FILIPPO, CHE COMMENTA sovente su questo Posto, è a Santa Monica, nella California più californiana. E come doveroso per chi si trova a spasso negli Usa durante il rush di ieri sera, ha mandato foto: l'assalto alla diligenza dell'AppleStore. In palio: la possibilità di acquistare un iPhone, of course.
Invece, come avevo previsto, c'è subito chi lo ha comprato solo per smontarlo e mettere video e foto su Internet. A questo giro, sono stati in parecchi: date un'occhiata a questa, tanto per capire il genere...
30.6.07
29.6.07
Aspettando l'iPhone... (no more!)
STANOTTE ARRIVA! MENO male, non se ne poteva più. Per un ultimo pensiero bello, questo pezzo (anche per la diretta) e qui sotto il video di David Pogue del New York Times
Gente che non guarda la televisione
NON VOGLIO DIRE che io la guardo poi tanto, la televisione. Anzi, quella italiana proprio non l'accendo nemmeno da lungo tempo. Ma confondere i programmi di infotainment statunitensi per "un telegiornale" mi sembra un po' gravino. A seguire questo articolo del Corriere dedicato alla signorina Paris Hilton e alla giornalista che si è rifiutata di leggere le notizie, ditemi cosa capite:
«No alle news sulla Hilton prima dell'Iraq» -- Una giornalista della Msnbc si rifiuta di leggere la notizia sull'ereditiera. Il video è ora un tormentone web -- La motivazione: «Il nostro telegiornale non dovrebbe cominciare così»
Si legge nell'articolo:
Tutto è accaduto sulla rete televisiva americana MSNBC durante il programma televisivo "Morning Joe": nel video si vede la giornalista Brzezinski che dopo aver salutato i telespettatori comincia il telegiornale presentando le notizie nazionali. Ad un certo punto si ferma e esclama: «Io odio questa notizia e penso che il nostro telegiornale non dovrebbe cominciare così». Successivamente la Brzezinski accartoccia il foglio su cui è scritta la news della Hilton e tenta di bruciarlo, ma è fermata dal co-conduttore
Ora, per carità, non voglio esser pignolo. Ma a leggere l'articolo sembra quasi che si siano messi a litigare i due conduttori dell'edizione delle 13 del Tg nazionale ("Io la brucio questa notizia!", "No, fermati, pazza: chiamate la sicurezza, portatela via" e cose del genere). Si tratta invece di un siparietto all'interno di un contenitore tipo Uno Mattina in cui, tra l'altro, i giornalisti e il commentatore presente leggono anche qualche notizia da Tg. Infotainment, appunto. In Italia non c'è, magari è difficile spiegarlo per bene, ma far finta che sia il telegiornale (quello con la sigla, i titoli di testa e poi la conduzione ingessata stile Tg1 del 1980) mi pare un po' un'altra cosa...
ps: per infotainment non s'intende il modello italiano stile Striscia la notizia o le robe con i servizi su Padre Pio e le ricette di cucina in diretta con lo studio pieno di pubblico che applaude a comando, se non altro per riprendersi dalle quattro ore di pullman che dal Sud o dal Nordest li ha portati a Roma. Saranno anche delle bestie, gli americani, ma dalle loro parti i nostri dirigenti della tivù nazionale li avrebbero già mandati a spalare concime in campagna.
«No alle news sulla Hilton prima dell'Iraq» -- Una giornalista della Msnbc si rifiuta di leggere la notizia sull'ereditiera. Il video è ora un tormentone web -- La motivazione: «Il nostro telegiornale non dovrebbe cominciare così»
Si legge nell'articolo:
Tutto è accaduto sulla rete televisiva americana MSNBC durante il programma televisivo "Morning Joe": nel video si vede la giornalista Brzezinski che dopo aver salutato i telespettatori comincia il telegiornale presentando le notizie nazionali. Ad un certo punto si ferma e esclama: «Io odio questa notizia e penso che il nostro telegiornale non dovrebbe cominciare così». Successivamente la Brzezinski accartoccia il foglio su cui è scritta la news della Hilton e tenta di bruciarlo, ma è fermata dal co-conduttore
Ora, per carità, non voglio esser pignolo. Ma a leggere l'articolo sembra quasi che si siano messi a litigare i due conduttori dell'edizione delle 13 del Tg nazionale ("Io la brucio questa notizia!", "No, fermati, pazza: chiamate la sicurezza, portatela via" e cose del genere). Si tratta invece di un siparietto all'interno di un contenitore tipo Uno Mattina in cui, tra l'altro, i giornalisti e il commentatore presente leggono anche qualche notizia da Tg. Infotainment, appunto. In Italia non c'è, magari è difficile spiegarlo per bene, ma far finta che sia il telegiornale (quello con la sigla, i titoli di testa e poi la conduzione ingessata stile Tg1 del 1980) mi pare un po' un'altra cosa...
ps: per infotainment non s'intende il modello italiano stile Striscia la notizia o le robe con i servizi su Padre Pio e le ricette di cucina in diretta con lo studio pieno di pubblico che applaude a comando, se non altro per riprendersi dalle quattro ore di pullman che dal Sud o dal Nordest li ha portati a Roma. Saranno anche delle bestie, gli americani, ma dalle loro parti i nostri dirigenti della tivù nazionale li avrebbero già mandati a spalare concime in campagna.
Cattivo pensiero
IERI SONO ANDATO a Roma da Milano in aereo con AirOne e stasera (giovedì, anche se la data è quella delle due del mattino di venerdì) son tornato qui con la medesima compagnia. Sono un po' stanco: giusto il tempo di leggere un po' di cose in rete, scrivere questo e poi mi fiondo a letto. Tra le cose viste, infatti, mi colpisce l'idea che dopo l'abbandono da parte di Aeroflot si arrivi alla vittoria a tavolino per AirOne che infatti già fantastica di tagli ed esuberi, mentre io mi preoccuperi di che manager abbiano a disposizione. AirOne è un incrocio tra una low cost e un charter: sono molto carini ed educati, ma questo sono. Un po' come se Ryan Air si comprasse British Airlines (non che British o Alitalia in realtà non se lo meritino, da un punto di vista morale, di essere comprate da una low cost, per carità).
Il punto è che è saltato fuori che AirFrance ci starebbe ripensando. Che forse, magari, per caso, però adesso si potrebbe anche immaginare una fusione (dopo quella con Klm) che si mangi anche Alitalia. Beh, se uno guarda il piazzale dei voli nazionali di Fiumicino, si direbbe invece che ormai AirOne sia da tempo già entrata in Alitalia: aerei fianco a fianco, mescolati, tra un po' c'è il personale di terra che fa manutenzione indifferentemente sui velivoli delle due compagnie. Chissà, sono solo cattivi pensieri i miei.
Pensare che le aste possano essere tali (con più di un concorrente in sala) però temo sia stata solo una fantasia primaverile...
Il punto è che è saltato fuori che AirFrance ci starebbe ripensando. Che forse, magari, per caso, però adesso si potrebbe anche immaginare una fusione (dopo quella con Klm) che si mangi anche Alitalia. Beh, se uno guarda il piazzale dei voli nazionali di Fiumicino, si direbbe invece che ormai AirOne sia da tempo già entrata in Alitalia: aerei fianco a fianco, mescolati, tra un po' c'è il personale di terra che fa manutenzione indifferentemente sui velivoli delle due compagnie. Chissà, sono solo cattivi pensieri i miei.
Pensare che le aste possano essere tali (con più di un concorrente in sala) però temo sia stata solo una fantasia primaverile...
In pratica...
SI STA RAGGIUNGENDO l'orgasmo mediatico per l'iPhone. L'aspetto più rivoluzionari in termini di "quello che non sarà più come prima" (se quelli di Apple non hanno fatto errori e quindi non vanno a sbattere contro un muro) mi pare però un'altra cosa: stanno arrivando delle tariffe flat e "umane" per la connessione. Almeno, in America. (Non a caso questo alla fine è il punto sul quale Apple non riesce a trovare l'accordo con Vodafone per il mercato europeo: le vacche da mungere...).
26.6.07
Mannaggia la mannaggia
NO, NON SARO' negli Stati Uniti il 29. Ci sarei voluto andare, mi sarebbe piaciuto poter raccontare cosa succedeva nelle ore immediatamente precedenti e successive alla messa in vendita del telefono, ma non ci sarò. Sarò invece di rientro da Roma, dove il 28 modero uno spicchio di convegno che pare essere assai interessante, organizzato dal Pogas, che poi sarebbe il ministero delle politiche giovanili e attività sportive (quello di Giovanna Melandri). Si parlerà di innovazione, di creatività, di giovani. E' un impegno che avevo preso da tempo con piacere, però - mannaggia - l'istinto del cronista sarebbe quello di traversare l'Atlantico a nuoto...
Buon compleanno, Blade Runner
ESATTAMENTE 25 ANNI fa è cambiato radicalmente il cinema. E' infatti uscito il film di Ridley Scott, Blade Runner, che ha inventato dal niente il nostro futuro, o meglio il futuro del nostro immaginario. Un colpo potentissimo, le cui onde ancora non hanno finito di riverberarsi nel nostro presente.
Ci sono mille immagini possibili per cercare di evocarlo in questo post: dopotutto si è trattato dell'esperienza visiva per eccellenza della mia generazione, quella che lascia il segno e stabilisce l'altezza dell'ostacolo da saltare, della dimensione della siepe leopardiana davanti alla quale ci fermiamo ammutoliti. Se cercate su Google di immagini ne trovate a centinaia, e ognuna è una sorpresa: non potrebbe essere altrimenti visto quanto profondamente Blade Runner è infisso nelle nostre cortecce cerebrali. Però, devo dire la verità, per la mia estetica quella di Rachael, il pivot attorno al quale ruota la debole storia hammettiana in qualche modo strappata fuori dalle ossessioni di Philip K. Dick, è la più pregnante. E' l'immagine di un desiderio di sadica normalità avvolta dall'alone dell'ambiguità, comunque irrisolta nei due finali del film. E' la lucida, laccata, irrisolta ambiguità della mia generazione, raccolta quasi fino all'ultimo come i capelli di Sean Young.
Tra l'altro, solo grazie a questo film si dimostra tristemente l'insensatezza delle tesi di Johnson Steven e del suo libello Everything Bad is Good for You.
Ci sono mille immagini possibili per cercare di evocarlo in questo post: dopotutto si è trattato dell'esperienza visiva per eccellenza della mia generazione, quella che lascia il segno e stabilisce l'altezza dell'ostacolo da saltare, della dimensione della siepe leopardiana davanti alla quale ci fermiamo ammutoliti. Se cercate su Google di immagini ne trovate a centinaia, e ognuna è una sorpresa: non potrebbe essere altrimenti visto quanto profondamente Blade Runner è infisso nelle nostre cortecce cerebrali. Però, devo dire la verità, per la mia estetica quella di Rachael, il pivot attorno al quale ruota la debole storia hammettiana in qualche modo strappata fuori dalle ossessioni di Philip K. Dick, è la più pregnante. E' l'immagine di un desiderio di sadica normalità avvolta dall'alone dell'ambiguità, comunque irrisolta nei due finali del film. E' la lucida, laccata, irrisolta ambiguità della mia generazione, raccolta quasi fino all'ultimo come i capelli di Sean Young.
Tra l'altro, solo grazie a questo film si dimostra tristemente l'insensatezza delle tesi di Johnson Steven e del suo libello Everything Bad is Good for You.
25.6.07
Romano, stappane una di quello buono...
BISOGNA FESTEGGIARE: ABBIAMO appena rifilato al fesso di turno venti Atr72 (l'ultimo modello, il 500S, valore della commessa complessiva: 360 milioni di dollari; non è chiaro però quanti per Finmeccanica, che è partner della joint-venture con la francese Eads) con modalità dieci subito e dieci opzionati. A comprare sono quelli di Malaysian Airlines, scrive oggi il Corriere. Da notare che con questo contratto di Atr72/42 a giro per il mondo adesso ce ne sono più di 900. Per la precisione, informa Alenia, di Atr sino ad ora ha ne ha venduti 900 (416 Atr 42 e 484 Atr 72) e ne ha consegnati 730 (394 Atr 42 e 336 Atr 72), con un portafoglio ordini (venduti meno ordinati) di 170 aeroplani.
Su Wikipedia si dà ragione dei principali utilizzatori del velivolo, con grazia del rimando alla lista di 47 che ne hanno invece pochini. Come velivolo fa furore tra varie sottomarche di compagnie nazionali e vettori low-cost a corto raggio. Da noi piace a Air Dolomiti ed Alitalia Express (ho volato su questo apparecchio con entrambe le compagnie: sono esperienze che ti rimangono dentro).
Strano tuttavia che Malaysian Airlines abbia deciso di fare questo acquisto, anche se solo per le rotte interne a breve raggio (ha firmato il primo ministro malese a Villa Madama, davanti a un gongolante Romano Prodi), visto che è una delle pochissime "cinque stelle" (le altre sono Asiana Airlines, Cathay Pacific, Qatar Airways e Singapore Airlines) secondo il sistema Skytrax. Perché il problema è che gli Atr 72, dicono gli esperti, sono un po' delle ciofeche.
Un particolare divertente? I passeggeri salgono dalla porta posteriore (quella anteriore è per il cargo) e per evitare che l'aereo si "sieda" all'indietro per il peso, deve essere puntellato durante la procedura d'imbarco.
Su Wikipedia si dà ragione dei principali utilizzatori del velivolo, con grazia del rimando alla lista di 47 che ne hanno invece pochini. Come velivolo fa furore tra varie sottomarche di compagnie nazionali e vettori low-cost a corto raggio. Da noi piace a Air Dolomiti ed Alitalia Express (ho volato su questo apparecchio con entrambe le compagnie: sono esperienze che ti rimangono dentro).
Strano tuttavia che Malaysian Airlines abbia deciso di fare questo acquisto, anche se solo per le rotte interne a breve raggio (ha firmato il primo ministro malese a Villa Madama, davanti a un gongolante Romano Prodi), visto che è una delle pochissime "cinque stelle" (le altre sono Asiana Airlines, Cathay Pacific, Qatar Airways e Singapore Airlines) secondo il sistema Skytrax. Perché il problema è che gli Atr 72, dicono gli esperti, sono un po' delle ciofeche.
Un particolare divertente? I passeggeri salgono dalla porta posteriore (quella anteriore è per il cargo) e per evitare che l'aereo si "sieda" all'indietro per il peso, deve essere puntellato durante la procedura d'imbarco.
24.6.07
E' la linguistica, mon amour. Ovvero: dimmi come parli e ti dirò se innovi...
TERZA E ULTIMA cosa da tirare fuori, poi vado a mettere la borsa del ghiaccio sul cranio febbricitante e mi mangio lo spaghettino allo scoglio della domenica sera. E' un concetto abbastanza rapido: c'è qualche relazione tra la lingua che un popolo parla e la sua capacità di innovare? E se c'è, può darsi che nel tempo evolva? (Questa seconda cosa ha una coloritura consolatoria per noialtri italiani, che ci piace pensarci alquanto innovativi perlomeno nel passato).
Premesso che sto iniziando a chiedermi di che diavolo si parla quando si parla di innovazione (che, secondo il boss di Ibm Italia, è cosa diversa dall'invenzione, nel senso che l'invenzione è il lavoro solitario di uno, mentre l'innovazione è un fenomeno sociale che riguarda le masse: anche su questo si potrebbe discutere non poco, così come sul rapporto tra "invenzione" e "scoperta" e sulla capacità di "inventare" o "scoprire" o "innovare" utilizzando o non utilizzando le precedenti conquiste di chi è venuto prima di noi: ad esempio nel computer c'è il lavoro di quanti hanno fatto milioni di invenzioni diverse, tra le quali - perché no - anche la macchina per scrivere. Sul punto si può anche aggiungere che tante invenzioni-innovazioni-scoperte avvengono più o meno contemporaneamente [vedi Guglielmo Marconi e Alexandr Stepanovich Popov, oppure Meucci, Bell e qualche altro contemporaneo] perché il punto di partenza - cioè le invenzioni-innovazioni-scoperte precedenti - contano eccome), il discorso qui è articolato più o meno così.
L'inglese è una lingua straordinariamente duttile e "ricettiva". Ha facilità a inglobare parole e concetti appartenenti ad altre culture oppure a stampare neologismi. Le persone che la parlano come lingua principale hanno probabilmente altrettanta flessibilità (anche se gli americani in particolare parrebbero essere al nadir di un popolo aperto dal punto di vista culturale, se non altro visto l'isolamento continentale nel quale vive la maggioranza di quelle genti). Saltando a piè pari la linguistica e i suoi campioni (a me Chomski stava già antipatico prima di scoprire che ha dato pure fondamentali contributi agli studiosi di linguaggi di programmazione e di intelligenza artificiale, pensi un po', signora mia), l'idea di fondo è approfondire un effetto specifico di una teoria. La teoria è che la lingua che parliamo ci formi, mentalmente e non solo. Se la lingua ci "forma" (lo uso nel senso letterale) - e per fare esempi si può ricorrere agli stereotipi più triti tipo che i tedeschi sono razionali e ordinati perché hanno una lingua che è razionale e ordinata, perlomeno sulla carta - allora si potrebbe anche pensare che ci siano lingue che sono più adatte ad innovare di altre.
Qualsiasi cosa sia questa benedetta innovazione alla quale molti di noi danno la caccia - anche a costo di mutare la natura delle cose in maniera radicale e tale da dare nuovo senso e profondità al termine "snaturare" - avrà pure dei suoi specifici attributi. Mettiamo che fra questi attributi - sempre per banalizzare - ci sia l'idea di "apertura" nel senso di capacità di impadronirsi rapidamente di concetti nuovi. Mettiamo che questi siano più presenti in alcune lingue (peraltro più primitive di altre) come l'inglese e - perché no - il giapponese. E mettiamo quindi che, al di là degli accidenti della storia e delle dominazioni politiche, economiche e militari (e poi la cronologia sarebbe tutta da ricostruire sulla base di questa ipotesi) in realtà questi popoli che parlano queste lingue abbiano una marcia in più quando si tratta di innovare perché quella particolare struttura linguistica ha formato la loro mente in maniera più adatta e ricettiva all'uopo. Che ne dite? Vi suona? Io intanto mi vado a fare lo spaghettino e stappo pure una Budweiser. Per oggi, quel che potevo dare l'ho dato...
Premesso che sto iniziando a chiedermi di che diavolo si parla quando si parla di innovazione (che, secondo il boss di Ibm Italia, è cosa diversa dall'invenzione, nel senso che l'invenzione è il lavoro solitario di uno, mentre l'innovazione è un fenomeno sociale che riguarda le masse: anche su questo si potrebbe discutere non poco, così come sul rapporto tra "invenzione" e "scoperta" e sulla capacità di "inventare" o "scoprire" o "innovare" utilizzando o non utilizzando le precedenti conquiste di chi è venuto prima di noi: ad esempio nel computer c'è il lavoro di quanti hanno fatto milioni di invenzioni diverse, tra le quali - perché no - anche la macchina per scrivere. Sul punto si può anche aggiungere che tante invenzioni-innovazioni-scoperte avvengono più o meno contemporaneamente [vedi Guglielmo Marconi e Alexandr Stepanovich Popov, oppure Meucci, Bell e qualche altro contemporaneo] perché il punto di partenza - cioè le invenzioni-innovazioni-scoperte precedenti - contano eccome), il discorso qui è articolato più o meno così.
L'inglese è una lingua straordinariamente duttile e "ricettiva". Ha facilità a inglobare parole e concetti appartenenti ad altre culture oppure a stampare neologismi. Le persone che la parlano come lingua principale hanno probabilmente altrettanta flessibilità (anche se gli americani in particolare parrebbero essere al nadir di un popolo aperto dal punto di vista culturale, se non altro visto l'isolamento continentale nel quale vive la maggioranza di quelle genti). Saltando a piè pari la linguistica e i suoi campioni (a me Chomski stava già antipatico prima di scoprire che ha dato pure fondamentali contributi agli studiosi di linguaggi di programmazione e di intelligenza artificiale, pensi un po', signora mia), l'idea di fondo è approfondire un effetto specifico di una teoria. La teoria è che la lingua che parliamo ci formi, mentalmente e non solo. Se la lingua ci "forma" (lo uso nel senso letterale) - e per fare esempi si può ricorrere agli stereotipi più triti tipo che i tedeschi sono razionali e ordinati perché hanno una lingua che è razionale e ordinata, perlomeno sulla carta - allora si potrebbe anche pensare che ci siano lingue che sono più adatte ad innovare di altre.
Qualsiasi cosa sia questa benedetta innovazione alla quale molti di noi danno la caccia - anche a costo di mutare la natura delle cose in maniera radicale e tale da dare nuovo senso e profondità al termine "snaturare" - avrà pure dei suoi specifici attributi. Mettiamo che fra questi attributi - sempre per banalizzare - ci sia l'idea di "apertura" nel senso di capacità di impadronirsi rapidamente di concetti nuovi. Mettiamo che questi siano più presenti in alcune lingue (peraltro più primitive di altre) come l'inglese e - perché no - il giapponese. E mettiamo quindi che, al di là degli accidenti della storia e delle dominazioni politiche, economiche e militari (e poi la cronologia sarebbe tutta da ricostruire sulla base di questa ipotesi) in realtà questi popoli che parlano queste lingue abbiano una marcia in più quando si tratta di innovare perché quella particolare struttura linguistica ha formato la loro mente in maniera più adatta e ricettiva all'uopo. Che ne dite? Vi suona? Io intanto mi vado a fare lo spaghettino e stappo pure una Budweiser. Per oggi, quel che potevo dare l'ho dato...
Visto che ho preso l'abbrivio...
PROBABILMENTE E' PERCHE' ho tempo solo la domenica nel tardo pomeriggio (quando in realtà dovrei fare altre cose che non ho fatto la settimana precedente, ma vabbé). Comunque, seguendo anche il post precedente, ho un'altra riflessione che mi sta frullando tra quei quattro neuroni che ancora funzionano.
Si tratta delle playlist. Ci stiamo tutti quanti appiattendo sull'idea che con il Cd prima, l'Mp3 dopo e infine l'iPod siamo entrati nell'era destrutturata delle liste, dello shuffle (rimescolamento) delle pillole, della cultura a forma di snack, da consumare a pezzettini e un po' per volta. YouTube e altre cose (tra le quali i post dei blog, che sono la frammentazione anche temporale oltre che mentale eletta a sistema, senza contare le micro-interruzioni sistematiche di email, sms, IM, telefono e via dicendo). Ma non sono per niente di questa opinione, mi scopro a pensare. Il motivo nono è perché non uso l'iPod e non ascolto musica dal computer. Magari è perché preferisco ascoltare la radio. Così come preferisco leggere libri che guardare la televisione o vedermi un'intera stagione di un telefilm in un pomeriggio (o due giorni, a seconda del formato) piuttosto che seguire percorsi schizoidi. Torniamo alle playlist e allo shuffle dell'iPod, dato che questo discorso ha decisamente un senso.
C'è da dire infatti che le percezioni dipendono in buona parte dalla cultura delle persone, che è generazionale. Qui a dettare il paradigma e a far notare l'evoluzione sono i baby boomers, i "vecchi" che sono nati - per quanto riguarda la cultura pop - con il rock e il pop degli anni Settanta. Insomma, quelli che prevedono un'unitarietà dell'opera che rispecchia poi le intenzioni presunte dell'autore (ma c'è un cinquantennio di semiotica che si potrebbe opporre a questo tipo di riflessione) e hanno scolpito nel cervelletto l'idea di "opera chiusa" (ma è un traslato da un altro piano, si tratta di una notevole forma di ignoranza culturale) e soprattutto di Lp inteso come "libro". Un disco non è un libro, ovviamente, né sul piano del senso né (scusate la banalità) su quello dell'esperienza. Non foss'altro perché la fruizione è totalmente passiva e richiede una decodifica più elementare e istintiva della pagina scritta.
E poi, questo è il mio punto, in realtà la frammentazione era iniziata ben prima che Nick Hornby parlasse (straordinariamente, peraltro: io lo adoro) di liste ad alta fedeltà e che poi il discorso si arricchisse con la frammentazione e randomizzazione (brutta parola, ma "casualizzazione" è pure peggio) dello shuffle dell'iPod. Certo, la quantità fa la sua bella figura e avere 90 mila canzoni che vengono suonate a caso è un bel passo avanti rispetto alle due in un 45 giri, però non sottovalutate la radio. La discoteca infinita - perché di questo stiamo parlando, di una libreria più simile a un racconto di Borges che non di frammentazione di un bel niente - non è quella che ci portiamo dietro nella tasca. Quella è una versione in sedicesimo, un modellino concettuale di qualcosa che già esisteva, con tutte altre motivazioni.
Infatti, anche se scarichiamo a casaccio per riempire gli 80 Gigabyte di un iPod, se non altro da un punto di vista di principio già sappiamo cosa abbiamo scaricato (magari non lo conosciamo, ma lo sappiamo). La nostra discoteca infinita è in realtà figlia di un senso finito che oltretutto abbiamo contribuito noi stessi a costruire. Quella discoteca di chi sta dall'altra parte dell'etere a mettere su musica, no: quella non la sappiamo. E' infinita nel senso progressivo dello scorrere del tempo: non possiamo neanche pensare di prevederla e dobbiamo viverla nella sua frammentarietà amplificata dalla possibilità di cambiare frequenza e stazione. Questo il punto: la frammentazione non c'è, o se c'è non è per niente opera dell'oggi, tantomeno del digitale. Casomai, oggi sta accelerando. Non ci prendiamo in giro e non appiccichiamo all'etichetta di "futuro" qualsiasi cosa ci pare stia capitando oggi. Altrimenti bariamo.
Si tratta delle playlist. Ci stiamo tutti quanti appiattendo sull'idea che con il Cd prima, l'Mp3 dopo e infine l'iPod siamo entrati nell'era destrutturata delle liste, dello shuffle (rimescolamento) delle pillole, della cultura a forma di snack, da consumare a pezzettini e un po' per volta. YouTube e altre cose (tra le quali i post dei blog, che sono la frammentazione anche temporale oltre che mentale eletta a sistema, senza contare le micro-interruzioni sistematiche di email, sms, IM, telefono e via dicendo). Ma non sono per niente di questa opinione, mi scopro a pensare. Il motivo nono è perché non uso l'iPod e non ascolto musica dal computer. Magari è perché preferisco ascoltare la radio. Così come preferisco leggere libri che guardare la televisione o vedermi un'intera stagione di un telefilm in un pomeriggio (o due giorni, a seconda del formato) piuttosto che seguire percorsi schizoidi. Torniamo alle playlist e allo shuffle dell'iPod, dato che questo discorso ha decisamente un senso.
C'è da dire infatti che le percezioni dipendono in buona parte dalla cultura delle persone, che è generazionale. Qui a dettare il paradigma e a far notare l'evoluzione sono i baby boomers, i "vecchi" che sono nati - per quanto riguarda la cultura pop - con il rock e il pop degli anni Settanta. Insomma, quelli che prevedono un'unitarietà dell'opera che rispecchia poi le intenzioni presunte dell'autore (ma c'è un cinquantennio di semiotica che si potrebbe opporre a questo tipo di riflessione) e hanno scolpito nel cervelletto l'idea di "opera chiusa" (ma è un traslato da un altro piano, si tratta di una notevole forma di ignoranza culturale) e soprattutto di Lp inteso come "libro". Un disco non è un libro, ovviamente, né sul piano del senso né (scusate la banalità) su quello dell'esperienza. Non foss'altro perché la fruizione è totalmente passiva e richiede una decodifica più elementare e istintiva della pagina scritta.
E poi, questo è il mio punto, in realtà la frammentazione era iniziata ben prima che Nick Hornby parlasse (straordinariamente, peraltro: io lo adoro) di liste ad alta fedeltà e che poi il discorso si arricchisse con la frammentazione e randomizzazione (brutta parola, ma "casualizzazione" è pure peggio) dello shuffle dell'iPod. Certo, la quantità fa la sua bella figura e avere 90 mila canzoni che vengono suonate a caso è un bel passo avanti rispetto alle due in un 45 giri, però non sottovalutate la radio. La discoteca infinita - perché di questo stiamo parlando, di una libreria più simile a un racconto di Borges che non di frammentazione di un bel niente - non è quella che ci portiamo dietro nella tasca. Quella è una versione in sedicesimo, un modellino concettuale di qualcosa che già esisteva, con tutte altre motivazioni.
Infatti, anche se scarichiamo a casaccio per riempire gli 80 Gigabyte di un iPod, se non altro da un punto di vista di principio già sappiamo cosa abbiamo scaricato (magari non lo conosciamo, ma lo sappiamo). La nostra discoteca infinita è in realtà figlia di un senso finito che oltretutto abbiamo contribuito noi stessi a costruire. Quella discoteca di chi sta dall'altra parte dell'etere a mettere su musica, no: quella non la sappiamo. E' infinita nel senso progressivo dello scorrere del tempo: non possiamo neanche pensare di prevederla e dobbiamo viverla nella sua frammentarietà amplificata dalla possibilità di cambiare frequenza e stazione. Questo il punto: la frammentazione non c'è, o se c'è non è per niente opera dell'oggi, tantomeno del digitale. Casomai, oggi sta accelerando. Non ci prendiamo in giro e non appiccichiamo all'etichetta di "futuro" qualsiasi cosa ci pare stia capitando oggi. Altrimenti bariamo.
Pensieri ispirati dalla quarta valvola
STA SCOMPARENDO DAL mercato la "quarta valvola termoionica", senza che ce ne accorgiamo. Le valvole, che gli americani chiamano Vacuum tubes (i britannici invece le chiamano Thermionic valves), sono note soprattutto nel loro primo uso: radio, impianti di amplificazione ad alta fedeltà, antichi telefoni, primi computer sia analogici che digitali. Poi, ci sono due razze particolari di valvole, appartenenti al genere dei Magnetron: radar e forni a microonde. La quarta specie di valvole è ancor più particolare (ed è quella che si sta estinguendo). Si tratta del tubo a raggi catodici impiegato nei comuni televisori. In questo momento sono di fronte a due differenti monitor di computer ed entrambi sono costruiti con tecnologia a cristalli liquidi. E nelle case di molti (io a dire il vero non ce l'ho) anche le televisioni sono basate su schermi Lcd. Rimangono solo i Magnetron, negli aeroporti, sugli aerei e nelle cucine...
La storia valvola, che per la lettura di un libro sulla storia della Silicon Valley sto per la prima volta approfondendo (non che ci volesse molto: bastava iscriversi alla Scuola Radio Elettra...) è molto interessante. A cavallo tra gli anni Venti e il Secondo dopoguerra tutti i maggiori avanzamenti tecnologici nel design e nella fabbricazione delle valvole (che sono bestie difficili, visto che stanno dentro una campana di vetro sotto-vuoto) derivano da una competizione spintissima e da una inflessibile normativa sui brevetti. In pratica, il 90% delle innovazioni derivano dagli sforzi che i ricercatori delle diverse aziende dovevano fare per arrivare agli stessi risultati bloccati perché già brevettati da altri. Il lato positivo era che i brevetti erano pubblici e che le valvole erano una tecnologia in cui l'analisi "a vista" e il reverse-engineering sono abbastanza semplici (non è lo stesso per il software compilato).
La riflessione successiva parte proprio da qui: all'epoca l'esistenza di una open-vacuum-tube licence avrebbe reso praticamente impossibile l'impressionante avanzamento tecnologico di quel trentennio togliendo la principale motivazione. Un po' come quelli che se non hanno dei vincoli e delle scadenze imminenti e assoluti non riescono a lavorare creativamente. Ecco, perché allora per il software questo deve essere un dogma indiscutibile? Non è che la presenza del "closed source" e soprattutto della legislazione sui brevetti ha spinto a una maggior innovazione che non l'"open source" e le licenze Gpl? Non sto parlando di innovazione incrementale (che l'Open Source sicuramente garantisce) ma quella distruttiva, che fa fare un salto di paradigma.
Bisognerebbe probabilmente cominciare a ragionare in maniera un po' più complessa di quanto non abbiano fatto Stallman, Lessig e Benkler. Cioè, vedere il quadro più generale e non solo l'aspetto "destruens" della rivoluzione delle reti. Magari provando a fare un po' di ordine tra concetti e piani diversi, anziché fare un frittomisto di tutto. Stai a vedere che il neo-dogmatismo "open" che impera alla fine non è una cosa buona...
La storia valvola, che per la lettura di un libro sulla storia della Silicon Valley sto per la prima volta approfondendo (non che ci volesse molto: bastava iscriversi alla Scuola Radio Elettra...) è molto interessante. A cavallo tra gli anni Venti e il Secondo dopoguerra tutti i maggiori avanzamenti tecnologici nel design e nella fabbricazione delle valvole (che sono bestie difficili, visto che stanno dentro una campana di vetro sotto-vuoto) derivano da una competizione spintissima e da una inflessibile normativa sui brevetti. In pratica, il 90% delle innovazioni derivano dagli sforzi che i ricercatori delle diverse aziende dovevano fare per arrivare agli stessi risultati bloccati perché già brevettati da altri. Il lato positivo era che i brevetti erano pubblici e che le valvole erano una tecnologia in cui l'analisi "a vista" e il reverse-engineering sono abbastanza semplici (non è lo stesso per il software compilato).
La riflessione successiva parte proprio da qui: all'epoca l'esistenza di una open-vacuum-tube licence avrebbe reso praticamente impossibile l'impressionante avanzamento tecnologico di quel trentennio togliendo la principale motivazione. Un po' come quelli che se non hanno dei vincoli e delle scadenze imminenti e assoluti non riescono a lavorare creativamente. Ecco, perché allora per il software questo deve essere un dogma indiscutibile? Non è che la presenza del "closed source" e soprattutto della legislazione sui brevetti ha spinto a una maggior innovazione che non l'"open source" e le licenze Gpl? Non sto parlando di innovazione incrementale (che l'Open Source sicuramente garantisce) ma quella distruttiva, che fa fare un salto di paradigma.
Bisognerebbe probabilmente cominciare a ragionare in maniera un po' più complessa di quanto non abbiano fatto Stallman, Lessig e Benkler. Cioè, vedere il quadro più generale e non solo l'aspetto "destruens" della rivoluzione delle reti. Magari provando a fare un po' di ordine tra concetti e piani diversi, anziché fare un frittomisto di tutto. Stai a vedere che il neo-dogmatismo "open" che impera alla fine non è una cosa buona...
Per esser grosso, è grosso...
NON STA PER arrivare solo l'iPhone o Mac Os X 10.5. C'è anche questo birillone che sta solcando i cieli nostrani e di località più esotiche. Vediamo quanto mi ci vuole prima di riuscire a metterci un piedino sopra...
"Eh, guarda che furbacchione" (La cosa bella è che se lo dice da solo...)
COMPRERESTE UN'AUTO usata (o fareste decidere le tasse che pagherete) da uno che diceva cose non vere anche a gennaio del 2006, quando nessuno gli chiedeva di dirle?
Il sindaco di Roma, ospite da Fabio Fazio nel gennaio del 2006, annuncia che abbandonerà la politica al termine del secondo mandato.
Il sindaco di Roma, ospite da Fabio Fazio nel gennaio del 2006, annuncia che abbandonerà la politica al termine del secondo mandato.
L'Emilio Fede della mela morsicata
HO UNA CRISI esistenziale. Di quelle rapide, intense e brucianti. Devo ringraziare per questo Andrew NoApple (che nella vita usa, distrugge e ripara computer - Pc, Mac, Unix - da quando era in fasce). In un post intitolato E' facile sbagliare i conti simpaticamente mi fa i complimenti per le mie presunte abilità affabulatorie (abilità fungibili solo per scritto, sfortunatamente) ma poi mi indica - mia la parafrasi - come una sorta di cheerleader italiana di Apple, un'azienda che, scrive in un altro post programmatico sempre il nostro Andrew NoApple,
Tutto quello che viene fatto da Apple, dallo sviluppo del software alla progettazione dei computer, è fatto con un solo fine: i soldi di quelli che pensano che Apple stia pensando ai suoi utenti invece che ai loro portafogli. In questo Apple non è diversa da nessun'altra società con la differenza che se la tirano troppo, fin troppo.
E, nel post che mi riguarda, conclude indirizzandomi un monito:
Per tanto, se si vuole parlare di numeri, lo si faccia con consapevolezza e correttezza, evitando di essere l'Emilio Fede della mela morsicata.
La crisi esistenziale in realtà è finita pensando all'altra polemica - un po' più sostanziosa - che sta toccando i big della blogsfera (qui la felice sintesi di Paferrobyday) e ad altre suggestioni. Cos'è il buon giornalismo? Ce lo ricorda il New Yorker con questo pezzo (gli 8,80 euro meglio spesi questo mese, però accipicchia quanto costa in Italia rispetto ai 4,50 dollari negli Usa!). Chi sono i blogger? Perché adorare o sparare su Apple va sempre bene?
Passata la crisi esistenziale (e il merito del monito che aveva attirato la mia attenzione tramite Technorati), mi ha colpito la frase programmatica che riportavo poco sopra: sarà davvero fatto tutto e solamente per i soldi? Ovviamente sì, viene da pensare visto che si tratta di una società quotata in Borsa con azionisti che vogliono profitto e dividendi sempre più succosi. Senza contare gli stipendi, le stock-options (che se poi si post-datano, sono ancora più succose) e via dicendo. Molto logico.
Però, devo dire, non ne sono convinto sino in fondo. Ci sono anche altri pensieri al riguardo: l'idea che Apple sia anche emozione. Queste cose mi frullano per la testa. Ripenso ai libri che ho letto al riguardo e a quelli più in generale sulla storia, l'innovazione e la creatività nell'industria del personal computing e dell'elettronica di massa. Rifletto. Prendo appunti. Mi trovo incantato, sull'autobus, a pensarci. Ne cerco tracce tra gli scritti in rete e con le persone che sto intervistando a giro per il mondo. Ci sto lavorando sopra. Non voglio anticipare niente, ma c'è veramente tanto di più da dire, partendo da quella semplice frase. Sono sei anni che ne sono convinto. Dopotutto, non dimentichiamo che anche Emilio Fede è un fior di professionista...
Tutto quello che viene fatto da Apple, dallo sviluppo del software alla progettazione dei computer, è fatto con un solo fine: i soldi di quelli che pensano che Apple stia pensando ai suoi utenti invece che ai loro portafogli. In questo Apple non è diversa da nessun'altra società con la differenza che se la tirano troppo, fin troppo.
E, nel post che mi riguarda, conclude indirizzandomi un monito:
Per tanto, se si vuole parlare di numeri, lo si faccia con consapevolezza e correttezza, evitando di essere l'Emilio Fede della mela morsicata.
La crisi esistenziale in realtà è finita pensando all'altra polemica - un po' più sostanziosa - che sta toccando i big della blogsfera (qui la felice sintesi di Paferrobyday) e ad altre suggestioni. Cos'è il buon giornalismo? Ce lo ricorda il New Yorker con questo pezzo (gli 8,80 euro meglio spesi questo mese, però accipicchia quanto costa in Italia rispetto ai 4,50 dollari negli Usa!). Chi sono i blogger? Perché adorare o sparare su Apple va sempre bene?
Passata la crisi esistenziale (e il merito del monito che aveva attirato la mia attenzione tramite Technorati), mi ha colpito la frase programmatica che riportavo poco sopra: sarà davvero fatto tutto e solamente per i soldi? Ovviamente sì, viene da pensare visto che si tratta di una società quotata in Borsa con azionisti che vogliono profitto e dividendi sempre più succosi. Senza contare gli stipendi, le stock-options (che se poi si post-datano, sono ancora più succose) e via dicendo. Molto logico.
Però, devo dire, non ne sono convinto sino in fondo. Ci sono anche altri pensieri al riguardo: l'idea che Apple sia anche emozione. Queste cose mi frullano per la testa. Ripenso ai libri che ho letto al riguardo e a quelli più in generale sulla storia, l'innovazione e la creatività nell'industria del personal computing e dell'elettronica di massa. Rifletto. Prendo appunti. Mi trovo incantato, sull'autobus, a pensarci. Ne cerco tracce tra gli scritti in rete e con le persone che sto intervistando a giro per il mondo. Ci sto lavorando sopra. Non voglio anticipare niente, ma c'è veramente tanto di più da dire, partendo da quella semplice frase. Sono sei anni che ne sono convinto. Dopotutto, non dimentichiamo che anche Emilio Fede è un fior di professionista...
23.6.07
Le teorie del complotto
LA CIA HA annunciato che renderà pubblici una serie di documenti sulle sue attività negli anni Settanta: tentativi di omicidio politico, operazioni coperte, intercettazioni a giornalisti e dissidenti. Invece, su un altro piano, le Internet radio programmano una giornata di silenzio totale il prossimo 26 giugno per protestare contro le leggi sul diritto d'autore musicale. Infine, i videogiochi superano il mercato della musica, secondo Pricewaterhouse Coopers, dopo aver da tempo stracciato quello del cinema. E c'è anche la questione del gioco sotto accusa, Manhunt II, che tra ministri e blogger dalle nostre parti stiamo a fare un gran bordello ma è una semplice storia di rating dell'associazione del settore in Gran Bretagna e conseguente ritiro da parte dell'editore: la verità è che Take Two, che a suo tempo aveva fatto anche la (criticata) serie GTA, sta in realtà pagando il fio non per questo ma per i precedenti peccati...
Neutral point of view
SUL CORRIERE DI oggi c'è questa notizia sull'automobile Made in China e low cost che doveva arrivare anche in Italia (dovrebbe essere già stata importata in alcuni paesi europei il mese scorso) e che ha fallito miseramente il crash-test. C'è anche il link al video nel mediacenter di via Solferino che mostra le drammatiche fasi di "smembramento" della Brilliance BS6. Da notare che pure le foto nella pagina web la mostrano massacrata. Neanche una che ce la faccia vedere tutta intera, tanto per capire com'è fatta. O una comparazione con i crash-test dei modelli attualmente già commercializzati delle berline di fascia medio-alta prodotte negli ultimi cinque anni. Da notare che i crash-test vengono condotti dall'Automobil Club tedesco seguendo un programma di test su standard di sicurezza superiori a quelli richiesti attualmente per l'omologazione (che evidentemente l'autovettura cinese ha già conseguito, sennò come facevano a venderla in Europa?).
L'auto ha ottenuto una stella su cinque possibili, il punteggio "più basso in assoluto" del test: una debacle, un crisi, un disastro, dice sobriamente l'articolista. L'auto è prodotta in Cina con la collaborazione della Bmw e in originale si chiama Zhonghua. Così, a naso: mi pare che siamo di fronte alla nascita del patriottismo automobilistico europeo. Come per la Fiat con La Stampa, così tutti insieme uniti contro il nemico asiatico...
L'auto ha ottenuto una stella su cinque possibili, il punteggio "più basso in assoluto" del test: una debacle, un crisi, un disastro, dice sobriamente l'articolista. L'auto è prodotta in Cina con la collaborazione della Bmw e in originale si chiama Zhonghua. Così, a naso: mi pare che siamo di fronte alla nascita del patriottismo automobilistico europeo. Come per la Fiat con La Stampa, così tutti insieme uniti contro il nemico asiatico...
UGC: Nokia 888
POTREBBE ESSERE QUESTA la visionaria risposta all'iPhone da parte di Nokia? Forse sì, seguendo il ragionamento di questo gruppo di designer che si è sbizzarrito a creare un video di tre minuti e mezzo (bella regia futurista) su una tecnologia tutta da indossare -- e francamente un po' troppo fantascientifica per adesso...
Qui si fa vedere qualcosa del concetto di Nokia del telefono "tutto schermo" Aeon. Da queste parti, invece, nel mio blog su Nova100, ho provato a fare un po' il punto sulla situazione dell'iPhone. Manca poco, ormai, e di cose se ne stanno dicendo davvero tante...
Qui si fa vedere qualcosa del concetto di Nokia del telefono "tutto schermo" Aeon. Da queste parti, invece, nel mio blog su Nova100, ho provato a fare un po' il punto sulla situazione dell'iPhone. Manca poco, ormai, e di cose se ne stanno dicendo davvero tante...
22.6.07
Le dodici scimmie
DUNQUE, SIAMO ARRIVATI all'estate del cambiamento. Non solo per il centro-sinistra che adesso monta la bufala di Walter Veltroni "uomo nuovo" del futuro (si era messo da parte - esattamente come ha fatto la nostra Moratti a Milano - "ripiegando" a sindaco di Roma ma in realtà lavorando tra i palazzi per anni, in attesa di fare le scarpe agli altri e arrivare esattamente a questo punto: veder fallire i suoi avversari di partito e coalizione e bruciare le ipotesi alternative che infatti non ci sono). No, il cambiamento è nella scena dei blog. Con una premessa: se i blogger italiani domattina evaporassero tutti - me compreso, ovviamente - non se accorgerebbero in molti. Incide di più Fabrizio Corona. Invece, quel che capita è che adesso i blogger più visibili stanno caricando le balestre. E' arrivato il momento di cambiare registro.
Sino ad ora il tema della parte fighetta della parte abitata della rete era il cazzeggio para-tecnologico, le spataffiate sui nuovi media (tutti cultori dei nuovi media, pronto a fare il concorso all'università), i discorsi autoreferenziali (tipo quando compri l'auto nuova, chiami due amici, andate a fare un giro in collina e parlate tutto il tempo dell'auto nuova su cui state viaggiando) e qualche sapida banalità tanto per farsi due risate da happy hours in centro. Adesso arriva il momento della militanza, delle scuole di pensiero, dei giudizi politici e super-politici su come gira il mondo e cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ci sono più spaghetti-Weltanshauung che sudano fuori dai post oggi che non in tutta la pubblicistica del Fronte dell'Uomo Qualunque. Roba da beccarsi l'insufficienza in Educazione civica alle medie, se solo ci fosse ancora.
Per carità, nessuna critica o senso di malintesa superiorità. E' dal 2001 che ho chiuso con la politica e le sue manifestazioni reali. Per me, andate e militate senza problemi. Peccato solo che si riparta da sottozero, come se la parte fighetta della blogsfera - nonostante le buone frequentazioni e le costose scuole - avesse passato troppo tempo davanti (o dietro) la televisione e adesso ci credesse davvero. E' l'intelligenza collettiva delle dodici scimmie: un esercito di portatori sani d'opinioni. Ma dopotutto, mica potevamo nascere tutti Michele Serra, no?
Sino ad ora il tema della parte fighetta della parte abitata della rete era il cazzeggio para-tecnologico, le spataffiate sui nuovi media (tutti cultori dei nuovi media, pronto a fare il concorso all'università), i discorsi autoreferenziali (tipo quando compri l'auto nuova, chiami due amici, andate a fare un giro in collina e parlate tutto il tempo dell'auto nuova su cui state viaggiando) e qualche sapida banalità tanto per farsi due risate da happy hours in centro. Adesso arriva il momento della militanza, delle scuole di pensiero, dei giudizi politici e super-politici su come gira il mondo e cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ci sono più spaghetti-Weltanshauung che sudano fuori dai post oggi che non in tutta la pubblicistica del Fronte dell'Uomo Qualunque. Roba da beccarsi l'insufficienza in Educazione civica alle medie, se solo ci fosse ancora.
Per carità, nessuna critica o senso di malintesa superiorità. E' dal 2001 che ho chiuso con la politica e le sue manifestazioni reali. Per me, andate e militate senza problemi. Peccato solo che si riparta da sottozero, come se la parte fighetta della blogsfera - nonostante le buone frequentazioni e le costose scuole - avesse passato troppo tempo davanti (o dietro) la televisione e adesso ci credesse davvero. E' l'intelligenza collettiva delle dodici scimmie: un esercito di portatori sani d'opinioni. Ma dopotutto, mica potevamo nascere tutti Michele Serra, no?
Quando si chiude un'era, c'è sempre un'opportunità
L'UNICA COSA CHE noto guardando lo spot per la campagna elettorale americana di Hillary Clinton non ha niente di italiano. Mi aveva colpito di più - forse perché ero negli Usa esposto alle correnti mediatiche locali - la fine della serie televisiva Sopranos e il relativo agitarsi come se fosse terminata un'epoca.
Piuttosto, il nostro buon Bill Clinton parrebbe essere un cultore deie Luminor delle Officine Panerai, lustro dell'orologeria fiorentina da qualche anno di proprietà di un noto gruppo internazionale (leggi: svizzero) del settore lusso).
Piuttosto, il nostro buon Bill Clinton parrebbe essere un cultore deie Luminor delle Officine Panerai, lustro dell'orologeria fiorentina da qualche anno di proprietà di un noto gruppo internazionale (leggi: svizzero) del settore lusso).
20.6.07
Ahi ahi ahi: non c'è solo Alitalia al mondo
PER UNA VOLTA, difendiamo l'onore della bandiera italiana (tanto poi mi rifaccio tra qualche giorno perché devo comunque spiegare un paio di cosette, su di loro). La notizia viene dalla straordinaria San Francisco e dalla strafiga Cathay Pacific Airlines, una di quelle aerolinee (è di Hong Kong) con il sapore di almeno due generazioni di romanzi di Segretissimo: lusso sfrenato, servizio stellare, hostess da capogiro.
Fatto sta che l'altro giorno un 747 strapieno con partenza serale per la città cinese è rimasto sulla pista 7 ore fino alle sette e mezza. Passeggeri impastati dentro, nessuna spiegazione (se non vaghe notizie) e poco più. C'è di che innervosirsi, direi.
Peraltro, ho la sensazione che quest'estate le cose andranno molto peggio: questo è l'anno in cui il ciclo economico delle compagnie aeree mondiali (tutte, a parte of course Alitalia) sarà al massimo. Il traffico non sarà mai più così intenso, oltretutto perché la Grande Botta del petrolio arriverà presto ma non questa estate: a naso direi infatti che come adesso non ce n'è. Sarà un patimento perché le strutture non sono adeguate, soprattutto nei grandi scali. Oracolo il collasso di Charles de Gaulle, per dirne uno. Vedremo...
Fatto sta che l'altro giorno un 747 strapieno con partenza serale per la città cinese è rimasto sulla pista 7 ore fino alle sette e mezza. Passeggeri impastati dentro, nessuna spiegazione (se non vaghe notizie) e poco più. C'è di che innervosirsi, direi.
Peraltro, ho la sensazione che quest'estate le cose andranno molto peggio: questo è l'anno in cui il ciclo economico delle compagnie aeree mondiali (tutte, a parte of course Alitalia) sarà al massimo. Il traffico non sarà mai più così intenso, oltretutto perché la Grande Botta del petrolio arriverà presto ma non questa estate: a naso direi infatti che come adesso non ce n'è. Sarà un patimento perché le strutture non sono adeguate, soprattutto nei grandi scali. Oracolo il collasso di Charles de Gaulle, per dirne uno. Vedremo...
Una nuova montagna
C'E' UNA NUOVA "realtà" che studia le classifiche dei blog. Fin qui, non sarebbe poi interessante, tranne per il fatto che mi hanno scritto per dirmi che sono il numero 130. Una nuova montagna da scalare?
19.6.07
Achtung!
OPS, PARE CHE ci sia qualcuno che si sta divertendo ad attaccare i siti italiani e chi li usa.
18.6.07
Totally
CIRCOLANO STRANE VOCI su Internet: pare che Berlusconi stia cercando un ghostwriter per il suo futuro blog. Non so niente di Gianluca o dell'altro signore chiamato in causa. Vorrei solo puntualizzare che io faccio già il ghostwriter per il Capo. E che non sono autorizzato a dire niente del Presidente dei milanisti. Per contratto, voi mi capite: noi Giovani Autori - tra un carpiato e l'altro - possiamo solo alludere, mai dire esplicitamente...
17.6.07
Doonesbury domenicale
SICCOME E' DI nuovo domenica (come passa il tempo, signora mia!), ecco Gary B. Trudeau... Se si clicca sopra, si ingrandisce e si legge meglio...
14.6.07
Untori nella stratosfera
QUANDO SONO PARTITO da Milano, sabato scorso, nel volo per New York c'erano almeno dieci persone intorno a me con tosse e starnuti influenzali vari. Nella tratta transcontinentale - New York-San Francisco - erano il doppio. L'aria condizionata era a meno venti, a occhio e croce. A San Francisco, complici anche un paio di serate davvero ventose, ho iniziato a starnutire come un matto. Sul volo di ritorno, questa volta via Atlanta, sembrava di essere al sanatorio: quello più sano aveva novant'anni e l'enfisema.
L'aeroplano è sostanzialmente un tubo di alluminio pressurizzato, dove si sta legati a una seggiola nella stessa posizione che usano a Guantanamo per ammorbidire i cittadini-terroristi con la consulenza a quanto pare di un paio di compagnie aeree. La temperatura è di circa 10 gradi con venti forti e continui da nord, nord-est. A parte il momento della partenza da Atlanta, perché lì il condizionatore era fermo e in cabina c'erano 35 gradi (venti in meno rispetto al cockpit, diceva uno dei piloti alla radio, ma io sono un po' dubbioso), pare di stare legati in un freezer usato come galleria del vento dagli Innuit.
E' stato un viaggio un po' duro, come potrete capire: ho finito qualsiasi superficie di cellulosa che sono riuscito a trovare, compresa la camicia dell'anziano ex-marine seduto di fronte, ma il naso ancora gocciola. All'altezza della dorsale atlantica ho cominciato a sognare lo spam che non ho mai letto e l'argotone, lo stura-naso che da bambino mi procurava ebbrezza. All'atterraggio a Malpensa, causa improvvisa ma prevedibile decompressione, non solo mi si sono fratturate le orecchie dal di dentro, ma ho provato dolori a parti del mio cranio che non pensavo potessero dolere. Manca poco e mi si stappano anche le otturazioni dei denti.
Adesso sono a casa, ho già scritto un ballino di roba in un esercizio di carpiato all'indietro di rara sofferenza. Di solito non spengo il telefonino. Ma adesso lo spengo, mi riempio di Argotone e mi metto a pancia in su. Vediamo chi vincerà: io o il morbo?
L'aeroplano è sostanzialmente un tubo di alluminio pressurizzato, dove si sta legati a una seggiola nella stessa posizione che usano a Guantanamo per ammorbidire i cittadini-terroristi con la consulenza a quanto pare di un paio di compagnie aeree. La temperatura è di circa 10 gradi con venti forti e continui da nord, nord-est. A parte il momento della partenza da Atlanta, perché lì il condizionatore era fermo e in cabina c'erano 35 gradi (venti in meno rispetto al cockpit, diceva uno dei piloti alla radio, ma io sono un po' dubbioso), pare di stare legati in un freezer usato come galleria del vento dagli Innuit.
E' stato un viaggio un po' duro, come potrete capire: ho finito qualsiasi superficie di cellulosa che sono riuscito a trovare, compresa la camicia dell'anziano ex-marine seduto di fronte, ma il naso ancora gocciola. All'altezza della dorsale atlantica ho cominciato a sognare lo spam che non ho mai letto e l'argotone, lo stura-naso che da bambino mi procurava ebbrezza. All'atterraggio a Malpensa, causa improvvisa ma prevedibile decompressione, non solo mi si sono fratturate le orecchie dal di dentro, ma ho provato dolori a parti del mio cranio che non pensavo potessero dolere. Manca poco e mi si stappano anche le otturazioni dei denti.
Adesso sono a casa, ho già scritto un ballino di roba in un esercizio di carpiato all'indietro di rara sofferenza. Di solito non spengo il telefonino. Ma adesso lo spengo, mi riempio di Argotone e mi metto a pancia in su. Vediamo chi vincerà: io o il morbo?
12.6.07
Dunque, ci sono Bush, Prodi e il Papa che...
QUESTA COSA DEL Presidente Bush in visita in Albania al quale uno tra la folla plaudente e abbracciante gli avrebbe sfilato l'orologio ha del meraviglioso e della leggenda metropolitana al tempo stesso. Però qui su YouTube pare che ci sia il video della tv albanese che lo fa vedere...
Ahi ahi ahi: aspettando l'iPhone - 4
C'E' SEMPRE CHI, sotto sotto, ci sperava. Un colpo di coda, una caramella con cui riempirsi dolcemente la bocca, uno specchietto con cui trastullarsi. Invece, niente. Tre punti per un keynote un po' freddino: sistema operativo, svilppo Ajax suu iPhone e Safari per Windows. Una stretta di mano e tutti a casa. C'è anche chi ci è rimasto un po' male, quest'oggi a San Francisco...
11.6.07
Aspettando l'iPhone... 3 - Welcome to San Francisco!
SABATO SERA, ORA di San Francisco, sono atterrato con un 757 di Delta all'aeroporto della città californiana. Buio pesto fuori degli oblò mentre planavamo - dopo sei ore di volo da New York - sulla baia. Erano le undici meno un quarto. In economica c'era una persona, massimo due per fila: un aereo semi-vuoto. Mentre facevamo pigramente manovra sul tarmac verso il terminal, quello della mia fila dall'altra parte del corridoio continuava a smanettare sul suo iPod. Ma in modo strano: battendo con i pollici come se scrivesse un sms. Lo guardo meglio: è un iPhone.
Quando ci fermiamo e si spenge il segnale delle cinture di sicurezza, balzo nel corridoio per prendere la mia valigia e siamo proprio spalla a spalla. Gliela butto lì: "E' il nuovo iPhone, quello? Proprio bello...". Lui mi guarda: ha sui trent'anni, vestito casual, la faccia da turnista di chitarra rock. "Già". Sorrido (per non spaventarlo) come uno che è maniaco ma fino a un certo punto: "E come funziona?". Lui, mentre si calca ben in fondo alla tasca dei jeans il telefono (tanto per non sbagliare, anche quelli solo un po' maniaci sono pur sempre pericolosi) mi sorride: "Molto bene, ce l'ho da tre mesi e funziona proprio bene. Comunque, tra due settimane è in tutti i negozi".
Mi prendo coraggio: "Lavori per Apple?". Il sorriso è statico, il mio tempo si avvicina alla fine: "Già". La fila si muove, il tipo s'incammina verso l'uscita e considera chiusa la conversazione. Io ci penso un attimo su mentre esco dall'aereo e vado verso la Bart, la metropolitana che mi porterà nel cuore della città in venticinque minuti. Che bel benvenuto: atterri a San Francisco e c'è già uno con l'iPhone seduto una due posti più in là sull'aereo...
Quando ci fermiamo e si spenge il segnale delle cinture di sicurezza, balzo nel corridoio per prendere la mia valigia e siamo proprio spalla a spalla. Gliela butto lì: "E' il nuovo iPhone, quello? Proprio bello...". Lui mi guarda: ha sui trent'anni, vestito casual, la faccia da turnista di chitarra rock. "Già". Sorrido (per non spaventarlo) come uno che è maniaco ma fino a un certo punto: "E come funziona?". Lui, mentre si calca ben in fondo alla tasca dei jeans il telefono (tanto per non sbagliare, anche quelli solo un po' maniaci sono pur sempre pericolosi) mi sorride: "Molto bene, ce l'ho da tre mesi e funziona proprio bene. Comunque, tra due settimane è in tutti i negozi".
Mi prendo coraggio: "Lavori per Apple?". Il sorriso è statico, il mio tempo si avvicina alla fine: "Già". La fila si muove, il tipo s'incammina verso l'uscita e considera chiusa la conversazione. Io ci penso un attimo su mentre esco dall'aereo e vado verso la Bart, la metropolitana che mi porterà nel cuore della città in venticinque minuti. Che bel benvenuto: atterri a San Francisco e c'è già uno con l'iPhone seduto una due posti più in là sull'aereo...
10.6.07
Aspettando l'iPhone... 2
TRA CIRCA 19 ore, Steve Jobs sale sul palco e ci racconta un po' di futuro del Mac e non solo. Qui, come d'abitudine (se tutto va bene) la mia diretta dal Moscone Center di San Francisco.
(Di cosa stiamo parlando? Di questo test dell'iPhone, delle considerazioni che ne sono seguite e della diretta che si prepara come detto su Macity)
(Di cosa stiamo parlando? Di questo test dell'iPhone, delle considerazioni che ne sono seguite e della diretta che si prepara come detto su Macity)
Domenica californiana, ma sempre domenica
ANCHE A SAN Francisco è domenica. Ci sono volute 24 ore per arrivare da queste parti, con tutti i piccoli ritardi e perdite di tempo immaginabili. E non ci si può neanche lamentare perché per chi veniva verso est, verso l'Europa, i venti erano pure contrari e ci sono stati ritardi e cancellazioni in numero maggiore. Comunque, una giornata normale per quelli di Delta. JFK nel panico come sempre. In compenso, essendo domenica, non siamo solo a 24 ore di distanza dal keynote di Steve Jobs qui alla WWDC, ma anche a tiro per il consueto Doonesbury di Gary B. Trudeau. Se cliccate si ingrandisce e riuscite a leggere...
8.6.07
San Francisco
L'ERA DELL'IPHONE, per fare una sobria sintesi di quanto si va leggendo a giro in rete, sta per cominciare. Meglio ancora dell'iPod, perché tutti si aspettano lo stesso successo (se non di più), ma questa volta vogliono poterlo dire fin dal principio che l'avevano capito. Vedremo. Intanto, domattina vado a San Francisco, grazie al buon vecchio volo della Delta (DL85) che mi scarrozza sino al JFK di New York e poi da lì un "rapido" volo sino a SFO San Francisco.
Il tema di quel che succede nella città californiana è parzialmente collegato: si tratta di un evento organizzato da Apple, la WorldWide Developer Conference (WWDC), durante il quale non si dovrebbe parlare troppo di iPhone. Il telefono uscirà il prossimo 29 giugno, quindi ancora c'è tempo. Qui si parlerà probabilmente del nuovo MacOs X, 10.5, che uscirà ad ottobre ma che dovrebbe essere presentato nella sua intierezza, compresa cioè quella interfaccia "nuova" che si dice sia stata tenuta un po' in ombra per dar tempo a Microsoft di presentare Windows Vista e copiare il passato (e non il futuro) di Apple.
Magari presenteranno anche qualche altra cosa, un paio di prodotti, un po' di novità. Non penso che vogliano presentare un iPhone #2 a due settimane dal lancio del primo modello, perché sarebbe abbastanza suicida, però non si sa mai. Intanto, rivedo San Francisco dopo un bel po' - e un bel po' mi manca anche, la città. Nei mesi scorsi avevo fatto dei cambiamenti profondi rispetto alle mie abitudini, spostandomi una panchina più in là rispetto a quella dove d'abitudine vado a leggere, in cima a Nob Hill. La nuova panchina è quella indicata nell'immagine, quella vecchia è alla sua immediata destra. Sperando che ci sia un po' di sole, sapete dove trovarmi fino a giovedì...
Il tema di quel che succede nella città californiana è parzialmente collegato: si tratta di un evento organizzato da Apple, la WorldWide Developer Conference (WWDC), durante il quale non si dovrebbe parlare troppo di iPhone. Il telefono uscirà il prossimo 29 giugno, quindi ancora c'è tempo. Qui si parlerà probabilmente del nuovo MacOs X, 10.5, che uscirà ad ottobre ma che dovrebbe essere presentato nella sua intierezza, compresa cioè quella interfaccia "nuova" che si dice sia stata tenuta un po' in ombra per dar tempo a Microsoft di presentare Windows Vista e copiare il passato (e non il futuro) di Apple.
Magari presenteranno anche qualche altra cosa, un paio di prodotti, un po' di novità. Non penso che vogliano presentare un iPhone #2 a due settimane dal lancio del primo modello, perché sarebbe abbastanza suicida, però non si sa mai. Intanto, rivedo San Francisco dopo un bel po' - e un bel po' mi manca anche, la città. Nei mesi scorsi avevo fatto dei cambiamenti profondi rispetto alle mie abitudini, spostandomi una panchina più in là rispetto a quella dove d'abitudine vado a leggere, in cima a Nob Hill. La nuova panchina è quella indicata nell'immagine, quella vecchia è alla sua immediata destra. Sperando che ci sia un po' di sole, sapete dove trovarmi fino a giovedì...
7.6.07
L'Angelo della dimenticanza
UN ANNETTO FA avevo scritto un breve libriccino (è per via sua che quando mi chiedono quanti libri ho scritto rispondo "due e mezzo") intitolato La memoria del futuro. Per concluderlo, avevo chiesto consiglio ad Aldo Grasso che mi aveva suggerito una cosa scritta da lui alcuni anni prima. E' la storia dell'Angelo della dimenticanza, che secondo gli ebrei ha un ruolo fondamentale nella vita delle persone. Quando si nasce, ci viene insegnata tutta la Torah e poi un angelo passa e ce la fa dimenticare. Cosicché, quando la si studia, non la si apprende per la prima volta ma la si ricorda.
E' una tesi suggestiva, che in qualche modo si sposa bene con questo articolo del New York Times secondo il quale "dimenticare fa parte dell'esperienza del ricordare".
E' una tesi suggestiva, che in qualche modo si sposa bene con questo articolo del New York Times secondo il quale "dimenticare fa parte dell'esperienza del ricordare".
6.6.07
Tornare e partire
ECCOMI APPENA GIUNTO da Cannes (tracce del viaggio e delle sue motivazioni si ritrovano in questo mio ulteriore posto). Adesso, doccia, pediluvio, un po' di sonno ristoratore e fra due giorni vado a San Francisco. La Word Wide Developer Conference di Apple è alle porte! Però, nel frattempo, cominciatevi a gustare questa anticipazione video e pensate: a fine agosto ci vado...
Note di colore: il volo (effettuato con un Dornier di AirAlps) dura 45 minuti scarsi. Tanto il tempo che il turboelica impiega a rettificare i 400 chilometri circa di strada fra l'aeroporto di Nizza (che è il secondo di francia, tra l'altro) e la Malpensa. Una barzelletta, rispetto ai voli intercontinentali che ho fatto e che mi attendono. Ecco, indovinate fra tutte le volte che potevano farmi l'upgrade in business class, quando hanno scelto di farmelo, quei giocherelloni di Alitalia...
Note di colore: il volo (effettuato con un Dornier di AirAlps) dura 45 minuti scarsi. Tanto il tempo che il turboelica impiega a rettificare i 400 chilometri circa di strada fra l'aeroporto di Nizza (che è il secondo di francia, tra l'altro) e la Malpensa. Una barzelletta, rispetto ai voli intercontinentali che ho fatto e che mi attendono. Ecco, indovinate fra tutte le volte che potevano farmi l'upgrade in business class, quando hanno scelto di farmelo, quei giocherelloni di Alitalia...
4.6.07
The real flamingos
SONO STATI GIORNI di una certa stanchezza: di ritorno da Praga, pronto per andare a Cannes e poi, sabato prossimo, a San Francisco (la WWDC è alle porte...). Come rilassarsi? Cosa fare nel frattempo?
Ho un po' di libri che sto macinando, tra una pausa lavorativa e l'altra. Niente di speciale, soprattutto saggi. Alcuni (molti) erano già stati segnalati in passato in questo Posto. In realtà, devo anche mettere una libreria nuova perché qui non ci sta più niente: il caos regna sovrano e i libri impilati si nascondono l'un l'altro alla vista. In compenso, ho visto un po' di videos...
In particolare, siccome sono un accanito fan di Boston Legal, ho recuperato sia l'attuale terza stagione che una vecchia chicca. Per quanto concerne la terza di BL, l'ho visto tutto meno la puntata numero 23, che dovrebbe poi anche essere l'ultima per quest'anno. Niente paura, me la vedo con calma stasera. Il telefilm è gustoso e viene "portato" da una delle più affascinanti coppie che il piccolo schermo ci abbia regalato: Alan Shore (James Spader) e Denny Crane (William Shatner). Meravigliosi flamingos. Va visto, anche se - come al solito - il doppiaggio italiano non rende per niente (sono sbagliati proprio i colori delle voci).
Però, siccome ero curioso e alla fine non ce l'ho fatta più, mi sono scaricato anche l'ottava e ultima stagione di The Practice, il telefilm da cui BL è nato come spin-off. Beh, volevo vedere gli esordi di Spader nel ruolo di Alan Shore, visto che il suo è il personaggio che attraverso quattro anni (cinque, contando che probabilmente ha fatto la sua comparsa alla fine della settima di The Practice) è cambiato di più. Non tanto come tratti del carattere - anche se è passato da una figura ambigua, disonesta e tendenzialmente autodistruttiva a una fantastica astrazione da fumetti - quanto come recitazione. Spader, che è un discreto attore, l'ha cesellato lentamente. Probabilmente nella seconda stagione di BL ha dato il meglio, mantenendosi controllato e al tempo stesso felice interprete di una follia lucida e geniale.
Rivisitare (o visitare per la prima volta) la prima serie legale creata da David E. Kelly - che è anche il papà di BL oltre che di Ally McBeal - è stata una piacevole sorpresa. Non sono molti i casi di eutanasia in diretta di una serie televisiva. Gli archi delle varie storie vengono portati a termine in maniera soddisfacente, BL ne esce più che come un vero spin-off (che prevederebbe la continuazione della serie-madre) piuttosto come una continuazione sotto altre spoglie dell'originale, e nel complesso c'è un gran senso di chiusura. Certo, il ritmo e tutto sommato anche l'obiettivo di The Practice era completamente diverso: più "povero" e ruspante, con anti-personaggio, era una fotografia parziale di Boston, una via di mezzo tra sit-com in teatro e set in esterna per cercare di raccontare storie legali minimali. Belle caratterizzazioni, storie tesi, alternanza saggia di archi lunghi e corti, incrociati o intrecciati. E una battuta rivelatrice.
In una delle ultime puntate, l'esperto di focus group assunto per monitorare la giuria in un mega-processo (che monopolizza tre puntate e mette a luce la vita privata di Alan Shore) a un certo punto arriva con i risultati del suo panel di controllo: "Buone notizie e cattive notizie". "Prima le cattive", risponde Shore. "Le cattive sono che la giuria è convinta della colpevolezza del vostro cliente. La buona è che ama lei, mr. Shore". Una micro-rivelazione dei focus group che hanno convinto la Abc a scommettere su una serie basata sul personaggio interpretato da James Spader?
Ho un po' di libri che sto macinando, tra una pausa lavorativa e l'altra. Niente di speciale, soprattutto saggi. Alcuni (molti) erano già stati segnalati in passato in questo Posto. In realtà, devo anche mettere una libreria nuova perché qui non ci sta più niente: il caos regna sovrano e i libri impilati si nascondono l'un l'altro alla vista. In compenso, ho visto un po' di videos...
In particolare, siccome sono un accanito fan di Boston Legal, ho recuperato sia l'attuale terza stagione che una vecchia chicca. Per quanto concerne la terza di BL, l'ho visto tutto meno la puntata numero 23, che dovrebbe poi anche essere l'ultima per quest'anno. Niente paura, me la vedo con calma stasera. Il telefilm è gustoso e viene "portato" da una delle più affascinanti coppie che il piccolo schermo ci abbia regalato: Alan Shore (James Spader) e Denny Crane (William Shatner). Meravigliosi flamingos. Va visto, anche se - come al solito - il doppiaggio italiano non rende per niente (sono sbagliati proprio i colori delle voci).
Però, siccome ero curioso e alla fine non ce l'ho fatta più, mi sono scaricato anche l'ottava e ultima stagione di The Practice, il telefilm da cui BL è nato come spin-off. Beh, volevo vedere gli esordi di Spader nel ruolo di Alan Shore, visto che il suo è il personaggio che attraverso quattro anni (cinque, contando che probabilmente ha fatto la sua comparsa alla fine della settima di The Practice) è cambiato di più. Non tanto come tratti del carattere - anche se è passato da una figura ambigua, disonesta e tendenzialmente autodistruttiva a una fantastica astrazione da fumetti - quanto come recitazione. Spader, che è un discreto attore, l'ha cesellato lentamente. Probabilmente nella seconda stagione di BL ha dato il meglio, mantenendosi controllato e al tempo stesso felice interprete di una follia lucida e geniale.
Rivisitare (o visitare per la prima volta) la prima serie legale creata da David E. Kelly - che è anche il papà di BL oltre che di Ally McBeal - è stata una piacevole sorpresa. Non sono molti i casi di eutanasia in diretta di una serie televisiva. Gli archi delle varie storie vengono portati a termine in maniera soddisfacente, BL ne esce più che come un vero spin-off (che prevederebbe la continuazione della serie-madre) piuttosto come una continuazione sotto altre spoglie dell'originale, e nel complesso c'è un gran senso di chiusura. Certo, il ritmo e tutto sommato anche l'obiettivo di The Practice era completamente diverso: più "povero" e ruspante, con anti-personaggio, era una fotografia parziale di Boston, una via di mezzo tra sit-com in teatro e set in esterna per cercare di raccontare storie legali minimali. Belle caratterizzazioni, storie tesi, alternanza saggia di archi lunghi e corti, incrociati o intrecciati. E una battuta rivelatrice.
In una delle ultime puntate, l'esperto di focus group assunto per monitorare la giuria in un mega-processo (che monopolizza tre puntate e mette a luce la vita privata di Alan Shore) a un certo punto arriva con i risultati del suo panel di controllo: "Buone notizie e cattive notizie". "Prima le cattive", risponde Shore. "Le cattive sono che la giuria è convinta della colpevolezza del vostro cliente. La buona è che ama lei, mr. Shore". Una micro-rivelazione dei focus group che hanno convinto la Abc a scommettere su una serie basata sul personaggio interpretato da James Spader?
3.6.07
Domenica. Doonesbury. Trudeau
2.6.07
And now they are totally flamingos...
E' STATO IL loro momento kumbaya: Bill e Steve, Steve e Bill. Occhi umidi in platea per il matrimonio segreto della storia informatica...
Qui ci sono le altre sei parti e tutto quel che serve sapere della storica doppia intervista a Steve Jobs e Bill Gates durante l'appena concluso D: All Things Digital del Wall Street Journal...
Qui ci sono le altre sei parti e tutto quel che serve sapere della storica doppia intervista a Steve Jobs e Bill Gates durante l'appena concluso D: All Things Digital del Wall Street Journal...
1.6.07
Praga
SONO MOMENTANEAMENTE A Praga. Rientro con Alitalia stasera. Tempo fantastico: non i 35 gradi di Mosca, ma 28 sì. A Milano invece è uno schifo...
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