega sotto i miei occhi, della guerra, dell'amore impossibile, dell'esotico. E un solitario pensiero, una voce lontana ma chiara si leva nella mia mente. Censuro cosa dica, ma l'idea è quella. Mi avete capito, no?