SE N'E' ANDATA Hildegarde, cioè Hildegarde Loretta Sell nata ad Adell, nel Wisconsin. Cabarettista novantanovenne, è morta a New York, dopo aver calcato per settant'anni la scena. Era stata definitia dal critico teatrale Walter Winchell "The Incomparable Hildegarde" ed aveva lanciato per prima la moda del nome singolo. Era famosa anche per il suo ritmo impressionante di lavoro: fino a 45 settimane di cabaret e supper clubs all'anno nei periodi d'oro degli anni Trenta e Quaranta.
Nel 1939 aveva guadagnato la copertina di Time e nel 1961 aveva pubblicato per Doubleday la sua autobiografia intitolata Over 50 .... So What! (mai tradotta in italiano). Il brano che l'aveva resa famosa nei club e a teatro era Darling, Je Vous Aime Beaucoup.
Non è riuscita a raggiungere la cifra tonda, i cento anni, ma c'è comunque andata parecchio vicina.
(io non sono riuscito a trovare sue foto d'epoca. Se ne vedete a giro per Internet, vi prego di segnalarmele nei commenti con l'indirizzo)
Aggiornamento Grazie a PincoPallina - onore al merito - abbiamo trovato la foto. Anzi, le foto. Da notare, come scrive la preziosa giovine nei commenti a questo post, che non di Time si trattava ma di Life, altro newsmagazine statunitense. E che la data di pubblicazione era il 17 aprile del 1939.
31.7.05
Cronache milanesi
OGGI E' UFFICIALMENTE iniziata l'estate. Milano si è ufficialmente svuotata. Io rimango ufficialmente qui. Chi resta in città ha ufficialmente voglia di evadere...
La progressione è chiara e consueta: esodo biblico - ma quest'anno sono stati più previdenti e grazie a servizi televisivi catastrofisti molti sono partiti a piedi o in bicicletta per scongiurare le code - città deserta, negozi chiusi, vacanzieri di luglio che rientrano al lavoro con i volti sereni e una certa abbronzatura, nei bar la mattina di domenica gran voglia di cazzeggiare.
Il supermercato dietro casa ha affisso un cartello: Il direttore invita tutti quelli che rimangono insieme a noi durante agosto a prendere un buon caffé. Offriamo noi. C'è la coda di pensionati, felici della generosa offerta della direzione del loro non-luogo preferito.
Ps: Il Corriere della Sera ancora non ha pubblicato l'articolo sui single rimasti in città che vanno ad imbroccare all'Esselunga di viale Papiniano. Peccato: è un vecchio classico, come il discorso del Presidente la sera di Capodanno. Speriamo sia solo una svista e rimedino presto...
La progressione è chiara e consueta: esodo biblico - ma quest'anno sono stati più previdenti e grazie a servizi televisivi catastrofisti molti sono partiti a piedi o in bicicletta per scongiurare le code - città deserta, negozi chiusi, vacanzieri di luglio che rientrano al lavoro con i volti sereni e una certa abbronzatura, nei bar la mattina di domenica gran voglia di cazzeggiare.
Il supermercato dietro casa ha affisso un cartello: Il direttore invita tutti quelli che rimangono insieme a noi durante agosto a prendere un buon caffé. Offriamo noi. C'è la coda di pensionati, felici della generosa offerta della direzione del loro non-luogo preferito.
Ps: Il Corriere della Sera ancora non ha pubblicato l'articolo sui single rimasti in città che vanno ad imbroccare all'Esselunga di viale Papiniano. Peccato: è un vecchio classico, come il discorso del Presidente la sera di Capodanno. Speriamo sia solo una svista e rimedino presto...
30.7.05
We want writers with a little talent, but no taste
IT WAS A dark and stormy night; the rain fell in torrents--except at occasional intervals, when it was checked by a violent gust of wind which swept up the streets (for it is in London that our scene lies), rattling along the housetops, and fiercely agitating the scanty flame of the lamps that struggled against the darkness.
Edward Bulwer-Lytton, 1st Baron Lytton, Paul Clifford, 1830 -- L'originale da cui tutto è partito, nella sua versione integrale...
Il vincitore di quest'anno del Bulwer-Lytton Fiction Contest è un analista informatico: Dan McKay, di Fargo, North Dakota, che è riuscito a paragonare l'anatomia femminile a un doppio carburatore nell'incipit del suo lavoro.
La motivazione:
A 43-year-old quantitative analyst for Microsoft Great Plains is the winner of the 23rd running of the Bulwer-Lytton Fiction Contest. A resident of Fargo, North Dakota, McKay is currently visiting China, perhaps to escape notoriety for his dubious literary achievement.
L'incipit che ha dominato la sezione "Dark and Stormy night":
As he stared at her ample bosom, he daydreamed of the dual Stromberg carburetors in his vintage Triumph Spitfire, highly functional yet pleasingly formed, perched prominently on top of the intake manifold, aching for experienced hands, the small knurled caps of the oil dampeners begging to be inspected and adjusted as described in chapter seven of the shop manual.
Edward Bulwer-Lytton, 1st Baron Lytton, Paul Clifford, 1830 -- L'originale da cui tutto è partito, nella sua versione integrale...
Il vincitore di quest'anno del Bulwer-Lytton Fiction Contest è un analista informatico: Dan McKay, di Fargo, North Dakota, che è riuscito a paragonare l'anatomia femminile a un doppio carburatore nell'incipit del suo lavoro.
La motivazione:
A 43-year-old quantitative analyst for Microsoft Great Plains is the winner of the 23rd running of the Bulwer-Lytton Fiction Contest. A resident of Fargo, North Dakota, McKay is currently visiting China, perhaps to escape notoriety for his dubious literary achievement.
L'incipit che ha dominato la sezione "Dark and Stormy night":
As he stared at her ample bosom, he daydreamed of the dual Stromberg carburetors in his vintage Triumph Spitfire, highly functional yet pleasingly formed, perched prominently on top of the intake manifold, aching for experienced hands, the small knurled caps of the oil dampeners begging to be inspected and adjusted as described in chapter seven of the shop manual.
Mediazioni
LEGGO SU LIBERO blog, che paga qualche stagista per cercare e pubblicare i "migliori" o i "più interessanti" post della blogsfera italiana, la storia di Natalie, escort newyorkese, arrivata sulla ribalta italiana con un servizio di Panorama in edicola credo questa settimana. Il blog in questione non l'avrei penso mai trovato, (SoftBlog si propone di pubblicare "tutti i giorni notizie fresche sul mondo del soft porno"), ma il servizio è di per sé interessante.
Lode e gloria all'attività di selezione di Libero, dunque, che dà una mano a noi comuni mortali fornendoci una selezione con "il meglio di", cioè le cose più interessanti che arrivano da fonti disparate. Esattamente come avviene con i giornali e le televisioni: sono mediazioni. Solo che giornali e televisioni sono diventati troppi, e "mediano" con troppa abbondanza: avete mai provato a leggere il Corriere della Sera dall'inizio alla fine, tutti i giorni, magari insieme ad altri cinque giornali? E' un lavoro... Bravo Libero, dunque.
Poi, aggiungo un'altra coloritura da "ombelico del mondo" (che è quel che uso - il mio ombelico - per misurare il resto dell'universo), ovvero: una volta fatta la selezione, le persone comunque ci trovano significati altri rispetto a quelli suggeriti da chi opera la mediazione. A me, per esempio, ha colpito l'ultimo paragrafo, cioé quanto segue:
Leggete tutta la storia con le immagini su New York Metro, che Panorama ha riassunto alla meno peggio per il numero uscito ieri.
Quel che ci ho trovato io, in questo articolo di SoftBlog, è che basta sapere un po' d'inglese e ti puoi evitare di leggere la metà dei giornali italiani... Cioè che il giornalismo italiano non si preoccupa più di "trovare" ma semplicemente di "tradurre". In un pezzo sulla più popolare escort di New York è una bella morale...
Lode e gloria all'attività di selezione di Libero, dunque, che dà una mano a noi comuni mortali fornendoci una selezione con "il meglio di", cioè le cose più interessanti che arrivano da fonti disparate. Esattamente come avviene con i giornali e le televisioni: sono mediazioni. Solo che giornali e televisioni sono diventati troppi, e "mediano" con troppa abbondanza: avete mai provato a leggere il Corriere della Sera dall'inizio alla fine, tutti i giorni, magari insieme ad altri cinque giornali? E' un lavoro... Bravo Libero, dunque.
Poi, aggiungo un'altra coloritura da "ombelico del mondo" (che è quel che uso - il mio ombelico - per misurare il resto dell'universo), ovvero: una volta fatta la selezione, le persone comunque ci trovano significati altri rispetto a quelli suggeriti da chi opera la mediazione. A me, per esempio, ha colpito l'ultimo paragrafo, cioé quanto segue:
Leggete tutta la storia con le immagini su New York Metro, che Panorama ha riassunto alla meno peggio per il numero uscito ieri.
Quel che ci ho trovato io, in questo articolo di SoftBlog, è che basta sapere un po' d'inglese e ti puoi evitare di leggere la metà dei giornali italiani... Cioè che il giornalismo italiano non si preoccupa più di "trovare" ma semplicemente di "tradurre". In un pezzo sulla più popolare escort di New York è una bella morale...
Oroscopi
IL MIO OROSCOPO sentimentale per la prossima settimana, secondo IoDonna, indica che il mio cielo "presenta molte nuove e simpatiche proposte". Il suo oroscopo invece promette per le relazioni appena nate, grazie a "felice transito di Venere", delle "giornate e nottate di fuoco".
A questo punto, per avere notizie fresche della situazione, credo che dovrei smettere di leggere l'oroscopo e dedicarmi agli obituaries. Mi sembrano più appropriati...
A questo punto, per avere notizie fresche della situazione, credo che dovrei smettere di leggere l'oroscopo e dedicarmi agli obituaries. Mi sembrano più appropriati...
29.7.05
E voi come baciate?
UN PICCOLO TEST realizzato da Blogthings, il Kissing Purity Test (in inglese), rivela come baciamo. Io ho totalizzato il qui presente risultato.
Da notare, tra l'altro, come durante l'estate si moltiplichino non solo i giochini - Sudoku docet - ma anche i test di tutti i tipi e di tutte le razze. Un meccanismo che consente di rendere "interattiva" l'esperienza delle riviste e che attraverso Internet diventa ancor più intrigante...
Da notare, tra l'altro, come durante l'estate si moltiplichino non solo i giochini - Sudoku docet - ma anche i test di tutti i tipi e di tutte le razze. Un meccanismo che consente di rendere "interattiva" l'esperienza delle riviste e che attraverso Internet diventa ancor più intrigante...
28.7.05
Come due vecchie suocere...
WIRED RICOSTRUISCE LA storia degli esordi di Google. E nell'inedito ritratto i due protagonisti, Larry e Sergey, sono come due vecchie suocere: arroganti, litigiosi, ossessionati dalla tecnologia e dal desiderio di essere i migliori... Ce l'hanno fatta e questo, per Wired, vuol dire che tutti i salmi finiscono in gloria.
Larry thought Sergey was arrogant. Sergey thought Larry was obnoxious. But their obsession with backlinks just might be the start of something big.
Larry thought Sergey was arrogant. Sergey thought Larry was obnoxious. But their obsession with backlinks just might be the start of something big.
27.7.05
Estate
LA TEMPERATURA SI sta alzando ancora. Le vittime italiane a Sharm el Sheik crescono di numero, abbiamo approvato leggi di polizia che non vedevamo dagli anni del terrorismo nostrano, un pezzo del sistema bancario sta per crollare (altri seguiranno). Fa caldo, anche la sera tardi. Dev'essere l'umido.
26.7.05
gloutchov
QUESTO "DIARIO DI viaggio in un mondo pieno di ostacoli" (come dargli torto) è uno strano blog. A partire da quell'avatar preso pari pari da The Ufo Robot Project. Oppure il nome, glotchov, scritto così, senza la maiuscola. Eppure c'è qualcosa che affascina nel procedere un po' saltabeccante del blog di Glauco Silvestri (sarà questo il suo vero nome?) e che invoglia alla lettura.
Sarà il lungo racconto? Adesso siamo al capitolo ventisette di uno strano romanzo che mescola robot, storia alternativa e presente nostrano con manga e influenze televisive. Con i Cyb, sorta di grandi Goldrake o meglio Patlabor a disposizione dell'esercito italiano, impegnati in una guerra spietata di un presente gaiden. C'è avventura, fantascienza, suspance, rischio, ma anche romance, come in tutti i romanzi che si rispettino.
Il giovine, che unisce capacità di scrittura mature a passioni e immaginari adolescenziali, una lettura se la merita. Il consiglio per lui è di mettere ordine tra i capitoli del romanzo, in modo tale da facilitarne la fruizione all'ignavo passante.
Sarà il lungo racconto? Adesso siamo al capitolo ventisette di uno strano romanzo che mescola robot, storia alternativa e presente nostrano con manga e influenze televisive. Con i Cyb, sorta di grandi Goldrake o meglio Patlabor a disposizione dell'esercito italiano, impegnati in una guerra spietata di un presente gaiden. C'è avventura, fantascienza, suspance, rischio, ma anche romance, come in tutti i romanzi che si rispettino.
Il giovine, che unisce capacità di scrittura mature a passioni e immaginari adolescenziali, una lettura se la merita. Il consiglio per lui è di mettere ordine tra i capitoli del romanzo, in modo tale da facilitarne la fruizione all'ignavo passante.
Rumori di fondo
PENDODELIRI CREDO CHE lo abbiano già raccontato in molti. E' un blog ma soprattutto un podcast (link diretto al feed) in pillole di due-tre minuti gustose e sapienti. Chiacchierate in presa diretta, quasi pensieri vaganti, deliri del pendolare registrati in un piccolo dittafono, mentre si guida per andare al lavoro sul raccordo anulare di Roma o sulla mitica via della storta, l'alternativa nei giorni di traffico e allagamenti.
In sottofondo, distorto dalla presenza del rumore dell'auto, accompagna la voce del blogger il suono di un'autoradio sapientemente sintonizzata su pezzi jazz, melodie arcane, passaggi in francese che fanno tanto Lost e tanto amanti delle onde medie, di contro alla generazione degli "Fm boys".
Le riflessioni, i soliloqui, svariano dalla poesia alla politica, dalla cronaca propria alla vita altrui. La capacità di legare il senso è volutamente lasciata sospesa, qui premia la sintesi e la magia della parola che si rincorre. Se siete in cerca di motivi per sperimentare il podcast ma non volete affogare nell'inglese onnipresente della rete, questa è una sapiente alternativa, tutta giocata sui rumori di fondo, sia del viaggio che del senso nelle parole.
Al margine, per dire, c'è anche questo "the haiku corner":
dove il vuoto brucia
sognarti ancora
carpire d'autunno
un fiume di metallo
In sottofondo, distorto dalla presenza del rumore dell'auto, accompagna la voce del blogger il suono di un'autoradio sapientemente sintonizzata su pezzi jazz, melodie arcane, passaggi in francese che fanno tanto Lost e tanto amanti delle onde medie, di contro alla generazione degli "Fm boys".
Le riflessioni, i soliloqui, svariano dalla poesia alla politica, dalla cronaca propria alla vita altrui. La capacità di legare il senso è volutamente lasciata sospesa, qui premia la sintesi e la magia della parola che si rincorre. Se siete in cerca di motivi per sperimentare il podcast ma non volete affogare nell'inglese onnipresente della rete, questa è una sapiente alternativa, tutta giocata sui rumori di fondo, sia del viaggio che del senso nelle parole.
Al margine, per dire, c'è anche questo "the haiku corner":
dove il vuoto brucia
sognarti ancora
carpire d'autunno
un fiume di metallo
25.7.05
Il software perfetto
UN PROBLEMA DI economia: quando si vuol realizzare un prodotto la cui riproduzione non costa niente (mettiamo un software, che poi i cd li stampano tutti alla stessa maniera) conviene risparmiare sui programmatori per ridurre le spese? Quando si compete in un mercato in cui il primo vince tutto e il secondo annaspa insieme agli ultimi, conviene risparmiare sulla qualità del prodotto finale? Quando si cerca di costruire un'armata per conquistare il mondo e il mercato, conviene avere un Re Davide che lo comandi (di biblica memoria) e un esercito di onesti mestieranti ai suoi ordini?
Secondo il guru Joel on Software, decisamente no...
Secondo il guru Joel on Software, decisamente no...
Nanomusica
NON SARA' MAI figo come un iPod (come uno shuffle, per la precisione, che poi sarebbe il mio attuale migliore amico), ma almeno sarà il più piccolo e il più leggero.
Si tratta del DAH-1500, prodotto da mobiBLU, con "forme" impressionanti: 24 millimetri di lato su di un cubo perfetto da 18 grammi, con display Oled e autonomia per 17 ore... Nella foto qui sotto è l'ultimo a destra.
Si tratta del DAH-1500, prodotto da mobiBLU, con "forme" impressionanti: 24 millimetri di lato su di un cubo perfetto da 18 grammi, con display Oled e autonomia per 17 ore... Nella foto qui sotto è l'ultimo a destra.
Il futuro te lo dice il telefonino
IL TELEFONINO, QUEL piccolo oggetto che tutti più o meno ci portiamo dietro, se debitamente monitorato può dire tante cose di noi.
Secondo quanto scrive Wired al MIT hanno fatto un interessante esperimento di data mining, che è servito contemporaneamente a documentare e predire la vita di cento tra docenti e personale della facoltà stessa. Nathan Eagle, l'autore della ricerca, ha registrato 350 mila ore (in nove mesi) di attività delle persone seguendo le tracce lasciate nelle differenti celle dai loro telefonini: dove andavano, quanto ci stavano, cosa facevano, se telefonavano e per quanto. Adesso, archiviati e analizzati i dati, salta fuori la parte interessante.
Eagle ha infatti realizzato un algoritmo (e quindi un software connesso) in grado di dire dove vanno e quanto ci stanno professori e dipendenti del Mit. Prima che ci vadano e che lo facciano. Con una precisione dell'85 per cento...
Analoghi progetti erano nati per monitorare i flussi di traffico cittadino, cioè per capire i percorsi oltre che le presenze in determinati spazi della città.
Tutto questo perché i telefoni cellulari sono come radiofari che comunicano costantemente con le singole cellule (da qui il nome) del sistema la loro posizione. Monitorando gli spostamenti, si tracciano con grana fine i movimenti delle persone, tante o poche a seconda delle scelte. Sto prendendo in seria considerazione l'ipotesi di spengere il mio cellulare...
Secondo quanto scrive Wired al MIT hanno fatto un interessante esperimento di data mining, che è servito contemporaneamente a documentare e predire la vita di cento tra docenti e personale della facoltà stessa. Nathan Eagle, l'autore della ricerca, ha registrato 350 mila ore (in nove mesi) di attività delle persone seguendo le tracce lasciate nelle differenti celle dai loro telefonini: dove andavano, quanto ci stavano, cosa facevano, se telefonavano e per quanto. Adesso, archiviati e analizzati i dati, salta fuori la parte interessante.
Eagle ha infatti realizzato un algoritmo (e quindi un software connesso) in grado di dire dove vanno e quanto ci stanno professori e dipendenti del Mit. Prima che ci vadano e che lo facciano. Con una precisione dell'85 per cento...
Analoghi progetti erano nati per monitorare i flussi di traffico cittadino, cioè per capire i percorsi oltre che le presenze in determinati spazi della città.
Tutto questo perché i telefoni cellulari sono come radiofari che comunicano costantemente con le singole cellule (da qui il nome) del sistema la loro posizione. Monitorando gli spostamenti, si tracciano con grana fine i movimenti delle persone, tante o poche a seconda delle scelte. Sto prendendo in seria considerazione l'ipotesi di spengere il mio cellulare...
Parafrasi: Shoot-to-Kill
MI PERMETTO DI riprendere interamente le argomentazioni di Bruce Schneier per chi non abbia addomesticato abbastanza l'inglese. Il mio livello di addomesticatura è limitato, ma almeno si capisce il senso, spero...
Shoot-to-Kill
Negli ultimi giorni abbiamo imparato che la Polizia metropolitana di Londra ha instaurato una politica dello "sparare per uccidere" quando si trova ad avere a che fare con dei terroristi suicidi. La teoria è che solo un colpo diretto alla testa possa uccidere il terrorista immediatamente e quindi impedirgli di eseguire l'attacco suicida con la bomba.
Roy Ramm, ex responsabile delle operazioni speciali della Polizia metropolitana, ha dichiarato che le regole per affrontare un potenziale suicida armato di bombe sono state recentemente cambiate con il cosiddetto "sparare per uccidere". Mr. Ramm ha dichiarato che il pericolo nello sparare al corpo di un sospetto suicida armato di bomba sta nel fatto che potrebbe ancora avere il tempo per far esplodere l'ordigno che porta con sé.
"Il fatto è - ha detto l'ex agente - che quando si ha a che fare con un suicida armato di bombe l'unico modo efficace che avete per fermarlo - e per proteggervi - è tentare un colpo alla testa".
Questa strategia è basata sull'assunto particolarmente miope che il terrorista abbia bisogno di premere un pulsante per far detonare l'ordigno. In realtà, a partire dalla Prima guerra mondiale il tipo più comune di bomba portata da un individuo è stata la granata a mano. E' perfettamente logico, soprattutto quando sia risaputo che vi è una strategia "spara per uccidere" in atto, che gli attentatori suicidi che portano le bombe utilizzino un tipo di innesco "a uomo morto": la detonazione avviene quando il pulsante viene rilasciato, non quando viene premuto.
Questa è una situazione difficile. Qualsiasi strategia scegliate, i terroristi si adatteranno per renderla sbagliata. La polizia adesso è dispiaciuta di aver accidentalmente ucciso un innocente che riteneva essere un suicida armato di bomba, e io posso di sicuro capire il loro sbaglio. Alla fine, la soluzione migliore è di preparare al meglio gli agenti di polizia e lasciar loro le decisioni finali sul campo. Anche se, in tutta onestà, strategie che portino con maggior probabilità ad incarcerare sospettati ancora vivi e che possano essere interrogati sono migliori di strategie il cui risultato sono solo dei corpi inanimati
Shoot-to-Kill
Negli ultimi giorni abbiamo imparato che la Polizia metropolitana di Londra ha instaurato una politica dello "sparare per uccidere" quando si trova ad avere a che fare con dei terroristi suicidi. La teoria è che solo un colpo diretto alla testa possa uccidere il terrorista immediatamente e quindi impedirgli di eseguire l'attacco suicida con la bomba.
Roy Ramm, ex responsabile delle operazioni speciali della Polizia metropolitana, ha dichiarato che le regole per affrontare un potenziale suicida armato di bombe sono state recentemente cambiate con il cosiddetto "sparare per uccidere". Mr. Ramm ha dichiarato che il pericolo nello sparare al corpo di un sospetto suicida armato di bomba sta nel fatto che potrebbe ancora avere il tempo per far esplodere l'ordigno che porta con sé.
"Il fatto è - ha detto l'ex agente - che quando si ha a che fare con un suicida armato di bombe l'unico modo efficace che avete per fermarlo - e per proteggervi - è tentare un colpo alla testa".
Questa strategia è basata sull'assunto particolarmente miope che il terrorista abbia bisogno di premere un pulsante per far detonare l'ordigno. In realtà, a partire dalla Prima guerra mondiale il tipo più comune di bomba portata da un individuo è stata la granata a mano. E' perfettamente logico, soprattutto quando sia risaputo che vi è una strategia "spara per uccidere" in atto, che gli attentatori suicidi che portano le bombe utilizzino un tipo di innesco "a uomo morto": la detonazione avviene quando il pulsante viene rilasciato, non quando viene premuto.
Questa è una situazione difficile. Qualsiasi strategia scegliate, i terroristi si adatteranno per renderla sbagliata. La polizia adesso è dispiaciuta di aver accidentalmente ucciso un innocente che riteneva essere un suicida armato di bomba, e io posso di sicuro capire il loro sbaglio. Alla fine, la soluzione migliore è di preparare al meglio gli agenti di polizia e lasciar loro le decisioni finali sul campo. Anche se, in tutta onestà, strategie che portino con maggior probabilità ad incarcerare sospettati ancora vivi e che possano essere interrogati sono migliori di strategie il cui risultato sono solo dei corpi inanimati
Una tragedia greca nella Grande Mela
SI CHIAMA STEPHANIE Klein, ha quasi trent'anni, un ottimo lavoro, un bel po' di soldi, single e ben in forma. Col suo blog, Greek Tragedy sta diventando un caso negli Stati Uniti: decine di migliaia di contatti, un "piglio" come Sex and the City, solo un po' più romantica e sfigata. Cosa le manca? Dopo un po' di articoli sui giornali locali della Grande Mela è approdata al New York Times, sta scrivendo un libro e ne ha già in canna un altro. La Nbc, poi, pare voglia fare una sit-com della sua storia e... lei non si ferma più.
Quello di Stephanie è un diario di vita in cui la giovane di origine greca confida i tormenti quotidiani, racconta le piccole, mezze avventure di una ragazza upper class persa nel gorgo di una vita rutilante che sembra una soap (o un reality, dicono subito quelli che sono attenti ai formati televisivi), che alterna storie buone a storie sfortunate, mezze vittorie a mezze sconfitte. E mette online anche tante polaroid delle sue giornate (è pure belloccia, anche se dice di essere una cicciona dimagrita brutalmente in pochi mesi). Se non fosse per la barriera linguistica, sarebbe già un successo anche qui da noi...
23.7.05
Maledetti...
TRA CIRCA DIECI minuti mi finisce la promozione Tim WebTime vattelapesca. Cioè la promozione in base alla quale pagando 20 euro per trenta giorni la sera dalle 18 alle otto del mattino e nei giorni festivi ho potuto navigare col telefonino senza pagare le esose cifre - totalmente fuori mercato, da strozzinaggio - che vengono imposte dagli avidi gestori telefonici.
Il costo della connessione ad Internet tramite telefonino per il computer - che servirebbe come sistema alternativo all'Adsl o alla fibra o al modem dalla linea telefonica di casa - è una cosa da corte marziale. Se vi fossero aliti di concorrenza reale, in questo Paese, i prezzi non funzionerebbero così. Maledetti...
Il costo della connessione ad Internet tramite telefonino per il computer - che servirebbe come sistema alternativo all'Adsl o alla fibra o al modem dalla linea telefonica di casa - è una cosa da corte marziale. Se vi fossero aliti di concorrenza reale, in questo Paese, i prezzi non funzionerebbero così. Maledetti...
21.7.05
Consigli per i viaggiatori
E', COME AVRETE visto dalle notizie di oggi da Londra, un periodo difficile. Un amico, di cui per il tipo di lavoro non posso fare il nome, mi ha dato un consiglio che condivido qui con chi lo legge e pensa che ne possa trarre una qualche utilità. Lui suggerisce, per incrementare la sicurezza dei viaggi in metropolitana (a Milano, a Roma e a Napoli, non credo ce ne siano altre in Italia) di utilizzare esclusivamente la prima o l'ultima carrozza.
Mi dice che nei suoi riservati ambienti vi è la certezza, oltre a statistiche non diffuse pubblicamente che lo dimostrano, che si tratti delle due carrozze più sicure, vista la tendenza dei terroristi a colpire nel centro per massimizzare l'impatto e quindi il danno in entrambe le direzioni. Ecco, questo è il consiglio, fatene buon uso.
Mi dice che nei suoi riservati ambienti vi è la certezza, oltre a statistiche non diffuse pubblicamente che lo dimostrano, che si tratti delle due carrozze più sicure, vista la tendenza dei terroristi a colpire nel centro per massimizzare l'impatto e quindi il danno in entrambe le direzioni. Ecco, questo è il consiglio, fatene buon uso.
Un caso eclatante
DOPO CHE IL bravo Paolo Attivissimo si è scagliato contro Giuseppe Turani, reo di aver scritto cose alquanto dubbie sulle future virtù di Windows Longhorn, mi permetto di dare un buffetto anche io a un giornalista di Repubblica, per la precisione Ernesto Assante, che ci regala un rivoluzionario servizio intitolato: Il Dvd più piccolo del mondo; Così il cinema diventa tascabile. E poi, come sommario: a settembre "dischi" minuscoli e lettori grandi come un telefonino, E in casa gli schermi diventano giganti e il sonoro migliora sempre più.
Di cosa stiamo parlando? Quale mirabolante tecnologia si è affermata e sta rivoluzionando il mercato? Qualcosa di nuovo e inaudito? Siamo di fronte a una Notizia, forse? Le notizie su Repubblica, diceva il mio ex caporedattore, ci vuole il sonar per trovarle.
No. Qui parliamo di qualcosa di già visto e stravisto. Oggetto dell'articolo è la versione da passeggio della Playstation di Sony, la Psp. Che, a dire il vero, ancora non si è affermata (come sembra dare in parte per scontato l'articolo), anche perché qui da noi uscirà a settembre e comunque è in piena guerra con il Nintendo DS, tanto per dire. Il quale non fa vedere i film, certo, ma questo nel pezzo magari in due righe si poteva anche dire, tanto per completezza. La Sony, però, come tutte le aziende che si rispettino, sta iniziando con un certo anticipo a promuovere commercialmente i suoi prodotti per la stagione autunnale, e quindi è facile capire il bombardamento di comunicati stampa e magari viaggi in loco (Tokyo? Why not?) per vedere dal vivo il prodigio tecnologico.
Da notare che nella classifica delle imparziali rappresentazioni di prodotti commerciali, Assante in realtà fa un lavoro da buon giornalista, descrivendo se non altro come una potenzialità quello che nei comunicati stampa appare come una verità divina:
La Sony prevede di vendere in un anno, in Italia, 250.000 Psp e di aprire una nuova era dell'intrattenimento personale, rivoluzionando il mercato. Ma "il cinema lo si vede in sala", dicono già i critici. Si, ma non è sempre stato così. Anzi, il cinema delle origini, in realtà, le sale non sapeva nemmeno cosa fossero.
Chi deve fare il lavoro sporco è l'anonimo titolista e sopra tutti il responsabile di redazione che sceglie proprio quello come argomento da mettere in pagina. Nel caso di Turani è probabile che faccia tutto da solo (è capo di se stesso e cura personalmente la titolazione delle sue pagine oltre che di quelle altrui, si dice tra gli addetti ai lavori), nel caso di Assante la decisione con tutta probabilità si diluisce su più soggetti.
Questo mi fa venire in mente un'altra cosa. Adesso che i giornali sono a colori, ho sentito che i pubblicitari hanno timore che il pubblico non riconosca più la "loro" pubblicità rispetto agli articoli. Temo purtroppo che non sia il colore il problema...
Di cosa stiamo parlando? Quale mirabolante tecnologia si è affermata e sta rivoluzionando il mercato? Qualcosa di nuovo e inaudito? Siamo di fronte a una Notizia, forse? Le notizie su Repubblica, diceva il mio ex caporedattore, ci vuole il sonar per trovarle.
No. Qui parliamo di qualcosa di già visto e stravisto. Oggetto dell'articolo è la versione da passeggio della Playstation di Sony, la Psp. Che, a dire il vero, ancora non si è affermata (come sembra dare in parte per scontato l'articolo), anche perché qui da noi uscirà a settembre e comunque è in piena guerra con il Nintendo DS, tanto per dire. Il quale non fa vedere i film, certo, ma questo nel pezzo magari in due righe si poteva anche dire, tanto per completezza. La Sony, però, come tutte le aziende che si rispettino, sta iniziando con un certo anticipo a promuovere commercialmente i suoi prodotti per la stagione autunnale, e quindi è facile capire il bombardamento di comunicati stampa e magari viaggi in loco (Tokyo? Why not?) per vedere dal vivo il prodigio tecnologico.
Da notare che nella classifica delle imparziali rappresentazioni di prodotti commerciali, Assante in realtà fa un lavoro da buon giornalista, descrivendo se non altro come una potenzialità quello che nei comunicati stampa appare come una verità divina:
La Sony prevede di vendere in un anno, in Italia, 250.000 Psp e di aprire una nuova era dell'intrattenimento personale, rivoluzionando il mercato. Ma "il cinema lo si vede in sala", dicono già i critici. Si, ma non è sempre stato così. Anzi, il cinema delle origini, in realtà, le sale non sapeva nemmeno cosa fossero.
Chi deve fare il lavoro sporco è l'anonimo titolista e sopra tutti il responsabile di redazione che sceglie proprio quello come argomento da mettere in pagina. Nel caso di Turani è probabile che faccia tutto da solo (è capo di se stesso e cura personalmente la titolazione delle sue pagine oltre che di quelle altrui, si dice tra gli addetti ai lavori), nel caso di Assante la decisione con tutta probabilità si diluisce su più soggetti.
Questo mi fa venire in mente un'altra cosa. Adesso che i giornali sono a colori, ho sentito che i pubblicitari hanno timore che il pubblico non riconosca più la "loro" pubblicità rispetto agli articoli. Temo purtroppo che non sia il colore il problema...
AB... origines
L'IDEOLOGIA E' UNA brutta bestia, perché sta confitta profondamente in noi. E' figlia della nostra cultura e del nostro tempo. Si manifesta nel modo in cui guardiamo il mondo. Rende il dibattito sul relativismo... relativo.
Prendete per esempio l'Enciclopedia Britannica, considerata a lungo la summa del sapere moderno. L'edizione del 1911 è considerata la migliore in assoluto tra quelle pubblicate sinora. Consta di 29 volumi e contiene più di 44 milioni di parole, cioè oltre 40 mila articoli scritti da 1.500 tra i migliori autori della sua epoca.
Fortunatamente, cotanto patrimonio è per buona parte e gratuitamente online, qui. E si presta a un interessante esperimento. Prendiamo una delle prime voci, Aborigines, cioè aborigeni (all'inglese, con due "i", non all'americana, con la seconda "e"). Dopo una introduzione pari a due terzi del testo che racconta l'etimologia (tutta italiana, peraltro) del termine, si arriva alla parte descrittiva e programmatica:
In modern times the term "Aborigines" has been extended in signification, and is used to indicate the inhabitants found in a country at its first discovery, in contradistinction to colonies or new races, the time of whose introduction into the country is known.
The Aborigines' Protection Society was founded in 1838 in England as the result of a royal commission appointed at the instance of: Sir T. Fowell Buxton to, inquire into the treatment of the indigenous populations of the various British colonies,; The inquiry revealed the gross cruelty and injustice with which the natives had been often treated. Since its foundation the society has done much to make English colonization a synonym for humane and generous treatment of savage races.
Ecco, chi oggi, dotato di una sensibilità post-coloniale e uno sguardo terzomondista, trova questa definizione e soprattutto questa chiusa (Dalla sua fondazioen la società ha fatto molto per rendere la colonizzazione inglese sinonimo di trattamento generoso e umano per la salvaguardia delle razze) politicamente corretta, eticamente sostenibile e attualmente condivisibile?
Ideologia...
Prendete per esempio l'Enciclopedia Britannica, considerata a lungo la summa del sapere moderno. L'edizione del 1911 è considerata la migliore in assoluto tra quelle pubblicate sinora. Consta di 29 volumi e contiene più di 44 milioni di parole, cioè oltre 40 mila articoli scritti da 1.500 tra i migliori autori della sua epoca.
Fortunatamente, cotanto patrimonio è per buona parte e gratuitamente online, qui. E si presta a un interessante esperimento. Prendiamo una delle prime voci, Aborigines, cioè aborigeni (all'inglese, con due "i", non all'americana, con la seconda "e"). Dopo una introduzione pari a due terzi del testo che racconta l'etimologia (tutta italiana, peraltro) del termine, si arriva alla parte descrittiva e programmatica:
In modern times the term "Aborigines" has been extended in signification, and is used to indicate the inhabitants found in a country at its first discovery, in contradistinction to colonies or new races, the time of whose introduction into the country is known.
The Aborigines' Protection Society was founded in 1838 in England as the result of a royal commission appointed at the instance of: Sir T. Fowell Buxton to, inquire into the treatment of the indigenous populations of the various British colonies,; The inquiry revealed the gross cruelty and injustice with which the natives had been often treated. Since its foundation the society has done much to make English colonization a synonym for humane and generous treatment of savage races.
Ecco, chi oggi, dotato di una sensibilità post-coloniale e uno sguardo terzomondista, trova questa definizione e soprattutto questa chiusa (Dalla sua fondazioen la società ha fatto molto per rendere la colonizzazione inglese sinonimo di trattamento generoso e umano per la salvaguardia delle razze) politicamente corretta, eticamente sostenibile e attualmente condivisibile?
Ideologia...
20.7.05
Ciao, James
E' MORTO OGGI James Doohan, meglio conosciuto tra i fan di Star Trek (serie originale) come Signor Scott o familiarmente Scotty, il capo della sala macchine dell'Enterprise. Il paradosso è che sia morto durante il trentaseiesimo anniversario dello sbarco sulla Luna...
Tutto bello, tutti bravi con Aldo Grasso Supersize
OGGI IL CORRIERE della Sera ha raggiunto quella chimera irraggiungibile che si chiama full color, cioè le pagine del giornale sono ora tutte dotate di foto a colori. Uno sforzo industriale (del quale beneficia soprattutto la vendita delle pubblicità, adesso tutte a colori e quindi più efficaci e costose) di notevole respiro.
Impressionante anche perché l'operazione è stata accompagnata anche da un restyling deciso della grafica. Corpo dei caratteri più arioso, più bianchi qua e là (da vent'anni si alleggeriscono sempre gli impaginati per sembrare più moderni, anche in questo Posto), colorini pastello, fotarelle più grandi e ovviamente ritocchi alle rubriche, che poi sono il vero angolo del potere nelle lotte interne di ogni giornale che si rispetti.
L'operazione full color è in ponte per tutti i maggiori quotidiani italiani (Repubblica ma anche il caro Sole 24 Ore, il Messaggero, forse anche l'antico Giornale) e nei prossimi mesi si vedrà. Comunque, dal punto di vista del lettore, l'effetto Metro, uno dei quotidiani gratutiti presenti in alcune città italiane, appare minaccioso dietro l'uscio: troppo colore leva austera autorevolezza...
Forse è per questo che il Corsera ha lasciato alcune pagine interne in bianco e nero per le foto, solo con il pantone delle testatine: è un vecchio trucco, costa meno e rende lo stesso l'idea del vivace colore.
Infine, dicevamo, ritoccate tutte le rubriche: tutte ridotte come spazio tranne quella televisiva di Aldo Grasso che quasi raddoppia. Un futuro di doppia fatica per il bravo professore! Quanto sia faticoso tenere una rubrica quotidiana per decenni senza scivolare nell'ovvio è cosa che capire non può chi non l'ha provato. Piano piano ci si abitua, si prende il passo, ma se un giorno te la raddoppiano, all'improvviso, c'è da mettersi a piangere...
Consentitemi però una maliziosa interpretazione su questo "raddoppio": è certamente bravo il professore, tanto che gli tocca faticare anche per gli altri, ma va detto che aumentando il carico di testo nella pagina dei programmi tivù - altrimenti definiti "pagina morta" perché piena di tabelle preconfezionate - quegli spazi acquistano più valore per la pubblicità. Al marketing e ai commerciali di Rcs l'ardua sentenza...
Impressionante anche perché l'operazione è stata accompagnata anche da un restyling deciso della grafica. Corpo dei caratteri più arioso, più bianchi qua e là (da vent'anni si alleggeriscono sempre gli impaginati per sembrare più moderni, anche in questo Posto), colorini pastello, fotarelle più grandi e ovviamente ritocchi alle rubriche, che poi sono il vero angolo del potere nelle lotte interne di ogni giornale che si rispetti.
L'operazione full color è in ponte per tutti i maggiori quotidiani italiani (Repubblica ma anche il caro Sole 24 Ore, il Messaggero, forse anche l'antico Giornale) e nei prossimi mesi si vedrà. Comunque, dal punto di vista del lettore, l'effetto Metro, uno dei quotidiani gratutiti presenti in alcune città italiane, appare minaccioso dietro l'uscio: troppo colore leva austera autorevolezza...
Forse è per questo che il Corsera ha lasciato alcune pagine interne in bianco e nero per le foto, solo con il pantone delle testatine: è un vecchio trucco, costa meno e rende lo stesso l'idea del vivace colore.
Infine, dicevamo, ritoccate tutte le rubriche: tutte ridotte come spazio tranne quella televisiva di Aldo Grasso che quasi raddoppia. Un futuro di doppia fatica per il bravo professore! Quanto sia faticoso tenere una rubrica quotidiana per decenni senza scivolare nell'ovvio è cosa che capire non può chi non l'ha provato. Piano piano ci si abitua, si prende il passo, ma se un giorno te la raddoppiano, all'improvviso, c'è da mettersi a piangere...
Consentitemi però una maliziosa interpretazione su questo "raddoppio": è certamente bravo il professore, tanto che gli tocca faticare anche per gli altri, ma va detto che aumentando il carico di testo nella pagina dei programmi tivù - altrimenti definiti "pagina morta" perché piena di tabelle preconfezionate - quegli spazi acquistano più valore per la pubblicità. Al marketing e ai commerciali di Rcs l'ardua sentenza...
Danny Crane!
IN PASSATO CREDO di averne già parlato. Ma adesso ci ritorno sopra per dare un senso positivo al domani (vedi sotto). Da un po' di tempo, tra noi amanti del telefilm di contrabbando, un personaggio si è infisso nella mente. Danny Crane, il burbero avvocato interpretato da William Shatner in Boston Legal, spin off di tutto rispetto che a settembre riparte negli Usa con la sua seconda stagione.
Il vecchio, egocentrico, burbero, autoritario e (un tempo) cazzuto avvocato fondatore dello studio legale in cui esercita una banda di sconclusionati ha un modo ineffabile di sfidare il mondo e affermare il suo essere: ripete il suo nome, che è leggenda che lui quotidianamente alimenta e a cui disperatamente si aggrappa.
Danny Crane!, stringendo con forza la mano a un cliente, Danny Crane! ai giornalisti che lo circondano all'uscita dal tribunale per dichiarazioni sue o più spesso dei suoi clienti, Danny Crane! come unica risposta possibile per gli sfortunati testimoni che interroga in aula. Danny Crane! E' il maschio e autoritario augurio, l'urlo fragile e coraggioso verso il domani incerto. Danny Crane è testardo e mangiato vivo dall'Alzheimer. Danny Crane è un moderno Sisifo, un eroe sfortunato - ma dopotutto come sosteneva Plinio il Vecchio, l'eroe è colui il quale lotta per sconfiggere soprattutto la propria sfortuna.
Danny Crane è un fortunato comprimario, un simbolo di quel che la generazione silenziosa non è riuscita a dirci. Doveva gridare solo una cosa, che forse non avremmo capito lo stesso, ma almeno provarci: "Danny Crane!" Dovevano gridare il loro nome, temibile e ispiratore, patetico e fortunato.
Il vecchio, egocentrico, burbero, autoritario e (un tempo) cazzuto avvocato fondatore dello studio legale in cui esercita una banda di sconclusionati ha un modo ineffabile di sfidare il mondo e affermare il suo essere: ripete il suo nome, che è leggenda che lui quotidianamente alimenta e a cui disperatamente si aggrappa.
Danny Crane!, stringendo con forza la mano a un cliente, Danny Crane! ai giornalisti che lo circondano all'uscita dal tribunale per dichiarazioni sue o più spesso dei suoi clienti, Danny Crane! come unica risposta possibile per gli sfortunati testimoni che interroga in aula. Danny Crane! E' il maschio e autoritario augurio, l'urlo fragile e coraggioso verso il domani incerto. Danny Crane è testardo e mangiato vivo dall'Alzheimer. Danny Crane è un moderno Sisifo, un eroe sfortunato - ma dopotutto come sosteneva Plinio il Vecchio, l'eroe è colui il quale lotta per sconfiggere soprattutto la propria sfortuna.
Danny Crane è un fortunato comprimario, un simbolo di quel che la generazione silenziosa non è riuscita a dirci. Doveva gridare solo una cosa, che forse non avremmo capito lo stesso, ma almeno provarci: "Danny Crane!" Dovevano gridare il loro nome, temibile e ispiratore, patetico e fortunato.
Le ragioni di un disagio
ALCUNE NOTE SPARSE: pochi giorni fa uno dei miei più cari amici dava in pasto alla rete questa sua intima dimensione; contestualmente, ho chiacchierato per telefono con la direttrice di un carcere calabrese, che mi segnalava - obiter dictum - l'aumentare delle carcerate "madri di famiglia", vale a dire normali donne che un giorno ammazzano il marito/compagno/fidanzato. Accade anche il contrario, sempre più di frequente, ma alcune notizie circolano più di altre: talune divengono presupposto per ragionamenti, altre no.
Inoltre, la politica italiana ha ripreso a girare attorno al suo vero retaggio storico: i tre secoli di melodramma che caratterizzano l'animo italiano - alla faccia di Severgnini e delle sue costruzioni stereotipiche sul genere nostrano. I carichi di lavoro non diminuiscono ma aumentano sempre, i consumi fanno il contrario e la percezione di essere pagati in lire ma di avere tutte le spese in euro si fa certezza ogni giorno di più. Si ha paura a prendere la metropolitana, si teme il diverso, il differente, il ricco e lo straniero.
Un collega blogger a cui ho scritto stamane mi ha strappato una confessione: la sfiducia nel sistema bancario. Pensare ai mutui per le case - mercato obmubilato da una bolla speculativa di dimensioni planetarie - che vengono concesse solo ai dipendenti e non ai flessibili, dopo che le politiche economiche del Paese hanno rivolto la prua verso il precariato come stato dell'arte lavorativa, e penso che sia una politica quantomeno incivile se non criminale, corrotta e colpevole.
La generazione di idioti, della quale mi pregio di essere un idealtipico rappresentante, sta arrancando. Su questo sto cercando di costruire un discorso articolato lavorando a cantiere aperto su questo blog (il post sulle generazioni, la riflessione sui generi, la ricerca di temi caratterizzanti l'identità, il consumo mediale) ma la meta è elusiva. Soprattutto perché variabili insospettabili o non cartografate paiono avere un aspetto rilevante.
Certo, la percezione del singolo è sempre legata alla sua esperienza personale e alla congiuntura. Per esempio, nel mondo dell'università la mia percezione è totalmente autoriflessiva e per niente strategica. Però, qualche briciolo di strategia si intravede, dietro le cortine dei disagi personali.
Perché disagi? Perché pare essere questo lo stigma del nostro tempo. Un ennuì di sofferenza, di problematiche, di ricerca epicurea del piacere per cancellare il piccolo dolore. Una fitta al torace fa tremare i fumatori che immaginano la bestia innominabile accucciata nel loro petto. Una gravidanza altrui diventa misura del senso di inadeguatezza alla vita. Le più elementari operazioni del vivere sociale (pagare una bolletta? acquistare un motorino? intraprendere un nuovo affitto?) somigliano a percorsi di guerra, in cui nella normalità cialtrona della gestione si intravede sempre dietro l'ansia di un fallimento spettacolare.
Senso di vergogna che si diffonde? Fine sfortunata dell'età della spensieratezza? Mancanza di grip con il reale e mutamento dei presupposti interiorizzati nei vent'anni oggi passati e vissuti in un mondo e in una società radicalmente cambiata, ma in maniera subdola e sottile, senza "crack" sociali avvertibili?
Leggere Pompei di Harris poche ore prima di una tormenta di vento e pioggia che ha piegato gli alberi (e regalato un'immagine affascinante: un uccello nero, forse un corvo o un piccione, che per pochi secondi era immobile sospeso davanti alla finestra mentre lottava disperato contro il vento e poi in un attimo è scomparso travolto dagli elementi impazziti) apre scenari differenti: filtri. Filtri e lenti che ridisegnano il mondo, continuamente. E che appartengono a una serie di fabbriche del sapere attive giorno e notte, che girano in maniera furibonda, espellendo feroci output che distorcono il mondo attorno a noi.
Ragazzi, ho passato gli ultimi quindici anni a fare un mestiere a tempo pieno che consiste nell'essere curioso, scrutare l'orizzonte, fiutare l'aria, percepire il cambiamento. Sento odore di bruciato: temo che siamo noi, che si stia andando a fuoco. Non è una sensazione personale (anzi, sto attraversando un periodo particolarmente ignifugo della mia vita) ma diffusa. La generazione di idioti avrà tra le sue corde l'attitudine al coraggio? Siamo pompieri, eroi, architetti capaci di bloccare le fiamme e costruire un nuovo pezzo di domani?
Le ragioni per un disagio profondo, sofferto, velenoso e sotterraneo ci sono tute, a me pare. Se mi accompagnerete, cercheremo di scrutare meglio...
Inoltre, la politica italiana ha ripreso a girare attorno al suo vero retaggio storico: i tre secoli di melodramma che caratterizzano l'animo italiano - alla faccia di Severgnini e delle sue costruzioni stereotipiche sul genere nostrano. I carichi di lavoro non diminuiscono ma aumentano sempre, i consumi fanno il contrario e la percezione di essere pagati in lire ma di avere tutte le spese in euro si fa certezza ogni giorno di più. Si ha paura a prendere la metropolitana, si teme il diverso, il differente, il ricco e lo straniero.
Un collega blogger a cui ho scritto stamane mi ha strappato una confessione: la sfiducia nel sistema bancario. Pensare ai mutui per le case - mercato obmubilato da una bolla speculativa di dimensioni planetarie - che vengono concesse solo ai dipendenti e non ai flessibili, dopo che le politiche economiche del Paese hanno rivolto la prua verso il precariato come stato dell'arte lavorativa, e penso che sia una politica quantomeno incivile se non criminale, corrotta e colpevole.
La generazione di idioti, della quale mi pregio di essere un idealtipico rappresentante, sta arrancando. Su questo sto cercando di costruire un discorso articolato lavorando a cantiere aperto su questo blog (il post sulle generazioni, la riflessione sui generi, la ricerca di temi caratterizzanti l'identità, il consumo mediale) ma la meta è elusiva. Soprattutto perché variabili insospettabili o non cartografate paiono avere un aspetto rilevante.
Certo, la percezione del singolo è sempre legata alla sua esperienza personale e alla congiuntura. Per esempio, nel mondo dell'università la mia percezione è totalmente autoriflessiva e per niente strategica. Però, qualche briciolo di strategia si intravede, dietro le cortine dei disagi personali.
Perché disagi? Perché pare essere questo lo stigma del nostro tempo. Un ennuì di sofferenza, di problematiche, di ricerca epicurea del piacere per cancellare il piccolo dolore. Una fitta al torace fa tremare i fumatori che immaginano la bestia innominabile accucciata nel loro petto. Una gravidanza altrui diventa misura del senso di inadeguatezza alla vita. Le più elementari operazioni del vivere sociale (pagare una bolletta? acquistare un motorino? intraprendere un nuovo affitto?) somigliano a percorsi di guerra, in cui nella normalità cialtrona della gestione si intravede sempre dietro l'ansia di un fallimento spettacolare.
Senso di vergogna che si diffonde? Fine sfortunata dell'età della spensieratezza? Mancanza di grip con il reale e mutamento dei presupposti interiorizzati nei vent'anni oggi passati e vissuti in un mondo e in una società radicalmente cambiata, ma in maniera subdola e sottile, senza "crack" sociali avvertibili?
Leggere Pompei di Harris poche ore prima di una tormenta di vento e pioggia che ha piegato gli alberi (e regalato un'immagine affascinante: un uccello nero, forse un corvo o un piccione, che per pochi secondi era immobile sospeso davanti alla finestra mentre lottava disperato contro il vento e poi in un attimo è scomparso travolto dagli elementi impazziti) apre scenari differenti: filtri. Filtri e lenti che ridisegnano il mondo, continuamente. E che appartengono a una serie di fabbriche del sapere attive giorno e notte, che girano in maniera furibonda, espellendo feroci output che distorcono il mondo attorno a noi.
Ragazzi, ho passato gli ultimi quindici anni a fare un mestiere a tempo pieno che consiste nell'essere curioso, scrutare l'orizzonte, fiutare l'aria, percepire il cambiamento. Sento odore di bruciato: temo che siamo noi, che si stia andando a fuoco. Non è una sensazione personale (anzi, sto attraversando un periodo particolarmente ignifugo della mia vita) ma diffusa. La generazione di idioti avrà tra le sue corde l'attitudine al coraggio? Siamo pompieri, eroi, architetti capaci di bloccare le fiamme e costruire un nuovo pezzo di domani?
Le ragioni per un disagio profondo, sofferto, velenoso e sotterraneo ci sono tute, a me pare. Se mi accompagnerete, cercheremo di scrutare meglio...
La Borsa, il Lingotto e il golfo di Napoli
DA QUALCHE GIORNO il titolo Fiat sta volando. Buono, soprattutto per chi ne ha, di quelle azioni. Adesso che c'è liquidità e si specula anche un po', a qualcuno - in questo momento euforico per la casa del Lingotto - è venuto in mente perché tanta euforia? Perché la Fiat va bene, vende tanto e pompa prodotti sul mercato in maniera innovativa ed efficace? No, il motivo è un altro: gira voce che la proprietà stia per vendere...
Tra l'altro, fonti dallo stabilimento Alfa di Napoli - dove si costruisce la nuova Alfa Romeo 159 che deve essere la riscossa nel segmento delle berline di lusso sportive (segmento in caduta libera in Germania, mercato trainante in Europa, con la Mercedes alla canna del gas e la Bmw che bestemmia) - non riescono a far partire la produzione a volumi consistenti per eccesso di difetti dalla catena di montaggio. Cassintegrazione di un paio di settimane per gli operai, ranghi ridotti, si lavora sulle catene e non sulla produzione, si spera di risolvere tutto entro l'estate, ma delle cinquanta auto al giorno non c'è traccia. Sono una decina, spesso da rimandare in officina...
Tra l'altro, fonti dallo stabilimento Alfa di Napoli - dove si costruisce la nuova Alfa Romeo 159 che deve essere la riscossa nel segmento delle berline di lusso sportive (segmento in caduta libera in Germania, mercato trainante in Europa, con la Mercedes alla canna del gas e la Bmw che bestemmia) - non riescono a far partire la produzione a volumi consistenti per eccesso di difetti dalla catena di montaggio. Cassintegrazione di un paio di settimane per gli operai, ranghi ridotti, si lavora sulle catene e non sulla produzione, si spera di risolvere tutto entro l'estate, ma delle cinquanta auto al giorno non c'è traccia. Sono una decina, spesso da rimandare in officina...
19.7.05
Corsi e ricorsi...
L'IMPERATIVO E' RAZIONALIZZARE. E l'esternalizzione delle attività informatiche per i grandi gruppi italiani segna un'accelerazione. Fiat e Ibm sciolgono la joint venture Global Value (nata nel 2001, nelle Business Solutions) e contestualmente il gruppo torinese firma con Ibm un contratto di fornitura servizi IT per nove anni da 200 milioni di euro. Tra i 1.700 dipendenti, la maggior parte rimarrà con Gobal Value, tranne 350 che ritornano al Lingotto. Finita l'epoca della diversificazione, adesso per Fiat arriva quella dell'attenzione al "core business" e all'ottimizzazione (promessa da Ibm per l'informatica) dei processi necessari.
Ma è storia in parte vecchia, perché già nel 2003 il gruppo Telecom Italia, ad esempio, aveva siglato un contratto da 225 milioni di euro per la fornitura di servizi informatici attraverso Hp Dcs, società mista tra la telco italiana e Hewlett-Packard in cui erano confluiti 600 dipendenti del gruppo telefonico. Per i grandi del mercato IT la partnership per l'outsourcing diventa business anche nel nostro Paese.
Ma è storia in parte vecchia, perché già nel 2003 il gruppo Telecom Italia, ad esempio, aveva siglato un contratto da 225 milioni di euro per la fornitura di servizi informatici attraverso Hp Dcs, società mista tra la telco italiana e Hewlett-Packard in cui erano confluiti 600 dipendenti del gruppo telefonico. Per i grandi del mercato IT la partnership per l'outsourcing diventa business anche nel nostro Paese.
Chi bussa al mio convento?
SEMPRE IN TEMA di classifiche, segnalo quella delle chiavi di ricerca con le quali i naviganti arrivano in questo Posto. Le prime dieci posizioni sono le seguenti:
Chiave cercata --- Visite - %
pan dulce agustina --- 51 visite - 7,75%
keyra agostina ---18 visite - 2,74%
oriana fallaci --- 18 visite - 2,74%
pan dulce augustina --- 17 visite - 2,58%
antonio dini ---14 visite - 2,13%
il posto di antonio --- 9 visite - 1,37%
keyra agustina --- 9 visite - 1,37%
magnaccio manager --- 9 visite - 1,37%
pan dulce agostina --- 8 visite - 1,22%
agustina pan dulce --- 6 visite - 0,91%
Chiave cercata --- Visite - %
pan dulce agustina --- 51 visite - 7,75%
keyra agostina ---18 visite - 2,74%
oriana fallaci --- 18 visite - 2,74%
pan dulce augustina --- 17 visite - 2,58%
antonio dini ---14 visite - 2,13%
il posto di antonio --- 9 visite - 1,37%
keyra agustina --- 9 visite - 1,37%
magnaccio manager --- 9 visite - 1,37%
pan dulce agostina --- 8 visite - 1,22%
agustina pan dulce --- 6 visite - 0,91%
18.7.05
E' quasi mezzanotte...
TIRA VENTO FORTE, da far piegare gli alberi, fischiare la porta e riempire le strade di polvere, spazzature e cartacce. Sbattono le imposte, si vede la rara gente correre in strada come sotto il fuoco nemico.
Sarà perché ho finito adesso di leggere Pompei di Robert Harris, ma attendo con trepidazione che scoppi il minacciato temporale...
Sarà perché ho finito adesso di leggere Pompei di Robert Harris, ma attendo con trepidazione che scoppi il minacciato temporale...
Top Sellers
HO FATTO UN giro su Internet Bookshop (sito che non conoscevo, ci sono finito di riflesso grazie a Eclipse e che mi pare bruttino. Poi, ho dato uno sguardo alla classifica dei più venduti. Ci sono i primi cinque più venduti "in Italia" e i primi cinque del negozietto online.
Nell'ordine, in Italia:
1. La luna di carta - Camilleri Andrea
2. Il medaglione - Camilleri Andrea
3. Crimini - (antologia Einaudi)
4. L'abito di piume - Yoshimoto Banana
5. Lo Zahir - Coelho Paulo
Per il negozietto:
1. La luna di carta - Camilleri Andrea
2. Crimini - (antologia Einaudi)
3. La dodicesima carta - Deaver Jeffery
4. Non buttiamoci giù - Hornby Nick
5. Zorro. L'inizio della leggenda - Allende Isabel
A parte l'orrore dei nomi invertiti ("Caporale Yoshimoto?!" "Signorsì signore!!!"), ho fatto un saltino anche su Amazon per cercare i più venduti (bisogna cercarli, perché lì l'accento è sulla personalizzazione del servizio la pagina si apre proponendo cose in linea con quel che si è cercato precedentemente. Comunque, è Amazon, e che cavolo, mica BS) ed è venuto fuori questo, dallo store americano, con l'avvertenza che è il momento peggiore per guardare un negozio di libri in lingua inglese, visto quel che è successo venerdì con l'uscita del nuovo Harry Potter... Comunue:
1. Harry Potter and the Half-Blood Prince (Book 6)
by J.K. Rowling, Mary GrandPré (Illustrator)
This is the 6th item in The Harry Potter Series.
2. Harry Potter and the Half-Blood Prince (Book 6) [UNABRIDGED]
by J.K. Rowling, et al
This is the 6th item in The Harry Potter Series.
3. 1776
by David McCullough
4. The World Is Flat: A Brief History of the Twenty-first Century
by Thomas L. Friedman
5. Harry Potter Paperback Boxed Set (Books 1-5) [BOX SET]
by J. K. Rowling, Mary GrandPré (Illustrator)
6. Freakonomics : A Rogue Economist Explores the Hidden Side of Everything
by Steven D. Levitt, Stephen J. Dubner
7. The 3-Hour Diet (TM) : How Low-Carb Diets Make You Fat and Timing Makes You Thin
by Jorge Cruise, David L. Katz (Foreword)
8. The Historian
by Elizabeth Kostova
9. Harry Potter and the Half-Blood Prince (Book 6) [UNABRIDGED]
by J.K. Rowling, et al.
10. Harry Potter and the Order of the Phoenix (Book 5)
by J. K. Rowling, Mary GrandPré (Illustrator)
Ho tagliato tutta la parte di recensioni, sconti, promozioni e quant'altro per rendere le tre classifiche vagamente comparabili. Solo le due italiane sono rimaste intose. Oggi è il 18 luglio 2005. E' mai possibile che abbiamo ancora un mercatino delle pulci online per vendere i libri? Dipenderà forse da quel che compriamo?
Nell'ordine, in Italia:
1. La luna di carta - Camilleri Andrea
2. Il medaglione - Camilleri Andrea
3. Crimini - (antologia Einaudi)
4. L'abito di piume - Yoshimoto Banana
5. Lo Zahir - Coelho Paulo
Per il negozietto:
1. La luna di carta - Camilleri Andrea
2. Crimini - (antologia Einaudi)
3. La dodicesima carta - Deaver Jeffery
4. Non buttiamoci giù - Hornby Nick
5. Zorro. L'inizio della leggenda - Allende Isabel
A parte l'orrore dei nomi invertiti ("Caporale Yoshimoto?!" "Signorsì signore!!!"), ho fatto un saltino anche su Amazon per cercare i più venduti (bisogna cercarli, perché lì l'accento è sulla personalizzazione del servizio la pagina si apre proponendo cose in linea con quel che si è cercato precedentemente. Comunque, è Amazon, e che cavolo, mica BS) ed è venuto fuori questo, dallo store americano, con l'avvertenza che è il momento peggiore per guardare un negozio di libri in lingua inglese, visto quel che è successo venerdì con l'uscita del nuovo Harry Potter... Comunue:
1. Harry Potter and the Half-Blood Prince (Book 6)
by J.K. Rowling, Mary GrandPré (Illustrator)
This is the 6th item in The Harry Potter Series.
2. Harry Potter and the Half-Blood Prince (Book 6) [UNABRIDGED]
by J.K. Rowling, et al
This is the 6th item in The Harry Potter Series.
3. 1776
by David McCullough
4. The World Is Flat: A Brief History of the Twenty-first Century
by Thomas L. Friedman
5. Harry Potter Paperback Boxed Set (Books 1-5) [BOX SET]
by J. K. Rowling, Mary GrandPré (Illustrator)
6. Freakonomics : A Rogue Economist Explores the Hidden Side of Everything
by Steven D. Levitt, Stephen J. Dubner
7. The 3-Hour Diet (TM) : How Low-Carb Diets Make You Fat and Timing Makes You Thin
by Jorge Cruise, David L. Katz (Foreword)
8. The Historian
by Elizabeth Kostova
9. Harry Potter and the Half-Blood Prince (Book 6) [UNABRIDGED]
by J.K. Rowling, et al.
10. Harry Potter and the Order of the Phoenix (Book 5)
by J. K. Rowling, Mary GrandPré (Illustrator)
Ho tagliato tutta la parte di recensioni, sconti, promozioni e quant'altro per rendere le tre classifiche vagamente comparabili. Solo le due italiane sono rimaste intose. Oggi è il 18 luglio 2005. E' mai possibile che abbiamo ancora un mercatino delle pulci online per vendere i libri? Dipenderà forse da quel che compriamo?
La logica dietro agli attacchi suicidi
ROBERT PAPE, DELLA Università di Chicago, ha studiato tutti gli attacchi suicidi a sfondo terroristico avvenuti dal 1980 ad oggi. Ha scritto un libro al riguardo, Dying to Win: The Strategic Logic of Suicide Terrorism e soprattutto è giunto a conclusioni interessanti: fondamentalismo islamico e terrorismo suicida sono due fattori divergenti. Come racconta nell'intervista resa a The American Conservative facendo riferimento alle informazioni che ha raccolto:
Robert Pape: This wealth of information creates a new picture about what is motivating suicide terrorism. Islamic fundamentalism is not as closely associated with suicide terrorism as many people think. The world leader in suicide terrorism is a group that you may not be familiar with: the Tamil Tigers in Sri Lanka.
....The American Conservative: So if Islamic fundamentalism is not necessarily a key variable behind these groups, what is?
RP: The central fact is that overwhelmingly suicide-terrorist attacks are not driven by religion as much as they are by a clear strategic objective: to compel modern democracies to withdraw military forces from the territory that the terrorists view as their homeland. From Lebanon to Sri Lanka to Chechnya to Kashmir to the West Bank, every major suicide-terrorist campaign -- over 95 percent of all the incidents -- has had as its central objective to compel a democratic state to withdraw.
....TAC: If you were to break down causal factors, how much weight would you put on a cultural rejection of the West and how much weight on the presence of American troops on Muslim territory?
RP: The evidence shows that the presence of American troops is clearly the pivotal factor driving suicide terrorism.
If Islamic fundamentalism were the pivotal factor, then we should see some of the largest Islamic fundamentalist countries in the world, like Iran, which has 70 million people — three times the population of Iraq and three times the population of Saudi Arabia -- with some of the most active groups in suicide terrorism against the United States. However, there has never been an al-Qaeda suicide terrorist from Iran, and we have no evidence that there are any suicide terrorists in Iraq from Iran.
Qui su AntiWar una recensione del libro, in cui viene citato un passo degli scritti del professore:
"Rather, what nearly all suicide terrorist attacks have in common is a specific secular and strategic goal: to compel modern democracies to withdraw military forces from the territory that the terrorists consider to be their homeland. Religion is rarely the root cause, although it is often used as a tool by terrorist organizations in recruiting and in other efforts in service of the broader strategic objective."
La Guerra Fredda cominciò a terminare quando venne concettualizzata la Teoria dei giochi. Quando, cioè, si costruì un modello per interpretare comportamenti inediti ma presumibilmente razionali e assegnare loro dei significati. Il libro di Pape va oggi in quella direzione?
C'è un altro postulato implicito, come emerge dalla recensione (se serve a indicare qualcosa), e cioè questo:
In other words, America must heed John Quincy Adam's advice that disaster lurks for America in every effort it undertakes to destroy monsters abroad in order to install democracy in their place. What Adams knew based on historical study and intuition, Pape has splendidly documented with cold, hard facts.
Cioè, tradotto in termini comprensibili a tutti: il ritorno della dottrina Monroe, che Adams il giovane coniò quando era Segretario di Stato di James Monroe. Cosa dice la dottrina Monroe? L'America agli americani... e Dio per gli altri. Noi l'abbiamo conosciuta durante la Guerra Fredda, quando gli Usa si risevarono la sfera d'influenza diretta nel Sud America (Pinochet?). In realtà le interpretazioni della dottrina, nata con il quinto presidente degli Stati Uniti d'America per opera del futuro sesto presidente, sono state molte e di segno contrastante tra loro. Su tutte, il "corollario di Roosevelt, di Theodore Roosevelt, il più giovane presidente americano, che lo coniò all'inizio del Ventesimo secolo per giustificare le mire colonialiste verso il Sud e il Centro America.
Ps: una nota di colore per i nozionisti: il padre di Adams, John Adams, fu il primo vice presidente e il secondo presidente degli Stati Uniti d'America. La coppia fu la prima "dinastia" a toccare la presidenza del Paese. Ma tenetemi lontano da questo filo di pensieri, perché ho la mente fragile: un anno fa ho rischiato di comprarmi i dieci volumi della storia dei presidenti americani...)
Robert Pape: This wealth of information creates a new picture about what is motivating suicide terrorism. Islamic fundamentalism is not as closely associated with suicide terrorism as many people think. The world leader in suicide terrorism is a group that you may not be familiar with: the Tamil Tigers in Sri Lanka.
....The American Conservative: So if Islamic fundamentalism is not necessarily a key variable behind these groups, what is?
RP: The central fact is that overwhelmingly suicide-terrorist attacks are not driven by religion as much as they are by a clear strategic objective: to compel modern democracies to withdraw military forces from the territory that the terrorists view as their homeland. From Lebanon to Sri Lanka to Chechnya to Kashmir to the West Bank, every major suicide-terrorist campaign -- over 95 percent of all the incidents -- has had as its central objective to compel a democratic state to withdraw.
....TAC: If you were to break down causal factors, how much weight would you put on a cultural rejection of the West and how much weight on the presence of American troops on Muslim territory?
RP: The evidence shows that the presence of American troops is clearly the pivotal factor driving suicide terrorism.
If Islamic fundamentalism were the pivotal factor, then we should see some of the largest Islamic fundamentalist countries in the world, like Iran, which has 70 million people — three times the population of Iraq and three times the population of Saudi Arabia -- with some of the most active groups in suicide terrorism against the United States. However, there has never been an al-Qaeda suicide terrorist from Iran, and we have no evidence that there are any suicide terrorists in Iraq from Iran.
Qui su AntiWar una recensione del libro, in cui viene citato un passo degli scritti del professore:
"Rather, what nearly all suicide terrorist attacks have in common is a specific secular and strategic goal: to compel modern democracies to withdraw military forces from the territory that the terrorists consider to be their homeland. Religion is rarely the root cause, although it is often used as a tool by terrorist organizations in recruiting and in other efforts in service of the broader strategic objective."
La Guerra Fredda cominciò a terminare quando venne concettualizzata la Teoria dei giochi. Quando, cioè, si costruì un modello per interpretare comportamenti inediti ma presumibilmente razionali e assegnare loro dei significati. Il libro di Pape va oggi in quella direzione?
C'è un altro postulato implicito, come emerge dalla recensione (se serve a indicare qualcosa), e cioè questo:
In other words, America must heed John Quincy Adam's advice that disaster lurks for America in every effort it undertakes to destroy monsters abroad in order to install democracy in their place. What Adams knew based on historical study and intuition, Pape has splendidly documented with cold, hard facts.
Cioè, tradotto in termini comprensibili a tutti: il ritorno della dottrina Monroe, che Adams il giovane coniò quando era Segretario di Stato di James Monroe. Cosa dice la dottrina Monroe? L'America agli americani... e Dio per gli altri. Noi l'abbiamo conosciuta durante la Guerra Fredda, quando gli Usa si risevarono la sfera d'influenza diretta nel Sud America (Pinochet?). In realtà le interpretazioni della dottrina, nata con il quinto presidente degli Stati Uniti d'America per opera del futuro sesto presidente, sono state molte e di segno contrastante tra loro. Su tutte, il "corollario di Roosevelt, di Theodore Roosevelt, il più giovane presidente americano, che lo coniò all'inizio del Ventesimo secolo per giustificare le mire colonialiste verso il Sud e il Centro America.
Ps: una nota di colore per i nozionisti: il padre di Adams, John Adams, fu il primo vice presidente e il secondo presidente degli Stati Uniti d'America. La coppia fu la prima "dinastia" a toccare la presidenza del Paese. Ma tenetemi lontano da questo filo di pensieri, perché ho la mente fragile: un anno fa ho rischiato di comprarmi i dieci volumi della storia dei presidenti americani...)
Vi spiezzo in due
"IL PRESIDENTE DEL partito, Gianfranco Fini, ha revocato gli incarichi fiduciari, ai vicepresidenti, ai componenti dell'ufficio di presidenza e ai coordinatori regionali. Ha nominato il signor Marco Martinelli responsabile del dipartimento organizzazione e ha convocato la direzione nazionale del partito per il 28 luglio con all'odg: partecipazione di Alleanza Nazionale alla costituente del centrodestra; legge elettorale". E' quanto si legge in una nota di An intitolata: "determinazioni del presidente".
(fonte: Repubblica)
(fonte: Repubblica)
17.7.05
I cattivi? Siamo noi, of course
IL NEW YORK Times dice una parola definitiva sull'inizio della nuova stagione di Battlestar Galactica negli Usa (Sci Fi Channel), ripercorrendo le vicende che hanno portato al successo il telefilm: l'originale del 1978 (film e telefilm), la nuova mini-serie del 2003, la serie del 2004 (formato da 13 episodi di un'ora) e adesso la serie 2005.
[Il creatore della serie] Eick mi ha descritto il mese scorso la serie con evidente, sovversivo piacere: "I cattivi sono tutti bellissimi e credono in Dio, e i buoni sono inc....ti gli uni con gli altri". Moore, che è anche il capo sceneggiatore della serie, la mette più semplicemente così: "I buoni sono come noi".
Battlestar Galactica ha di buono, soprattutto, la capacità di attrarre un pubblico non necessariamente "innamorato" del genere fantascientifico. E' una serie innovativa, che ha stabilito, nell'ultimo anno e mezzo, un nuovo modo di intendere la fantascienza televisiva al di là dei cliché consolidati: Star Trek, ma anche Guerre Stellari (di cui la prima serie è stata considerata moralmente figlia).
Oggi Battlestar Galactica gioca un ruolo di primo piano, ben lontano dall'insuccesso che accolse la serie originale (interrotta anzitempo per mancanza di pubblico) e il merito è in buona parte dei due ideatori-sceneggiatori: David Eick (Xena, ad esempio, con cui coglieva per primo il trend sotterraneo del lesbo-chic) e Ron Moore (Voyager, nonché autore della "storica" sceneggiatura in cui James T. Kirk muore).
Con la nuova incarnazione del vecchio classico, che in Italia è ancora inedita, infatti, i due hanno colto una significativa serie di traguardi: depositare le ansie post-11 settembre degli Stati Uniti, riprendere la storia mitologica dei sopravvissuti tra le dodici tribù in cerca della mitologica tredicesima che ha casa su un misterioso pianeta di nome "Terra", ribaltato molti dei ruoli classici (Starbucks è una donna, non più Dirk Benedict - poi diventato "sberla" dell'A-Team) e dei presupposti, come la lotta contro androidi creati dall'uomo, bellissimi, timorati di Dio e spietati, oppure la contrapposizione tra militari e potere civile, tra terrorismo e libertà.
Aspettiamo a gloria che anche da noi passi, magari la sera tardi su qualche tivù commerciale, il telefilm. Ci vorrà molto?
[Il creatore della serie] Eick mi ha descritto il mese scorso la serie con evidente, sovversivo piacere: "I cattivi sono tutti bellissimi e credono in Dio, e i buoni sono inc....ti gli uni con gli altri". Moore, che è anche il capo sceneggiatore della serie, la mette più semplicemente così: "I buoni sono come noi".
Battlestar Galactica ha di buono, soprattutto, la capacità di attrarre un pubblico non necessariamente "innamorato" del genere fantascientifico. E' una serie innovativa, che ha stabilito, nell'ultimo anno e mezzo, un nuovo modo di intendere la fantascienza televisiva al di là dei cliché consolidati: Star Trek, ma anche Guerre Stellari (di cui la prima serie è stata considerata moralmente figlia).
Oggi Battlestar Galactica gioca un ruolo di primo piano, ben lontano dall'insuccesso che accolse la serie originale (interrotta anzitempo per mancanza di pubblico) e il merito è in buona parte dei due ideatori-sceneggiatori: David Eick (Xena, ad esempio, con cui coglieva per primo il trend sotterraneo del lesbo-chic) e Ron Moore (Voyager, nonché autore della "storica" sceneggiatura in cui James T. Kirk muore).
Con la nuova incarnazione del vecchio classico, che in Italia è ancora inedita, infatti, i due hanno colto una significativa serie di traguardi: depositare le ansie post-11 settembre degli Stati Uniti, riprendere la storia mitologica dei sopravvissuti tra le dodici tribù in cerca della mitologica tredicesima che ha casa su un misterioso pianeta di nome "Terra", ribaltato molti dei ruoli classici (Starbucks è una donna, non più Dirk Benedict - poi diventato "sberla" dell'A-Team) e dei presupposti, come la lotta contro androidi creati dall'uomo, bellissimi, timorati di Dio e spietati, oppure la contrapposizione tra militari e potere civile, tra terrorismo e libertà.
Aspettiamo a gloria che anche da noi passi, magari la sera tardi su qualche tivù commerciale, il telefilm. Ci vorrà molto?
A me mi piace il Susci
NO, NON E' un errore d'ortografia. Si scrive proprio "Susci", con la ci al posto dell'acca. E' l'invenzione di Moreno Cedroni, cuoco e ristoratore da Senigallia, che ci ha scritto sopra anche un libro e aperto pure un sito web.
Cedroni sta sfruttando al massimo la ventata di popolarità che la sua idea ha generato: rivisitare in chiave italica il famoso piatto della cucina giapponese, le polpettine di riso con varietà differenti di pesce crudo. Ma chi ha capito l'essenza del capolavoro Giapponese - sta scritto sul sito del Susci - fino ad elaborare un'autonoma linea di cucina, piatto che sono Sushi come idea originaria ma sono tutt'altro nella realizzazione pratica, è Moreno Cedroni
L'uomo ha ideato anche, insieme all'architetto Ceccarelli e alla Bocchini (azienda produttrice di mobilio), l'Anikò susci bar. Anikò in marchigiano vuol dire "tutto quanto", e l'idea è di offrire a locali e ricchi possidenti di ville in cerca di arredamenti sui generis lo strumento definitivo per la preparazione del Susci.
L'italico genio copiativo, quello che adesso rinneghiamo e anzi un po' indignati facciamo finta di non aver mai avuto, passa proprio da Senigallia. Forza, copiamo! Altro che cinesi. Gettiamoci a corpo morto nel business del futuro: reinterpretiamo e localizziamo l'esotico. Produciamo, reagiamo. Quando i cinesi iniziavano la loro storica diaspora nel Diciannovesimo secolo, noi avevamo già scoperto l'America da trecento anni.
La mia modesta proposta è di smetterla di piangerci addosso, smetterla di invocare clausole protezionistiche, smetterla di lamentarci che il Tokai, le magliette di cotone, le scarpe da passeggio, l'olio d'oliva, il vino rosso e il bianco frizzantino sono nostro esclusivo appannaggio. Cerchiamo di toccare il nocciolo della questione: accendiamo le fotocopiatrici. Un po' di fantasia, un tocco di ingegno, tanta manodopera specializzata e via con le italianate del Ventunesimo secolo. A noi, se c'impegnamo, non ci ferma nessuno...
Cedroni sta sfruttando al massimo la ventata di popolarità che la sua idea ha generato: rivisitare in chiave italica il famoso piatto della cucina giapponese, le polpettine di riso con varietà differenti di pesce crudo. Ma chi ha capito l'essenza del capolavoro Giapponese - sta scritto sul sito del Susci - fino ad elaborare un'autonoma linea di cucina, piatto che sono Sushi come idea originaria ma sono tutt'altro nella realizzazione pratica, è Moreno Cedroni
L'uomo ha ideato anche, insieme all'architetto Ceccarelli e alla Bocchini (azienda produttrice di mobilio), l'Anikò susci bar. Anikò in marchigiano vuol dire "tutto quanto", e l'idea è di offrire a locali e ricchi possidenti di ville in cerca di arredamenti sui generis lo strumento definitivo per la preparazione del Susci.
L'italico genio copiativo, quello che adesso rinneghiamo e anzi un po' indignati facciamo finta di non aver mai avuto, passa proprio da Senigallia. Forza, copiamo! Altro che cinesi. Gettiamoci a corpo morto nel business del futuro: reinterpretiamo e localizziamo l'esotico. Produciamo, reagiamo. Quando i cinesi iniziavano la loro storica diaspora nel Diciannovesimo secolo, noi avevamo già scoperto l'America da trecento anni.
La mia modesta proposta è di smetterla di piangerci addosso, smetterla di invocare clausole protezionistiche, smetterla di lamentarci che il Tokai, le magliette di cotone, le scarpe da passeggio, l'olio d'oliva, il vino rosso e il bianco frizzantino sono nostro esclusivo appannaggio. Cerchiamo di toccare il nocciolo della questione: accendiamo le fotocopiatrici. Un po' di fantasia, un tocco di ingegno, tanta manodopera specializzata e via con le italianate del Ventunesimo secolo. A noi, se c'impegnamo, non ci ferma nessuno...
Hawaii & Balcani
IL NATIVE HAWAIIAN Government Reorganization Act sta per concedere, se verrà approvato, lo stesso status giuridico agli abitanti originari dell'arcipelago statunitense che hanno gli Indiani Americani e i nativi dell'Alaska.
Sono passati 112 anni da quando li Regno delle Hawaii è stato conquistato - manu militari - dagli Usa (che peraltro si sono scusati 12 anni fa) diventando la cinquantesima stella della bandiera. Adesso i 250 mila indigeni, tutti di origine polinesiana, acquisiranno forte autonomia e riconoscimento dopo il voto al senato Usa. Si pensa che il Native Hawaiian Act passerà, nonostante l'opposizione di molti Repubblicani, che temono la balcanizzazione del Paese.
Sono passati 112 anni da quando li Regno delle Hawaii è stato conquistato - manu militari - dagli Usa (che peraltro si sono scusati 12 anni fa) diventando la cinquantesima stella della bandiera. Adesso i 250 mila indigeni, tutti di origine polinesiana, acquisiranno forte autonomia e riconoscimento dopo il voto al senato Usa. Si pensa che il Native Hawaiian Act passerà, nonostante l'opposizione di molti Repubblicani, che temono la balcanizzazione del Paese.
16.7.05
Generazioni (lettura per l'estate)
CHE COS'E' una generazione? La risposta più semplice è che si tratti del prodotto di differenti atti procreativi. Offspring, prole, il prodotto di qualcosa o di qualcuno. La generazione è anche una classe, una "coorte" come dicono gli americani, quando si parla di demografia e si fa riferimento a tutte le persone che sono nate in un certo periodo, tuttavia mai precisamente definito. Da qui in avanti, cominciamo a vedere meglio di cosa si intende per generazione utilizzando il termine al plurale: generazioni.
Prendiamo la mia famiglia: non ho figli e non ho più nonni. Sono rimaste due generazioni, per quanto riguarda la discendenza (o ascendenza, a seconda del punto di vista) diretta della mia famiglia. I miei genitori - una generazione - e io. Se ci fossero i miei nonni, che avevano tutti età simili, si potrebbe parlare di una terza generazione. Il fattore cronologico, la dimensione cara ai demografi della "classe", è il primo indicatore di appartenenza. Gli uomini e le donne della generazione dei miei nonni, quelli della generazione dei miei genitori (la cui differenza di età è di due anni a favore di mia madre), quelli della mia generazione.
Ok, sino a qui sembra tutto chiaro: le generazioni sono un esercizio semplice, stanno alla storia come la statistica sta alla matematica. Apparentemente. Ma è più complesso, secondo me, perché tocca in realtà la sociologia e la storia. Altrimenti è simile all'esercizio di chi gestisce un allevamento di vitelli. Vediamo in che modo si può complicare la questione.
William Strauss e Neil Howe, nel 1991 danno alle stampe un libro alquanto interessante (e poco conosciuto, a dire il vero, qui da noi) che si intitola Generations. La tesi di fondo è una teoria sulla storia: ci sono le ere e queste si ripetono in modo ciclico e acquistano forma e caratteristiche grazie alle differenti generazioni che le abitano. Anche le generazioni, poi, ricadono all'interno di questo modello ciclico. Un po' più complessa dei vichiani corsi e ricorsi storici, è una teoria interessante perché propone del determinismo nella costruzione della società e nel modo in cui questa informa la storia.
Il lavoro di Strauss e Howe ha un limite, per il lettore del nostro paese: il riferimento è completamente orientato al mondo statunitense (o anglosassone, per quanto riguarda i presupposti). Quella la cultura, quella la storia, quella la società sotto la lente dei due studiosi. Dopotutto, si capisce anche dal sottotitolo: The History of America's Future, 1584 to 2069. Ma la loro teoria, ripresa e perfezionata anche nel successivo The Fourth Turning del 1997 e in altri libri, è lo stesso intrigante.
Nonostante venga mossa loro la più sistematica critica di costruire gli archetipi delle generazioni in maniera strumentale e stereotipata e poi di legarsi anche (proprio con The Fourth Turning) al misticismo mitologico e sovrannaturale di Joseph Campbell, infatti, il respiro delle loro intuizioni e dei loro argomenti propone alcuni spunti interessanti. Una fra tutti, cioè che le generazioni non siano un fenomeno demografico - non lo siano prevalentemente, non lo siano deterministicamente, non lo siano in maniera esaustiva - è il nocciolo di quanto ci interessa qui.
Torniamo a Generations. Gli autori stabiliscono che la storia procede per ere. Quattro ere (loro le chiamano turnings, ordinate sempre in maniera lineare, come le stagioni: Era superiore, Era del risveglio spirituale, Era dello svelamento (o della districazione, unravelling nell'originale) e infine Era della crisi. Ciascuna di queste ere ha delle caratteristiche proprie e immutabili dal contesto in cui si trovano e vengono ad essere declinate.
La prima è quella della prosperità, delle istituzioni stabili, della felicità, di solito dopo una guerra o dopo qualche grosso problema che ha rivoltato la società. E' anche un'era molto laica, concreta. La seconda è piena di idealismo, di giovani che rompono le convenzioni e ritrovano una spiritualità antica ma non più sentita e allo stesso tempo nuova. La terza è selvaggia, irrefrenabile, cinica, concreta: la corsa all'oro, i ruggenti anni Venti, l'era di Wall Street negli anni Ottanta. La quarta, quella della crisi, è l'attuale: casini, scuotimenti, messa in discussione della società e del suo "bene", guerra, rivoluzione, crisi.
Più o meno le quattro stagioni coprono un secolo, anche se non di quelli del calendario. Infatti, viene indicato come Saeculum, alla latina, e per esempio il Great Power Saeculum va dal 1865 al 1945 (quindi si tratta in realtà di 80 anni, un secolo "breve", come dicono anche gli storici per quello successivo).
I turning point, le svolte che fanno passare da un'era all'altra, sono indicati da eventi simbolici. Un po' come l'assassinio dell'erede al trono austroungarico, l'arciduca Francesco Ferdinando, che è considerato un evento simbolico per dipanare la matassa delle cause della Prima guerra mondiale e mettere un punto fermo tra gli storici. In quel caso è da intendersi come evento scatenante di qualcosa di già costituito nelle sue premesse, nel nostro dei turning point, invece, l'evento simbolico caratterizza l'inizio di una nuova fase che diverge dalla precedente.
Il rapporto tra le quattro ere è di alternanza tra assoluti e relativi, come per le stagioni atmosferiche: tra una crisi e un risveglio c'è un'era di solidità e forza, mentre tra un risveglio e una nuova crisi c'è un selvaggio disvelamento, un potente e rapace cinismo.
Quali generazioni nascono durante le quattro ere? Ce ne sono di quattro tipi. Andando in ordine ci sono i Profeti o Idealisti, per la prima era, i Nomati o Reattivi per la seconda, gli Eroi o Civici per la terza e gli Artisti o Adattabili durante la quarta. Perché? Dipende dai tempi che le loro vite si trovano a vivere: vediamole.
Gli Idealisti nascono durante un'era superiore, crescono durante il risveglio, maturano durante il selvaggio disvelamento e invecchiano durante la crisi. Hanno delle caratteristiche chiare: non combattono guerre in prima persona, sono uomini di principio e di diritto, cerebrali, che inneggiano al sacrificio e alle guerre giuste.
I Nomadi nascono durante un risveglio, la loro crescita passa attraverso l'era del disvelamento, sono maturi durante la crisi e invecchiano in una nuova era superiore. Sono leader realisti, difficili da prendere in giro, guerrieri taciturni che affrontano i problemi e gli avversari uno alla volta.
Gli Eroi nascono nell'era dello svelamento, crescono durante la crisi, sono adulti nell'era superiore e invecchiano durante il risveglio. Sono infatti vigorosi, costruiscono le istituzioni, hanno capacità di guidare e competenza da anziani. Vogliono il progresso, la prosperità economica, l'armonia sociale e l'ottimismo pubblico.
Infine gli Artisti, che nascono durante una crisi, crescono nel nuovo dell'era superiore che segue, sono maturi nel risveglio e invecchiano nello svelamento. Loro sono difensori della giustizia, della correttezza, dell'inclusione politica. Irreprensibili nel fallimento.
Una notazione interessante, in chiusura: le generazioni non sono date da classi di età omogenee. Cioè non si contano direttamente sugli anni ("ogni quindici anni, una nuova generazione"), ma sono modellate sulle forme che le ere assumono nella storia. Per esempio, nel Millenial Saeculum, che sarebbe poi quello nostro dal 1943 al 2006, ci sono quattro generazioni.
La prima, composta da Profeti, è quella dei Baby Boomer, che vanno dal 1943 al 1963 (venti anni). Segue la 13th Generation, tutta di Nomadi, che va dal 1964 al 1976 (12 anni). Poi ci sono i veri protagonisti, gli Eroi, la Millennial Generation, che copre gli anni dal 1977 al 1993 (16 anni). L'ultima, quella di cui ancora non è chiarito il nome ma che è composta da artisti e rappresenta la Crisi, copre un arco che va dal 1994 a oggi (e non è detto si fermi qui, comunque sono per adesso 11 anni).
Quindi, il concetto di generazioni è un po' più complesso, come abbiamo visto. E lo è ancora di più se si guarda maggiormente da vicino il lavoro di Strauss e Howe. Ma non solo, perché in realtà c'è una grande variabile esterna che influisce e che modella questo tema. Si chiama segmentazione del marketing, e spinge con forza ideologica fortissima per creare strutture e sistemi coerenti tali da tagliare la società in ambienti più piccoli ed omogenei. Per trasformare la generica audience in specifici pubblici. Ma non crediate che questo processo possa avere effetti solo sui conti economici di chi vende succhi di frutta e mozzarelle... No, ha un impatto nella società molto più ampio, come vedremo. Quindi, stay tuned: more to come!
Prendiamo la mia famiglia: non ho figli e non ho più nonni. Sono rimaste due generazioni, per quanto riguarda la discendenza (o ascendenza, a seconda del punto di vista) diretta della mia famiglia. I miei genitori - una generazione - e io. Se ci fossero i miei nonni, che avevano tutti età simili, si potrebbe parlare di una terza generazione. Il fattore cronologico, la dimensione cara ai demografi della "classe", è il primo indicatore di appartenenza. Gli uomini e le donne della generazione dei miei nonni, quelli della generazione dei miei genitori (la cui differenza di età è di due anni a favore di mia madre), quelli della mia generazione.
Ok, sino a qui sembra tutto chiaro: le generazioni sono un esercizio semplice, stanno alla storia come la statistica sta alla matematica. Apparentemente. Ma è più complesso, secondo me, perché tocca in realtà la sociologia e la storia. Altrimenti è simile all'esercizio di chi gestisce un allevamento di vitelli. Vediamo in che modo si può complicare la questione.
William Strauss e Neil Howe, nel 1991 danno alle stampe un libro alquanto interessante (e poco conosciuto, a dire il vero, qui da noi) che si intitola Generations. La tesi di fondo è una teoria sulla storia: ci sono le ere e queste si ripetono in modo ciclico e acquistano forma e caratteristiche grazie alle differenti generazioni che le abitano. Anche le generazioni, poi, ricadono all'interno di questo modello ciclico. Un po' più complessa dei vichiani corsi e ricorsi storici, è una teoria interessante perché propone del determinismo nella costruzione della società e nel modo in cui questa informa la storia.
Il lavoro di Strauss e Howe ha un limite, per il lettore del nostro paese: il riferimento è completamente orientato al mondo statunitense (o anglosassone, per quanto riguarda i presupposti). Quella la cultura, quella la storia, quella la società sotto la lente dei due studiosi. Dopotutto, si capisce anche dal sottotitolo: The History of America's Future, 1584 to 2069. Ma la loro teoria, ripresa e perfezionata anche nel successivo The Fourth Turning del 1997 e in altri libri, è lo stesso intrigante.
Nonostante venga mossa loro la più sistematica critica di costruire gli archetipi delle generazioni in maniera strumentale e stereotipata e poi di legarsi anche (proprio con The Fourth Turning) al misticismo mitologico e sovrannaturale di Joseph Campbell, infatti, il respiro delle loro intuizioni e dei loro argomenti propone alcuni spunti interessanti. Una fra tutti, cioè che le generazioni non siano un fenomeno demografico - non lo siano prevalentemente, non lo siano deterministicamente, non lo siano in maniera esaustiva - è il nocciolo di quanto ci interessa qui.
Torniamo a Generations. Gli autori stabiliscono che la storia procede per ere. Quattro ere (loro le chiamano turnings, ordinate sempre in maniera lineare, come le stagioni: Era superiore, Era del risveglio spirituale, Era dello svelamento (o della districazione, unravelling nell'originale) e infine Era della crisi. Ciascuna di queste ere ha delle caratteristiche proprie e immutabili dal contesto in cui si trovano e vengono ad essere declinate.
La prima è quella della prosperità, delle istituzioni stabili, della felicità, di solito dopo una guerra o dopo qualche grosso problema che ha rivoltato la società. E' anche un'era molto laica, concreta. La seconda è piena di idealismo, di giovani che rompono le convenzioni e ritrovano una spiritualità antica ma non più sentita e allo stesso tempo nuova. La terza è selvaggia, irrefrenabile, cinica, concreta: la corsa all'oro, i ruggenti anni Venti, l'era di Wall Street negli anni Ottanta. La quarta, quella della crisi, è l'attuale: casini, scuotimenti, messa in discussione della società e del suo "bene", guerra, rivoluzione, crisi.
Più o meno le quattro stagioni coprono un secolo, anche se non di quelli del calendario. Infatti, viene indicato come Saeculum, alla latina, e per esempio il Great Power Saeculum va dal 1865 al 1945 (quindi si tratta in realtà di 80 anni, un secolo "breve", come dicono anche gli storici per quello successivo).
I turning point, le svolte che fanno passare da un'era all'altra, sono indicati da eventi simbolici. Un po' come l'assassinio dell'erede al trono austroungarico, l'arciduca Francesco Ferdinando, che è considerato un evento simbolico per dipanare la matassa delle cause della Prima guerra mondiale e mettere un punto fermo tra gli storici. In quel caso è da intendersi come evento scatenante di qualcosa di già costituito nelle sue premesse, nel nostro dei turning point, invece, l'evento simbolico caratterizza l'inizio di una nuova fase che diverge dalla precedente.
Il rapporto tra le quattro ere è di alternanza tra assoluti e relativi, come per le stagioni atmosferiche: tra una crisi e un risveglio c'è un'era di solidità e forza, mentre tra un risveglio e una nuova crisi c'è un selvaggio disvelamento, un potente e rapace cinismo.
Quali generazioni nascono durante le quattro ere? Ce ne sono di quattro tipi. Andando in ordine ci sono i Profeti o Idealisti, per la prima era, i Nomati o Reattivi per la seconda, gli Eroi o Civici per la terza e gli Artisti o Adattabili durante la quarta. Perché? Dipende dai tempi che le loro vite si trovano a vivere: vediamole.
Gli Idealisti nascono durante un'era superiore, crescono durante il risveglio, maturano durante il selvaggio disvelamento e invecchiano durante la crisi. Hanno delle caratteristiche chiare: non combattono guerre in prima persona, sono uomini di principio e di diritto, cerebrali, che inneggiano al sacrificio e alle guerre giuste.
I Nomadi nascono durante un risveglio, la loro crescita passa attraverso l'era del disvelamento, sono maturi durante la crisi e invecchiano in una nuova era superiore. Sono leader realisti, difficili da prendere in giro, guerrieri taciturni che affrontano i problemi e gli avversari uno alla volta.
Gli Eroi nascono nell'era dello svelamento, crescono durante la crisi, sono adulti nell'era superiore e invecchiano durante il risveglio. Sono infatti vigorosi, costruiscono le istituzioni, hanno capacità di guidare e competenza da anziani. Vogliono il progresso, la prosperità economica, l'armonia sociale e l'ottimismo pubblico.
Infine gli Artisti, che nascono durante una crisi, crescono nel nuovo dell'era superiore che segue, sono maturi nel risveglio e invecchiano nello svelamento. Loro sono difensori della giustizia, della correttezza, dell'inclusione politica. Irreprensibili nel fallimento.
Una notazione interessante, in chiusura: le generazioni non sono date da classi di età omogenee. Cioè non si contano direttamente sugli anni ("ogni quindici anni, una nuova generazione"), ma sono modellate sulle forme che le ere assumono nella storia. Per esempio, nel Millenial Saeculum, che sarebbe poi quello nostro dal 1943 al 2006, ci sono quattro generazioni.
La prima, composta da Profeti, è quella dei Baby Boomer, che vanno dal 1943 al 1963 (venti anni). Segue la 13th Generation, tutta di Nomadi, che va dal 1964 al 1976 (12 anni). Poi ci sono i veri protagonisti, gli Eroi, la Millennial Generation, che copre gli anni dal 1977 al 1993 (16 anni). L'ultima, quella di cui ancora non è chiarito il nome ma che è composta da artisti e rappresenta la Crisi, copre un arco che va dal 1994 a oggi (e non è detto si fermi qui, comunque sono per adesso 11 anni).
Quindi, il concetto di generazioni è un po' più complesso, come abbiamo visto. E lo è ancora di più se si guarda maggiormente da vicino il lavoro di Strauss e Howe. Ma non solo, perché in realtà c'è una grande variabile esterna che influisce e che modella questo tema. Si chiama segmentazione del marketing, e spinge con forza ideologica fortissima per creare strutture e sistemi coerenti tali da tagliare la società in ambienti più piccoli ed omogenei. Per trasformare la generica audience in specifici pubblici. Ma non crediate che questo processo possa avere effetti solo sui conti economici di chi vende succhi di frutta e mozzarelle... No, ha un impatto nella società molto più ampio, come vedremo. Quindi, stay tuned: more to come!
Il dono della pesantezza
CI SONO QUELLI che, lo capisci subito, quando scrivono hanno un dono. Non è una questione di eleganza, di stile, di forma del ragionare o di chissà cosa d'altro. Hanno un dono differente, quello della leggerezza. Un dono che non ci si può dare: o lo si ha, oppure no. E' una particolare inclinazione del talento della scrittura. Poi, si sa, lo scrivere è solo un uno per cento di ispirazione, tutto il resto è sudore e fatica. Quelli sono sudore e fatica dedicati alla leggerezza, e vincono un premio che è lo stupore e la facilità con la quale li si legge. Sempre leggeri, frizzanti, aerei, si bevono d'un fiato, gli si perdona molto (logica, nitore delle argomentazioni, passaggi e forma) perché molto danno: rigenerano, rinfrescano, intrattengono, divertono.
Poi, ma nessuno che lo riconosca come un dono e ne tessa le lodi, ci sono coloro i quali hanno fatto arte della pesantezza. Un dono raro, importante, anche significativo (in termini di ingombro ed effetti tangibili sul reale), troppo spesso tralasciato dalla critica attenta e militante. Chi ha il dono della pesantezza non necessariamente scrive cose intelligenti o che lasciano il segno. Il più delle volte argomenta come un capricorno: a testa bassa, diritto per la sua strada. Eppure il lavoro di questi sistematici del pensiero, di questi macinatori della parola, è altrettanto importante di quello degli aerei intrattenitori che giocano di fioretto. Sfondare la loro pagina, entrare nel loro mondo è un rito di passaggio, una iniziazione a fasi ulteriori della lettura, del pensare e forse anche della complessiva esperienza umana. Sciropparsi tutto un pesante vale mille leggeri: vuol dire essere diventati adulti, avere la passione della lettura e non solo una frequentazione occasionale con lei, probabilmente l'oculista potrebbe suggerire anche delle belle lenti da riposo, perché sotto l'ombrellone si legge, mica si perde tempo. I pesanti, a seguirli, ti sanno anche stupire e poi è difficile farne a meno.
C'è altro, però. Anche i pensati, non illudiamoci, sono manchevoli. Come tutti: logica, nitore delle argomentazioni, passaggi e forma. Scrivere in bella forma, per chilometri di pagine o per poche saporite righe, non vuol dire necessariamente avere doti superiori di intelletto, né nell'una che nell'altra delle forme. Non c'è attività più codificata che lo scrivere per ingannare il prossimo. Film, radio, televisione, teatro, orazioni in piazza son tutte attività che inducono all'abbandono estatico ma - sotto sotto - anche al sospetto. Non sono naturali, oppure lo sono troppo.
Leggere introduce invece al rispetto e al timore, porta a forti sottovalutazioni o terribili sopravvalutazioni. La scrittura scende più in profondità perché richiede slancio, apertura del lettore, un intenso e attivo lavoro di decodifica. A leggere ci si rovina con le proprie mani, si gettano gli schermi dietro e si scava a mano nuda nella terra. Se poi qualcosa ci pungerà, oppure ci bacerà, lo scopriremo solo scavando.
Evviva i pesanti, allora. Che fanno il loro mestiere con identica passione dei leggeri, ma non vengono apprezzati. Sono necessari, hanno le stesse colpe e gli stessi meriti ma sono vilipesi e spesso bruciati sul rogo da facili tribunali. Chi è leggero avvicina, chi è pesante, affatica. Entrambi, però, cambiano il lettore, cercando di dargli qualcosa. Allora come mai, solo perché sono brutti, non se li sposa nessuno, questi poveri pesanti?
Diamogli premi, diamogli un'Italia che li ami, diamogli di nuovo cittadinanza, rendiamogli gli onori dei combattenti, a questi fanti della parola, portiamoli sulle spalle attraverso i bei archi delle nostre città, quando non sapranno più camminare con le loro gambe perché vinti dalla fatica del lavoro di penna. Diamo loro un sogno, facciamoli parte delle nostre vite con onestà, senza nasconderli come retropensieri svilenti e sfortunati. Anche loro mangiano, dormono, amano, scrivono. Sono solo pesanti, hanno scelto la via lunga, impervia, in salita, faticosa, per raggiungere la medesima meta dei leggeri, di quelli brillanti, carismatici, opportuni e sempre attenti a come fischiano soavi gli zefiri. Loro no, i pesanti sono come locomotive che seguono il loro binario, insensibili agli elementi, alle fughe, alle scorciatoie e alla fatica. Sicuri solo del loro percorso. Diamo loro il posto che spetta a chi lotta, generoso e pesante. Sorridiamo loro, anche una volta sola: basterà a premiarli per una vita di fatiche.
Poi, ma nessuno che lo riconosca come un dono e ne tessa le lodi, ci sono coloro i quali hanno fatto arte della pesantezza. Un dono raro, importante, anche significativo (in termini di ingombro ed effetti tangibili sul reale), troppo spesso tralasciato dalla critica attenta e militante. Chi ha il dono della pesantezza non necessariamente scrive cose intelligenti o che lasciano il segno. Il più delle volte argomenta come un capricorno: a testa bassa, diritto per la sua strada. Eppure il lavoro di questi sistematici del pensiero, di questi macinatori della parola, è altrettanto importante di quello degli aerei intrattenitori che giocano di fioretto. Sfondare la loro pagina, entrare nel loro mondo è un rito di passaggio, una iniziazione a fasi ulteriori della lettura, del pensare e forse anche della complessiva esperienza umana. Sciropparsi tutto un pesante vale mille leggeri: vuol dire essere diventati adulti, avere la passione della lettura e non solo una frequentazione occasionale con lei, probabilmente l'oculista potrebbe suggerire anche delle belle lenti da riposo, perché sotto l'ombrellone si legge, mica si perde tempo. I pesanti, a seguirli, ti sanno anche stupire e poi è difficile farne a meno.
C'è altro, però. Anche i pensati, non illudiamoci, sono manchevoli. Come tutti: logica, nitore delle argomentazioni, passaggi e forma. Scrivere in bella forma, per chilometri di pagine o per poche saporite righe, non vuol dire necessariamente avere doti superiori di intelletto, né nell'una che nell'altra delle forme. Non c'è attività più codificata che lo scrivere per ingannare il prossimo. Film, radio, televisione, teatro, orazioni in piazza son tutte attività che inducono all'abbandono estatico ma - sotto sotto - anche al sospetto. Non sono naturali, oppure lo sono troppo.
Leggere introduce invece al rispetto e al timore, porta a forti sottovalutazioni o terribili sopravvalutazioni. La scrittura scende più in profondità perché richiede slancio, apertura del lettore, un intenso e attivo lavoro di decodifica. A leggere ci si rovina con le proprie mani, si gettano gli schermi dietro e si scava a mano nuda nella terra. Se poi qualcosa ci pungerà, oppure ci bacerà, lo scopriremo solo scavando.
Evviva i pesanti, allora. Che fanno il loro mestiere con identica passione dei leggeri, ma non vengono apprezzati. Sono necessari, hanno le stesse colpe e gli stessi meriti ma sono vilipesi e spesso bruciati sul rogo da facili tribunali. Chi è leggero avvicina, chi è pesante, affatica. Entrambi, però, cambiano il lettore, cercando di dargli qualcosa. Allora come mai, solo perché sono brutti, non se li sposa nessuno, questi poveri pesanti?
Diamogli premi, diamogli un'Italia che li ami, diamogli di nuovo cittadinanza, rendiamogli gli onori dei combattenti, a questi fanti della parola, portiamoli sulle spalle attraverso i bei archi delle nostre città, quando non sapranno più camminare con le loro gambe perché vinti dalla fatica del lavoro di penna. Diamo loro un sogno, facciamoli parte delle nostre vite con onestà, senza nasconderli come retropensieri svilenti e sfortunati. Anche loro mangiano, dormono, amano, scrivono. Sono solo pesanti, hanno scelto la via lunga, impervia, in salita, faticosa, per raggiungere la medesima meta dei leggeri, di quelli brillanti, carismatici, opportuni e sempre attenti a come fischiano soavi gli zefiri. Loro no, i pesanti sono come locomotive che seguono il loro binario, insensibili agli elementi, alle fughe, alle scorciatoie e alla fatica. Sicuri solo del loro percorso. Diamo loro il posto che spetta a chi lotta, generoso e pesante. Sorridiamo loro, anche una volta sola: basterà a premiarli per una vita di fatiche.
Il mondo non è finito oggi
IL 16 LUGLIO del 1945, anzi per la precisione la notte tra il 15 e il 16, ad Alamogordo, nel Nuovo Messico, Robert Oppenheimer e i suoi collaboratori fecero scoppiare una grossa palla di metallo appesa a una decina di metri da terra su di un traliccio. Era il primo test di detonazione di una bomba atomica
C'era una teoria che sostenenva che la reazione innescata potesse non fermarsi più, distruggendo tutto il pianeta. Non accadde, ovviamente. Il limite della detonazione fu di "soli" due chilometri e mezzo. Un diametro considerato "perfetto". Per questo, ventuno e ventiquattro giorni dopo, le due sorelle della prima palla di metallo vennero sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Il mondo non finì quel giorno, ma una delle nostre maggiori ipoteche venne tuttavia firmata proprio sessant'anni fa, ad Alamogordo, nel cosiddetto Trinity Site, il sito della Trinità. Non è stata ancora riscattata.
Oriana Fallaci
OGGI SUL CORRIERE c'è un articolo di Oriana Fallaci (tralascio il "lungo" perché lo è, ma se scrivessero come li scrive lei, i lunghi articoli, ci sarebbe da chiedere che i giornali fossero tutti scritti così). Non è riproducibile in alcun tratto (e per questo credo che non lo si vedrà su Internet come i precedenti) dato che il copyright che campeggia alla fine della doppia pagina ne sancisce la sua assoluta proprietà e irriproducibilità. Grazia se lo si può leggere. In quest'articolo, per la prima volta, ho avvertito un sentimento nuovo della Fallaci. La stanchezza.
La donna, che è terribile e potente, è anche complessa. Per terribile e potente, sia subito chiaro, intendo che il respiro della sua mente, la forza dei suoi scritti, la forma delle sue idee è terribile a vedersi e udirsi, enorme, gigantesca, schiacciante. E potente, cioè capace di tuonare ed essere udita a forte distanza, fin nell'intimo, riverberando e scuotendo con forza e, appunto, potenza.
Ma è anche complessa. Più di quanto il suo desiderio di scrivere in realtà conceda. Si avverte stanchezza, per cominciare, nel suo attacco ai musulmani, prevalentemente se non esclusivamente uomini. Le donne - infatti - non esistono se non per pochi e vili scopi, si legge nella filigrana: ricever botte, portare il burka, essere uccise se da figlie indossano i jeans. Si avverte stanchezza perché l'odio, la rabbia, l'orgoglio stanno sfumando in gradazioni e sentimenti differenti. L'appello, il j'accuse che scaturisce dalla sua penna sta acquistando la rassegnazione del combattente che continua a sparare, che continua a correre, che continua a vedere il nemico e l'amico, ma non ha più molto fiato. E' umano, è comprensibile, è anche sorprendente.
L'articolo consta di due parti, o tre volendo ma atteniamoci a due. La prima, lunga, è un'accusa articolata dell'abominio che ci attacca, sul quale il suo giudizio granitico: i musulmani sono così, osceni. Siamo noi a piagnucolare e dipingerli come altri da quel che sono, dagli insegnamenti del loro libro sacro e loro ci attaccano in virtù anche della nostra debolezza e connivenza. E' disillusione, però, quella che apre la seconda parte dell'articolo, e contiene anche uno stigma profetico.
La profezia della Fallaci ruota intorno alla certezza dell'attacco all'Italia, della forza anche simbolica con cui questo prederà le nostre vite (durante le prossime elezioni politiche, per colpire persone ma soprattutto monumenti, patrimoni d'arte italiana, perciò simboli) e soprattutto del collaborazionismo spontaneo che ne annegherà con secchi di pietismo gli effetti, avvelenandoci sempre di più. E' contro Roma (intesa come romanità, perché la Fallaci guarda in concreto i monumenti di Firenze e Pisa) che i musulmani combattono e proprio questa, la romanità, è uno dei serpenti cui vogliono schiacciare la testa.
La stanchezza della Fallaci sta tutta in una riga, anzi in un tratto. Verso la fine, quando l'articolo inveisce in modo delicato contro la passività della Chiesa e si difende parenteticamente dall'accusa che lei, la Fallaci, voglia fare una crociata, lei, la laica, atea, mangiapreti Fallaci. La difesa retorica è forte, si apre con una parentesi, argomenta, grida, esclama e poi accade l'impensabile: non si chiude. Letteralmente. La parentesi rimane sospesa, come in un tema di terza quando il professore d'Italiano commentava sarcastico: "Ricordatevi sempre di chiuderle le parentesi, ché prendono freddo". Una debolezza nell'arma più forte, cioè la scrittura. Un segno piccolo che denota un tratto nuovo nella terribile e potente donna. Il primo cedimento? E' umano, se è così, ma c'è un problema.
Oriana Fallaci si professa atea e strega - secondo i canoni dell'ateismo e della "magia nera" che ricade sulla testa delle donne nel nostro Occidente cristiano quando esse escono dal cerchio dei loro doveri sociali - e come tale risponde (ma senza più la veemenza conosciuta in passato) a chi l'accusa dando veleno in cambio di veleno. Quello che continua ad accadere, alla sempre più stanca Fallaci, è di cavalcare solitaria, tenendo la benda sugli occhi, una tigre feroce. Questo è il problema. La tigre, anche editoriale dato che rilancia il giorno dopo gli attentati di Londra tutto il suo corpus commerciale di libri a pagina piena sul Corriere, è animale potente e terribile. L'unico in grado di dare gambe e forza ai sentimenti - questi sentimenti "fortemente sentiti" a differenza delle pallide e mediocri sensazioni dei tanti - terribili e potenti della Fallaci.
Ma una cosa le chiedo, se mai dovesse leggermi e arrivare sino a questa riga: Fallaci, è sicura di conoscere l'animale potente e terribile che cavalca e che non mostra, lui, mai segno alcuno di stanchezza? E' sicura che la rabbia, l'orgoglio, il sentimento forte e disperato che la anima, non siano loro una benda tale da non farle vedere le dimensioni e la forza della tigre che cavalca? E soprattutto, è possibile che questo sentimento non oscuri tutto, nascondendole dove in effetti l'animale abbia zanne e artigli? Fallaci, è sicura di non essere stanca? La tigre non perdona la stanchezza, perché non la conosce. E non porta misericordia, come l'Islam.
La donna, che è terribile e potente, è anche complessa. Per terribile e potente, sia subito chiaro, intendo che il respiro della sua mente, la forza dei suoi scritti, la forma delle sue idee è terribile a vedersi e udirsi, enorme, gigantesca, schiacciante. E potente, cioè capace di tuonare ed essere udita a forte distanza, fin nell'intimo, riverberando e scuotendo con forza e, appunto, potenza.
Ma è anche complessa. Più di quanto il suo desiderio di scrivere in realtà conceda. Si avverte stanchezza, per cominciare, nel suo attacco ai musulmani, prevalentemente se non esclusivamente uomini. Le donne - infatti - non esistono se non per pochi e vili scopi, si legge nella filigrana: ricever botte, portare il burka, essere uccise se da figlie indossano i jeans. Si avverte stanchezza perché l'odio, la rabbia, l'orgoglio stanno sfumando in gradazioni e sentimenti differenti. L'appello, il j'accuse che scaturisce dalla sua penna sta acquistando la rassegnazione del combattente che continua a sparare, che continua a correre, che continua a vedere il nemico e l'amico, ma non ha più molto fiato. E' umano, è comprensibile, è anche sorprendente.
L'articolo consta di due parti, o tre volendo ma atteniamoci a due. La prima, lunga, è un'accusa articolata dell'abominio che ci attacca, sul quale il suo giudizio granitico: i musulmani sono così, osceni. Siamo noi a piagnucolare e dipingerli come altri da quel che sono, dagli insegnamenti del loro libro sacro e loro ci attaccano in virtù anche della nostra debolezza e connivenza. E' disillusione, però, quella che apre la seconda parte dell'articolo, e contiene anche uno stigma profetico.
La profezia della Fallaci ruota intorno alla certezza dell'attacco all'Italia, della forza anche simbolica con cui questo prederà le nostre vite (durante le prossime elezioni politiche, per colpire persone ma soprattutto monumenti, patrimoni d'arte italiana, perciò simboli) e soprattutto del collaborazionismo spontaneo che ne annegherà con secchi di pietismo gli effetti, avvelenandoci sempre di più. E' contro Roma (intesa come romanità, perché la Fallaci guarda in concreto i monumenti di Firenze e Pisa) che i musulmani combattono e proprio questa, la romanità, è uno dei serpenti cui vogliono schiacciare la testa.
La stanchezza della Fallaci sta tutta in una riga, anzi in un tratto. Verso la fine, quando l'articolo inveisce in modo delicato contro la passività della Chiesa e si difende parenteticamente dall'accusa che lei, la Fallaci, voglia fare una crociata, lei, la laica, atea, mangiapreti Fallaci. La difesa retorica è forte, si apre con una parentesi, argomenta, grida, esclama e poi accade l'impensabile: non si chiude. Letteralmente. La parentesi rimane sospesa, come in un tema di terza quando il professore d'Italiano commentava sarcastico: "Ricordatevi sempre di chiuderle le parentesi, ché prendono freddo". Una debolezza nell'arma più forte, cioè la scrittura. Un segno piccolo che denota un tratto nuovo nella terribile e potente donna. Il primo cedimento? E' umano, se è così, ma c'è un problema.
Oriana Fallaci si professa atea e strega - secondo i canoni dell'ateismo e della "magia nera" che ricade sulla testa delle donne nel nostro Occidente cristiano quando esse escono dal cerchio dei loro doveri sociali - e come tale risponde (ma senza più la veemenza conosciuta in passato) a chi l'accusa dando veleno in cambio di veleno. Quello che continua ad accadere, alla sempre più stanca Fallaci, è di cavalcare solitaria, tenendo la benda sugli occhi, una tigre feroce. Questo è il problema. La tigre, anche editoriale dato che rilancia il giorno dopo gli attentati di Londra tutto il suo corpus commerciale di libri a pagina piena sul Corriere, è animale potente e terribile. L'unico in grado di dare gambe e forza ai sentimenti - questi sentimenti "fortemente sentiti" a differenza delle pallide e mediocri sensazioni dei tanti - terribili e potenti della Fallaci.
Ma una cosa le chiedo, se mai dovesse leggermi e arrivare sino a questa riga: Fallaci, è sicura di conoscere l'animale potente e terribile che cavalca e che non mostra, lui, mai segno alcuno di stanchezza? E' sicura che la rabbia, l'orgoglio, il sentimento forte e disperato che la anima, non siano loro una benda tale da non farle vedere le dimensioni e la forza della tigre che cavalca? E soprattutto, è possibile che questo sentimento non oscuri tutto, nascondendole dove in effetti l'animale abbia zanne e artigli? Fallaci, è sicura di non essere stanca? La tigre non perdona la stanchezza, perché non la conosce. E non porta misericordia, come l'Islam.
L'ambiguità che ci consente di vivere
STRANE COSE CAPITANO guardano di tralice il nostro tempo. Non che non succedesse anche prima o che, immagino, non succederà anche domani, quando altri saranno gli osservatori. Ma insomma, è sempre qualcosa di particolare...
Ad esempio, poco sotto (scavate nel'archivio, ho fatica a mettere su il link) si discuteva dei generi. Sono una strana costruzione, secondo alcuni, sono una naturale determinazione secondo altri. Però, se ci si guarda intorno, si osserva che forse sono prima di tutto una invenzione. E che, come tutte le invenzioni, cambiano l'ambiente che le circonda. Chi adesso non è più in grado di percepire la differenza dei generi, la confusione dei generi, la molteplicità e la complessità dei generi? Eppure, sino a quando Oscar Wilde non è stato processato, gli stessi fenomeni empirici - sorvoliano sul dettaglio - avevano una dimensione culturale differente, una percezione e una capacità simbolica altra. Erano, esistevano nel consesso delle società, ma non erano la stessa cosa.
Porto avanti riflessioni al buio, su questi temi, fondamentalmente per tre motivi. Non capisco la curiosità che mi spinge a percorrerle, non capisco il modello mentale di lettore (siete un po', non legione ma neanche i soliti quattro gatti: meglio sarebbe definirvi un mistero, come lettori) che mi segue e soprattutto sono frustrato dall'assenza dell'eterno feminino, che non legge. Era il mio modello di lettore, ma con me ha deciso di non comunicare per iscritto - né suo né mio. Mah!
i commenti al riguardo (con variazioni e divagazioni, oppure serenamente off-topic) sono graditi. Anzi, se ve la sentite, trasformatevi pure in una piccola comunità di commentatori da bar, quelli appassionati e autoreferenziali che frequentano la parte "interattiva" dei blog. Abitatela, è il vostro spazio all'interno di questo Posto. Cercando di definire che genere di persona io sia, ho curiosità di capire che genere di persone siate voi.
Ad esempio, poco sotto (scavate nel'archivio, ho fatica a mettere su il link) si discuteva dei generi. Sono una strana costruzione, secondo alcuni, sono una naturale determinazione secondo altri. Però, se ci si guarda intorno, si osserva che forse sono prima di tutto una invenzione. E che, come tutte le invenzioni, cambiano l'ambiente che le circonda. Chi adesso non è più in grado di percepire la differenza dei generi, la confusione dei generi, la molteplicità e la complessità dei generi? Eppure, sino a quando Oscar Wilde non è stato processato, gli stessi fenomeni empirici - sorvoliano sul dettaglio - avevano una dimensione culturale differente, una percezione e una capacità simbolica altra. Erano, esistevano nel consesso delle società, ma non erano la stessa cosa.
Porto avanti riflessioni al buio, su questi temi, fondamentalmente per tre motivi. Non capisco la curiosità che mi spinge a percorrerle, non capisco il modello mentale di lettore (siete un po', non legione ma neanche i soliti quattro gatti: meglio sarebbe definirvi un mistero, come lettori) che mi segue e soprattutto sono frustrato dall'assenza dell'eterno feminino, che non legge. Era il mio modello di lettore, ma con me ha deciso di non comunicare per iscritto - né suo né mio. Mah!
i commenti al riguardo (con variazioni e divagazioni, oppure serenamente off-topic) sono graditi. Anzi, se ve la sentite, trasformatevi pure in una piccola comunità di commentatori da bar, quelli appassionati e autoreferenziali che frequentano la parte "interattiva" dei blog. Abitatela, è il vostro spazio all'interno di questo Posto. Cercando di definire che genere di persona io sia, ho curiosità di capire che genere di persone siate voi.
Battlestar across U.S.A.
HA RIVOLUZIONATO IL modo in cui si guarda la fantascienza in televisione. Ha trasformato le aspettative degli appassionati in modo tale che niente sarà più uguale a prima. E' stata una ripartenza, una completa rivisitazione del passato per adeguarlo al futuro. E' Battlestar Galactica, la serie televisiva (vista quest'inverno in Gran Bretagna e adesso al lavoro sugli schermi statunitensi con la nuova stagione che là inizia stasera), che ha fatto gridare al miracolo chi non ne poteva più della solita minestra ribollita.
Insieme a lei stanno ripartendo anche le nuove stagioni di Stargate (la nona, quella originale) e Stargate Atlantis, lo spin-off che personalmente preferisco. Tutto questo da noi non si vede (casomai i più abbienti lo intravedono sul satellite, ma per i proletari del piccolo schermo, ciccia).
Sopra tutti, si erge la statuaria donna-Cylon Numero Sei. Ragazzi, ma Internet è davvero una gran invenzione, sapete? Sui dettagli dell'attrice che ricopre con maestria il sogno lisergico dello scienziato pazzo e collaborazionista, il Dr. Gaius Baltar, tendo un velo di riservatezza. Ai cultori del programma televisivo, vecchi e nuovi, basterà poco per identificarla... per gli altri un indizio laterale: cliccando sulle foto di questo blog, esse come per magia di solito diventano più grandi, più nitide, più visibili...
Insieme a lei stanno ripartendo anche le nuove stagioni di Stargate (la nona, quella originale) e Stargate Atlantis, lo spin-off che personalmente preferisco. Tutto questo da noi non si vede (casomai i più abbienti lo intravedono sul satellite, ma per i proletari del piccolo schermo, ciccia).
Sopra tutti, si erge la statuaria donna-Cylon Numero Sei. Ragazzi, ma Internet è davvero una gran invenzione, sapete? Sui dettagli dell'attrice che ricopre con maestria il sogno lisergico dello scienziato pazzo e collaborazionista, il Dr. Gaius Baltar, tendo un velo di riservatezza. Ai cultori del programma televisivo, vecchi e nuovi, basterà poco per identificarla... per gli altri un indizio laterale: cliccando sulle foto di questo blog, esse come per magia di solito diventano più grandi, più nitide, più visibili...
14.7.05
Tutta un'altra cosa
URANIA, LA STORICA serie di libri di fantascienza pubblicata da Mondadori, approda al numero 1500. La corsa dei volumetti è iniziata nel 1952. Oggi si festeggia con un numero-antologia particolare, in edicola per tutto luglio. Si tratta di una raccolta per la maggior parte di racconti di italiani particolari: i curatori di Urania stessa. Cioè Giorgio Monicelli, Fruttero&Lucentini, Gianni Montanari e Giuseppe Lippi (l'attuale).
Apre tuttavia un romanzo breve di John Kessel, Storie da uomoni, che racconta di quanto sia dura la vita per gli uomini sulla luna (ma non per le donne...).
Il traguardo è significativo, il numero pubblicato parzialmente deludente: gli italiani che curano la rivista hanno uno spiccato talento come curatori, non tanto come scrittori di science fiction, nonostante tra loro vi sia anche chi (Giorgio Monicelli, fratello del regista) ha inventato il termine fantascienza. Kessel nobilita l'accolita con un piacevole romanzo ben studiato.
ps: se volete "affogare" dentro le copertine di Urania e di tutte le serie collegate, potete andare in questo bellissimo sito e seguire i link
Apre tuttavia un romanzo breve di John Kessel, Storie da uomoni, che racconta di quanto sia dura la vita per gli uomini sulla luna (ma non per le donne...).
Il traguardo è significativo, il numero pubblicato parzialmente deludente: gli italiani che curano la rivista hanno uno spiccato talento come curatori, non tanto come scrittori di science fiction, nonostante tra loro vi sia anche chi (Giorgio Monicelli, fratello del regista) ha inventato il termine fantascienza. Kessel nobilita l'accolita con un piacevole romanzo ben studiato.
ps: se volete "affogare" dentro le copertine di Urania e di tutte le serie collegate, potete andare in questo bellissimo sito e seguire i link
13.7.05
Il vecchio Johnny
JONATHAN SWIFT LO conosciamo tutti, no? Ministro religioso e scrittore, è famoso per I viaggi di Gulliver e nell'Inghilterra del Diciottesimo secolo ha acquistato una certa fama che dura sino ad oggi.
Ma tre anni dopo aver scritto i suddetti Viaggi, lo scrittore anglo-irlandese ha dato alle stampe A modest proposal, un breve pamphlet in cui suggeriva che, per risolvere il problema dello squallore e povertà in cui versavano i cattolici in Irlanda, fosse necessario prendere i poveri bambini denutriti e randagi per darli in pasto ai più ricchi tra gli irlandesi e i britannici in generale. In questo modo non solo si sarebbe avuta una sana e gustosa esperienza culinaria, ma si sarebbe anche risolto il problema della sovrappopolazione insieme a quello della futura disoccupazione, e fornita pure una piccola fonte di reddito alle famiglie più bisognose (capito, Tremonti?).
Il lavoro di Swift era fatto a regola: statistiche, argomentazioni dotte e coordinate tra loro, citazioni appropriate. Quanti bambini mangiare, dove prelevarli, in quale modo gestire il meccanismo. Anche considerazioni sugli effetti a breve e lungo termine per la morale: i mariti che vedono l'emancipazione economica passare dalla donna - letteralmente - e trovano in questo motivo di maggior rispetto per la loro sposa madre dei loro preziosi figli. Insomma, com'è facile immaginare il libro venne letto, giudicato per quel che diceva e l'autore fu duramente attaccato. Anche se ci fu chi lo volle difendere (come sempre succede con tutte le idee, a prescindere dalle idee, vero Sgarbi?) talvolta per partito preso, talaltra per semplice spirito di contraddizione.
Il punto è che a tutt'oggi il saggio viene considerato ovviamente satirico, e anzi, la punta migliore della satira in lingua inglese: l'io narrante non è l'autore ma una maschera, Swift non è un nazista e soprattutto non aveva nessuna voglia di dar da mangiare i bambini, bensì voleva far satira sociale mettendo in pista la retorica e l'arroganza degli intellettuali.
Non è un caso se la "modesta proposta" è diventato un modo di dire quasi carbonaro - in quanto pochi conoscono il presupposto: non si è riusciti a farne un film e quindi l'informazione non passa alle masse - che ben giocato nelle discussioni rende sottile il piacere di attaccare il proprio interlocutore. Ecco, quella qui sotto era la mia modesta proposta circa l'analisi semiotica della bottiglia di Coca Cola, se non si fosse capito... Scritta, come si dice, tra il serio e il faceto.
Ma tre anni dopo aver scritto i suddetti Viaggi, lo scrittore anglo-irlandese ha dato alle stampe A modest proposal, un breve pamphlet in cui suggeriva che, per risolvere il problema dello squallore e povertà in cui versavano i cattolici in Irlanda, fosse necessario prendere i poveri bambini denutriti e randagi per darli in pasto ai più ricchi tra gli irlandesi e i britannici in generale. In questo modo non solo si sarebbe avuta una sana e gustosa esperienza culinaria, ma si sarebbe anche risolto il problema della sovrappopolazione insieme a quello della futura disoccupazione, e fornita pure una piccola fonte di reddito alle famiglie più bisognose (capito, Tremonti?).
Il lavoro di Swift era fatto a regola: statistiche, argomentazioni dotte e coordinate tra loro, citazioni appropriate. Quanti bambini mangiare, dove prelevarli, in quale modo gestire il meccanismo. Anche considerazioni sugli effetti a breve e lungo termine per la morale: i mariti che vedono l'emancipazione economica passare dalla donna - letteralmente - e trovano in questo motivo di maggior rispetto per la loro sposa madre dei loro preziosi figli. Insomma, com'è facile immaginare il libro venne letto, giudicato per quel che diceva e l'autore fu duramente attaccato. Anche se ci fu chi lo volle difendere (come sempre succede con tutte le idee, a prescindere dalle idee, vero Sgarbi?) talvolta per partito preso, talaltra per semplice spirito di contraddizione.
Il punto è che a tutt'oggi il saggio viene considerato ovviamente satirico, e anzi, la punta migliore della satira in lingua inglese: l'io narrante non è l'autore ma una maschera, Swift non è un nazista e soprattutto non aveva nessuna voglia di dar da mangiare i bambini, bensì voleva far satira sociale mettendo in pista la retorica e l'arroganza degli intellettuali.
Non è un caso se la "modesta proposta" è diventato un modo di dire quasi carbonaro - in quanto pochi conoscono il presupposto: non si è riusciti a farne un film e quindi l'informazione non passa alle masse - che ben giocato nelle discussioni rende sottile il piacere di attaccare il proprio interlocutore. Ecco, quella qui sotto era la mia modesta proposta circa l'analisi semiotica della bottiglia di Coca Cola, se non si fosse capito... Scritta, come si dice, tra il serio e il faceto.
12.7.05
Semiotica della bottiglia di Coca Cola
SICCOME C'E' ALMENO un lettore, tra i miei quasi cinquantamila, che una volta è giunto sul sito cercando risposta alla domanda analisi semiotica bottiglia coca cola, non posso fare a meno di cimentarmi tentando una risposta. Sempre che la bottiglia in questione sia, per semplificare, quella qui a fianco, vale a dire la storica Mae West. Ecco, quindi, la mia modesta proposta al riguardo.
Sorvoliamo sulla storia dell'azienda di Atlanta nata nel 1886 per creare una bibita di ispirazione europea (il cocawine Vin Mariani, che mieteva gran successi durante il proibizionismo georgiano del 1885), sulla storia della sua "formula segreta" e sulla cronaca dei suoi successi commerciali che l'hanno eletta a simbolo e quindi posta sull'altare delle ideologie (l'identità americana nel mondo come "Coca-Colonisation" e via dicendo). Anche il fatto che le bottiglie risalgano al 1894 e le lattine al 1955 sono dettagli, come pure le dispute sulla nascita della società, i numerosi inventori che non sono mai stati santificati e via dicendo.
Anche le leggende metropolitane (sull'acidità corrosiva della bevanda o sui suoi effetti insieme a medicinali da banco come l'aspirina) che hanno addirittura creato il genere dell'urban folklore chiamato "cokelore" non ci interessano. Veniamo a noi, invece, cioè alla bottiglia.
Viene chiamata Mae West per via delle sinuose forme che richiamano quelle dell'attrice, Mae Jane West, sex symbol a cavallo della Seconda guerra mondiale e personaggio dalla biografia di tutto rilievo, per chi sia appassionato del genere. La leggenda narra che sia stata lei, più o meno volontariamente, la modella per il disegno della bottiglia, ma la realtà dei fatti è diversa. La bottiglia già c'era quando Mae West non era ancora Mae West e l'accostamento è più che altro simbolico: l'incarnare un ideale di seduzione femminile attraverso le sue forme per traslarlo in un concetto di bibita seducente.
L'idea originaria per la bottiglia, che si percepisce anche simbolicamente, è quella di un frattale. Come per il modello matematico che genera schemi sempre scomponibili in sottoinsiemi altrettanto complessi e riconoscibili, così anche per la bottiglia si doveva, nelle intenzioni dei progettisti, non solo avere una riconoscibilità per quando era esposta e intera, ma anche per quando la si trovava casualmente in strada, spaccata, dopo il consumo. Lo sforzo tendeva cioè ad aumentare la visibilità del prodotto e la sua unicità per sottolineare l'idea che vi fosse un costante e diffuso consumo e per fornire un ulteriore elemento di distinzione sul mercato.
Ma la sinuosità della bottiglia, che contiene una sorta di sciroppo scuro e un po' inquietante, assolutamente non rappresentativo nell'esperienza del buon selvaggio (che non conosce il gusto della bevanda) del successivo effervescente refrigerio, è anche un gusto per i moderni di derivazione antica. La bottiglia di Coca Cola è tozza, in qualche modo "piena" di vetro, porta via spazio al contenuto e lo impreziosisce proprio per l'idea della sua scarsità pur nel paradosso di abbondanza (le bottiglie che si buttano) ed evidente consumismo sistematico. Piccole dosi di soddisfazione istantanea.
Ma non finisce qui, perché le forti sottolineature della bottiglia, il suo definire un universo immutabile anche attraverso il susseguirsi di restyling, si mescolano all'esperienza del consumo attraverso modelli comportamentali diffusi. La bottiglia di Coca Cola, contenente un contraddittorio e scuro liquido gassato, appannata dalla condensa che la termodinamica appiccica sulle sue pareti nel percorso tra il refrigeratore e il tavolo nelle estati marine, è simbolo di trasgressione addomesticata e come tale altamente ritualizzata.
Si beve con la cannuccia o "alla bottiglia", perché è il modo giusto di "indossarla", e se ne esalta quindi l'aspetto ludico-performativo assolutamente canonizzato e portatore di sapori consumistici prestabiliti: la Coca Cola è anche massima esemplificazione della produzione di serie industriale in cui si cerca, tuttavia, di ritrovare lo stigma delle differenti carature nazionali (la dimensione più o meno zuccherina dell'imbottigliatore di turno, il differente dosaggio dello sciroppo d'essenza a seconda della partita, paragonabile all'annata dei vini ma assolutamente indistinguibile per fattori naturali nella realtà dei fatti).
La bottiglia di Coca Cola evoca anche una dimensione temporale del ricordo, e tutto il disegno del corpo vitreo mira a massimizzare una esperienza di questo tipo: appartenenza aspirazionale a una serie di micro-valori diffusi, identificazione casuale e distratta, mescolata al consumo seriale. La Coca Cola, premio per il palato, è anche forma di regressione e di trasgressione dalle regole normative dell'infanzia (moderazione, scarsità, premio).
Quello che personalmente non ho mai capito della Coca Cola intesa come oggetto è la scarsa aderenza a un modello evolutivo di consumo. Per quanto sia innegabile l'evoluzione radicale del prodotto e degli usi e degli immaginari collegati, in realtà non ne percepisco lo sforzo prospettico: i segni con i quali è disegnata la bottiglia, simile più a una supposta (fase anale) che non a una borraccia (fase orale) portano verso un disegno prezioso, in qualche misura datato come quelli che solitamente il conio utilizza per realizzare i suoi manufatti. Ecco, forse in ultima analisi nelle fantasie fanciullesche la Coca Cola nella classica bottiglia più che un simbolo di seduzione potrebbe essere un oggetto di scambio codificato in una economia di baratto. Sostituto della moneta, di cui ha la forma a darne dignità, detiene un suo valore d'uso ma anche una serialità e portabilità tali da definirla come moneta di scambio, peso e misura di altri valori.
Il genere dei paradossi
IL TERMINE GENDER, cioè genere in italiano, ha significati molteplici. Alcuni paradossali, altri intuitivi, altri singolari.
Genere vuole indicare, nella sua accezione più politica e sociale, le caratteristiche o "qualità" di femminità o mascolinità percepita o progettata (auto-identificata) di una persona. E' un concetto complesso e assolutamente dibattuto, soprattutto nel campo della sociologia, dato che assomma una galassia di significati e fa riferimento a una sterminata teoria di caratteristiche: il modo di muoversi, di parlare, di vestire, etc. In questo senso, la distinzione binaria (genere maschile o femminile) sfuma in una lunga serie di altri generi imposti, definiti o percepiti dalla e/o nella società.
Se il genere non è solo limitato alle caratteristiche del sesso biologico, cioè dell'essere dotato di caratteristiche sessuali maschili o femminili, il significato diventa dunque più complesso e la dottrina - come sappiamo - nella complessità ci ha sempre sguazzato. A tal punto che la domanda se il genere sia un costrutto sociale o biologico definisce una delle grandi spaccature contemporanee della riflessione teorica tra il costruttivismo (che propende per la tesi sociale) e gli essenzialisti, che propendono invece per quella biologica.
Una curiosità: le associazioni di elementi culturali al genere (il colore rosa come associabile al genere femminile) comunque evolvono con il mutare della società: all'inizio del '900 il rosa era un colore prettamente maschile, in Occidente, oggi prettamente femminile.
Il punto di differenza tra le due teorie (costruttivismo ed essenzialismo) sul genere è dato dalla contrapposta visione della somiglianza o del dualismo dei generi, i primi venendo definiti come costruzione sociale, i secondi da un rapporto di tipo naturale, universale e immodificabile.
In grammatica - per alcune lingue - tutti i sostantivi e i pronomi devono appartenere a un genere. In alcuni casi sono tre, anziché due, ma l'appartenenza è comunque obbligatoria.
Esiste, però, anche il genere dei connettori, per quanto riguarda i materiali elettrici e meccanici. Spine maschio e femmina, per esempio.
Per gli indonesiani la parola gender è il sostantivo che definisce uno strumento musicale utilizzato dalle orchestre Gamelan.
Il genere indica anche, in italiano, una categoria di opere (il genere delle nature morte o dei ritratti in pittura, il genere western nel cinema) oppure una componente della sistematica tassonomica di botanica e zoologia.
Ma soprattutto, in olandese, gender vuol dire creek, cioè ansa, insenatura...
Genere vuole indicare, nella sua accezione più politica e sociale, le caratteristiche o "qualità" di femminità o mascolinità percepita o progettata (auto-identificata) di una persona. E' un concetto complesso e assolutamente dibattuto, soprattutto nel campo della sociologia, dato che assomma una galassia di significati e fa riferimento a una sterminata teoria di caratteristiche: il modo di muoversi, di parlare, di vestire, etc. In questo senso, la distinzione binaria (genere maschile o femminile) sfuma in una lunga serie di altri generi imposti, definiti o percepiti dalla e/o nella società.
Se il genere non è solo limitato alle caratteristiche del sesso biologico, cioè dell'essere dotato di caratteristiche sessuali maschili o femminili, il significato diventa dunque più complesso e la dottrina - come sappiamo - nella complessità ci ha sempre sguazzato. A tal punto che la domanda se il genere sia un costrutto sociale o biologico definisce una delle grandi spaccature contemporanee della riflessione teorica tra il costruttivismo (che propende per la tesi sociale) e gli essenzialisti, che propendono invece per quella biologica.
Una curiosità: le associazioni di elementi culturali al genere (il colore rosa come associabile al genere femminile) comunque evolvono con il mutare della società: all'inizio del '900 il rosa era un colore prettamente maschile, in Occidente, oggi prettamente femminile.
Il punto di differenza tra le due teorie (costruttivismo ed essenzialismo) sul genere è dato dalla contrapposta visione della somiglianza o del dualismo dei generi, i primi venendo definiti come costruzione sociale, i secondi da un rapporto di tipo naturale, universale e immodificabile.
In grammatica - per alcune lingue - tutti i sostantivi e i pronomi devono appartenere a un genere. In alcuni casi sono tre, anziché due, ma l'appartenenza è comunque obbligatoria.
Esiste, però, anche il genere dei connettori, per quanto riguarda i materiali elettrici e meccanici. Spine maschio e femmina, per esempio.
Per gli indonesiani la parola gender è il sostantivo che definisce uno strumento musicale utilizzato dalle orchestre Gamelan.
Il genere indica anche, in italiano, una categoria di opere (il genere delle nature morte o dei ritratti in pittura, il genere western nel cinema) oppure una componente della sistematica tassonomica di botanica e zoologia.
Ma soprattutto, in olandese, gender vuol dire creek, cioè ansa, insenatura...
Jingle Bells
E' STRANO PERCHE' non fa freddo. Quindi non può essere Natale o il mio compleanno (sono nato alla fine di dicembre). E allora perché questo regalo? Apple ha tirato fuori dal cilindro, stanotte, iSync 2.1 e finalmente il Nokia che porto in tasca da sei mesi si sincronizza con la rubrica e il calendario del Mac... Forse è il compleanno di qualcun altro? Non è che mi sono dimenticato di fare gli auguri?
Intanto, un'azienda ha lanciato questa piccola chicca. Qui sì che si sente aria natalizia. Se avete un iPod shuffle avete già capito di che si tratta e come funziona...
Intanto, un'azienda ha lanciato questa piccola chicca. Qui sì che si sente aria natalizia. Se avete un iPod shuffle avete già capito di che si tratta e come funziona...
Blog e lavoro
CI SI LAMENTA, tra blogger, che il lavoro online non serve praticamente a niente nella vita professionale "vera". Falso. Serve eccome. A perdere punti e possibilità, secondo quanto racconta in questo articolo uno degli animatori di Ars.Technica:
Ultimately, I think the answer to this dilemma is pretty clear: graduate students simply should not blog, and if they do blog they should never do so under their real names. As a grad student, your writing time is much better spent producing papers that will get you feedback from the folks who you're paying to study under. Furthermore, anything that you have to say that's even remotely interesting to anyone other than your parents and your best friend from childhood is not worth publishing online when it could easily come back to haunt you years later. And the more interesting and relevant your comments on the pressing issues of the day, the more you should keep them strictly confined to the kinds of everyday offline intellectual conversations that make academic life so rewarding.
Ultimately, I think the answer to this dilemma is pretty clear: graduate students simply should not blog, and if they do blog they should never do so under their real names. As a grad student, your writing time is much better spent producing papers that will get you feedback from the folks who you're paying to study under. Furthermore, anything that you have to say that's even remotely interesting to anyone other than your parents and your best friend from childhood is not worth publishing online when it could easily come back to haunt you years later. And the more interesting and relevant your comments on the pressing issues of the day, the more you should keep them strictly confined to the kinds of everyday offline intellectual conversations that make academic life so rewarding.
To boldly go...
IL VIAGGIO DELLA prima generazione di Star Trek, quella conosciuta semplicemente come Enterprise, si è concluso alcune settimane fa. Stasera mi sono rimesso in pari e ho concluso anche io la quadriennale missione di Jonathan Archer e del suo equipaggio. Un anno in più di James T. Kirk, sei meno di Jean-Luc Picard.
Questi sono gli utlimi fotogrammi. Addio, first generation. Mancherai alle mie domeniche...
Questi sono gli utlimi fotogrammi. Addio, first generation. Mancherai alle mie domeniche...
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